
(Adnkronos) – Il Canada in piena guerra commerciale con gli Stati Uniti ospita da oggi a venerdì a Charlevoix, in Quebec, il G7 dei ministri degli Esteri, il primo evento sotto la presidenza di turno di Ottawa – che ha raccolto il testimone dall'Italia – a cui farà seguito a giugno il summit dei leader a Kananaskis. Il Paese, scosso dalle minacce di dazi provenienti dall'altro lato del confine, arriva a questo evento con una nuova guida politica. Domenica, infatti, l'ex governatore della Banca centrale, Mark Carney, è stato eletto a larga maggioranza alla guida dei Liberali e quindi succederà a Justin Trudeau come primo ministro. Nelle stanze dell’hotel Fairmont Le Manoir Richelieu, gioiello di fine Ottocento che negli anni ha accolto tra gli altri un presidente degli Stati Uniti – William Howard Taft – e Fred Astaire e nel 2018 ha ospitato il G7 dei leader, i ministri degli Esteri dei Sette Grandi della Terra proveranno a trovare una via d’uscita alla guerra in Ucraina. Il dossier, dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ha allontanato come mai in passato le due sponde dell’Atlantico, in teoria alleate, ma che invece appaiono sempre più distanti mentre Washington si avvicina a grandi falcate a Mosca. Per il segretario di Stato americano, Marco Rubio, l'incontro nel gelo canadese è il primo G7, anche se il formato si è già riunito in via informale a margine della conferenza internazionale sulla sicurezza a Monaco. Rubio volerà a Charlevoix direttamente da Gedda, in Arabia Saudita, dove insieme al consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz ieri ha incontrato una delegazione ucraina – guidata dal capo dell'ufficio presidenziale, Andriy Yermak – con l'obiettivo di tracciare una via per la pace. E soprattutto riannodare i fili del rapporto con Kiev, a un passo dalla crisi dopo il drammatico 'incontro-scontro' tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca. Missione che per ora ha portato gli Usa a incassare il via libera ucraino a una tregua di 30 giorni. La vigilia del G7 canadese è stata intanto perfettamente in linea con gli ultimi tempi: una montagna russa dove si susseguono tensioni fortissime e poi improvvise schiarite. Tra le minacce – rientrate – di Elon Musk di spegnere Starlink al fronte, al più massiccio attacco con droni sferrato contro la regione di Mosca dall'inizio della guerra che, ha fatto sapere il Cremlino, non aiuta il dialogo, per gli ucraini di certo non è un momento facile. E neanche per l'Europa, che per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale si trova a dover fare i conti con la possibilità che gli Usa non garantiscano più la sua sicurezza. Per Bruxelles non è detto che ciò sia necessariamente un male. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato investimenti pari a 800 miliardi di euro per ‘riarmare’ l’Ue, un progetto a cui guarda con molto favore il ministro Antonio Tajani, da sempre sostenitore di una difesa comune europea. "In futuro dovremo garantire la sicurezza dell'intera Europa, compresa l'Ucraina, ma sicurezza, e questo voglio dirlo in maniera molto chiara, non è la corsa alle armi: rinforzare la sicurezza significa garantire il sistema dei trasporti, significa garantire la sicurezza dei confini. Significa garantire la sicurezza del Mediterraneo", ha dichiarato a margine di un evento a Verona. Uno dei problemi è come finanziare il piano ReArm Europe. Tra nuovi strumenti come Safe, debito comune e dirottamenti di fondi già stanziati come quelli per la Coesione, le proposte sul tavolo sono tante e anche i distinguo delle singole cancellerie. Divise anche sulla possibilità di dover inviare truppe in Ucraina una volta raggiunto il cessate il fuoco. Se Gran Bretagna e Francia hanno dichiarato di essere pronte a inviare soldati nell’ambito di una missione Nato (ne discuteranno una trentina di capi degli eserciti europei e dell'Alleanza, a cui si è aggiunta l'Australia, a Parigi), Tajani dice no a fughe in avanti e con la premier Giorgia Meloni indica la linea del governo: truppe sì, ma solo sotto il mandato Onu. Ma in ogni caso per Farnesina, Chigi e Quirinale è prematuro ragionare sull'invio di soldati italiani. Al Fairmont Le Manoir Richelieu – costruito in una posizione che domina il fiume St. Lawrence – i capi delle diplomazie dei Sette Grandi (anche se Trump ha già fatto sapere che non disdegnerebbe un ritorno al formato originale con il reintegro della Russia) approfondiranno anche altri due temi ‘caldi’, la guerra a Gaza e quella commerciale dei dazi scatenata dal tycoon e che fa tremare mezzo mondo. I negoziati sul futuro dell’enclave palestinese sembrano arrivati a un punto interlocutorio: Israele, che non esclude una nuova guerra, punta a estendere la prima fase dell’accordo sul cessate il fuoco per riportare a casa tutti gli ostaggi, mentre Hamas chiede l’attuazione – come da accordi – della fase due dell’intesa, che prevede il completo ritiro militare dello Stato ebraico da Gaza. Sul tavolo, intanto, i Paesi arabi hanno messo un piano congiunto per il futuro della Striscia che ha trovato l’adesione dei Paesi europei. La sensazione però è che anche su questo dossier l’ultima parola ce l’avrà Trump. E chissà se davvero Gaza diventerà una sorta di Riviera del Medio Oriente. L’altro tema, quello dei dazi, sta agitando i sonni di più di un leader europeo. Tajani ha fatto sapere che le contromisure italiane saranno annunciate il 21 marzo ed anche Oltreoceano la situazione non appare del tutto tranquilla. Proprio il Canada è da settimane protagonista di un durissimo braccio di ferro con l’Amministrazione Usa, che oltre a voler punire il suo vicino per presunte pratiche commerciali a suo dire troppo svantaggiose per gli Stati Uniti, non ha risparmiato neanche mire espansionistiche, con Trump che più volte ha indicato la volontà di far diventare il Paese confinante il 51esimo Stato americano. Determinato a ostacolargli la strada è Mark Carney, che nel suo discorso della vittoria si è rivolto agli americani, mettendoli in guardia dal "commettere errori" perché "nel commercio come nell’hockey, il Canada vincerà". La retorica populista di Trump ha avuto come primo effetto quello di ridare ossigeno al Partito Liberale che tutti i sondaggi davano per spacciato, ma che ora ha di nuovo qualche chance. Carney dovrà convocare le elezioni entro ottobre, ma è probabile che il voto venga anticipato. Intanto si gode i dividendi politici degli attacchi di Trump, che hanno risvegliato il nazionalismo nei canadesi attorno al governo e reso in salita la strada verso la vittoria dei conservatori guidati da Pierre Marcel Poilievre, appoggiato da Trump, Elon Musk e dal movimento Maga. Il rischio per il tycoon è che tra qualche mese possa trovarsi oltre confine un governo tutt’altro che amichevole (dall'inviato Piero Spinucci). —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)