L’Europa alla prova del secondo mandato di Trump: unita o “sparpagliata”? Da VicenzaPiù Viva n. 295 di febbraio 2025.

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Europa e Trump
Europa e Trump

(Articolo sul rapporto tra Europa e Trump da Vicenza PiùViva n. 295, sul web per gli abbonati ora anche il numero di 296 di marzo, acquistabile in edicola in versione cartacea).

Il 20 gennaio 2025 Donald Trump è stato ufficialmente nominato 47° presidente degli Stati Uniti d’America, fatto che ha generato non poca incertezza tra i leader dei Ventisette, che sono stati costretti a confrontarsi con i numerosi dubbi sul futuro delle relazioni transatlantiche e sulla tenuta della democrazia americana. Già dalle prime ore la nuova amministrazione statunitense ha rafforzato i timori di chi prospetta un allontanamento dalle dinamiche multilaterali, esacerbando la già forte pressione sull’Ue, che deve ridefinire il proprio ruolo nello scenario globale.

Una frattura che divide il continente

Di fronte a Trump, i leader europei hanno avuto reazioni profondamente distinte che possono essere incasellate in tre schieramenti principali.
I primi sono gli antagonisti, che difendono la sovranità europea e spingono per una maggiore indipendenza dagli Stati uniti. Emmanuel Macron, il volto più importante
di questa corrente ha ribadito più volte la necessità di un’Europa più forte, capace di difendere i propri interessi strategici senza dipendere da Washington. Simile è la posizione del premier polacco Donald Tusk, che durante il suo discorso davanti al Parlamento europeo, in occasione dell’inizio del semestre di presidenza polacca del Consiglio dell’Unione europea, ha invitato i colleghi europei a “guardare al futuro con coraggio” e a non temere di percorrere strade indipendenti.
La mezza via è rappresentata da chi vuole gestire i rapporti Ue-Usa in maniera pragmatica, con una diplomazia morbida nei confronti dell’amministrazione americana. I pragmatici, insomma, scelgono di trattare The Donald come un qualunque altro presidente Usa, ignorando le varie provocazioni che lui ha lanciato, soprattutto nelle ultime settimane (tipo conquistare la Groenlandia).
In questa corrente, spicca il ruolo della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che sembra determinata a mantenere il dialogo con Trump senza entrare in aperto conflitto.
Una strategia che, tuttavia, viene percepita come arrendevole da alcuni membri dell’Unione. L’altro grande rappresentante di questa corrente è Friedrich Merz, il candidato
dell’Union alle elezioni tedesche, previste verso fine di questo mese. Il probabile futuro cancelliere tedesco nella sua lettera di congratulazioni a Trump ha completamente sorvolato le intromissioni di Elon Musk a favore di Afd, il partito neonazista che è anche il suo principale antagonista.
Infine, la terza categoria sono i sostenitori europei di Trump, leader che si avvicinano alle sue posizioni, sia per opportunismo sia per affinità ideologica. Tra questi figurano nomi noti come Viktor Orbán e Giorgia Meloni, che vedono nel modello americano una possibile via per rafforzare le loro agende politiche nazionali.

La sfida della difesa comune

La questione della difesa rimane uno dei nodi centrali per l’Europa. Uno dei temi più rilevanti – almeno per noi europei – della campagna elettorale di Trump sono state proprio tutte le sue dichiarazioni contro la Nato. Il tycoon ha chiesto in più occasioni agli alleati di aumentare la spesa per la difesa al 5% del Pil, un obiettivo che molti Stati membri faticano ancora a raggiungere, considerato che alcuni di loro – Italia compresa – non arrivano
nemmeno al 2% attualmente previsto.
Nonostante i progressi teorici, come il piano per una forza di reazione rapida entro il 2025, l’Unione appare impreparata a fronteggiare scenari di crisi senza il sostegno americano. Come è stato presentato nel numero di dicembre, i Paesi membri hanno adottato il Fondo  europeo per la difesa, mirato a promuovere lo sviluppo di tecnologie strategiche e a consolidare il mercato europeo della difesa, che però impiegherà anni a produrre effetti tangibili e non risolve la frammentazione del settore difensivo europeo.
Un altro punto critico è rappresentato dalla mancanza di una politica estera comune coerente, che impedisce all’Ue di agire con un’unica voce nelle crisi internazionali.
Gli interessi divergenti tra i Paesi membri rendono difficile la definizione di priorità condivise, come dimostra il dibattito sulla guerra in Ucraina o sul ruolo della Nato.
“Se l’Europa deve sopravvivere, deve essere armata” ha intimato Donald Tusk al Parlamento Ue. Insomma, rimane cruciale investire nell’autonomia strategica europea che per ora, però, rimane ancora nelle parole e poco nei fatti.

Europa e Trump
Europa e Trump

Tecnologia e informazione: un terreno di scontro

L’influenza americana, poi, non si limita al campo geopolitico. Le grandi piattaforme digitali, guidate da personalità come Elon Musk e Mark Zuckerberg, stanno esercitando un’influenza crescente sui dibattiti pubblici europei. Le dichiarazioni di Zuckerberg sulla fine della moderazione in Meta e le azioni di Musk su X, come il supporto implicito a campagne di disinformazione e addirittura di supporto a partiti dei ultradestra come Adf, sono in diretto contrasto con i regolamenti europei come il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA). Addirittura Trump, nel Forum economico mondiale di Davos, ha sostenuto che le sanzioni applicate contro Apple proprio grazie ad DSA, rappresentano “una forma di tassazione. Di conseguenza abbiamo delle grandi lamentele con l’Ue”.
Questi strumenti legislativi, già approfonditi nel numero di ottobre del nostro mensile, rappresentano una risposta concreta dell’Europa per garantire maggiore trasparenza e
responsabilità delle piattaforme digitali, resta da capire come la Commissione intende rispondere alle provocazioni di Trump e dei giganti americani del tech.
Il premier spagnolo Pedro Sánchez, uno dei leader più critici della nuova amministrazione americana, ha sottolineato l’urgenza di utilizzare la regolamentazione esistente nei confronti di queste realtà, per proteggere la democrazia e contrastare le campagne di disinformazione che rischiano di destabilizzare il continente. Sànchez ha anche richiesto l’introduzione di un’identificazione digitale e la possibilità di perseguire direttamente i proprietari di queste piattaforme.

Lagarde e il rilancio economico

Per quanto riguarda la sfera economica, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha lanciato un monito sulla necessità di prepararsi al protezionismo crescente degli Stati uniti, incluso il rischio di nuovi dazi che potrebbero danneggiare le esportazioni europee.
“L’Europa deve reagire con unità e determinazione”, ha affermato, sottolineando che la risposta dell’Ue dovrà essere proporzionata e tempestiva. In particolare, la presidente della Bce ha evidenziato l’importanza di una politica industriale comune che consenta all’Europa di competere a livello globale, non solo negli scambi commerciali ma anche nelle innovazioni tecnologiche e nei mercati energetici.
Un punto chiave del discorso di Lagarde è stato il richiamo al rapporto Draghi, in cui sono indicate le priorità per il recupero della competitività. “Non possiamo permetterci di ignorare le implicazioni globali delle decisioni economiche americane”, ha aggiunto Lagarde, riferendosi anche alle difficoltà legate al rafforzamento del dollaro e all’impatto sulle economie emergenti.
La presidente ha invitato i leader dei Ventisette a “leggere e applicare le linee guida del rapporto Draghi”, sottolineando che agire con urgenza è ormai imprescindibile.

Quale futuro per l’Europa?

Di fronte a una presidenza americana che ridisegna le regole del gioco internazionale, l’Europa è chiamata a compiere scelte cruciali. Le divisioni interne, le priorità divergenti e le risposte spesso timide rendono il percorso verso una maggiore autonomia ancora più complicato. Sarebbe necessario un forte coordinamento politico – finora utopico – per rispondere alla sfida e presentare l’Ue come attore globale in grado di dettare la propria agenda. Staremo a vedere come si comporteranno l’Ue e i leader europei nei prossimi mesi di lavoro che li attende.