Giovanni Scarpellini: una vita al servizio della sicurezza pubblica

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Giovanni Scarpellini
Giovanni Scarpellini

(Articolo su Giovanni Scarpellini da Vicenza PiùViva n. 296, sul web per gli abbonati ora anche il numero di 297 di aprile, acquistabile in edicola in versione cartacea).

Sembra un modo di dire, ma il carabiniere romagnolo, poi capitano e infine, da vicentino di adozione, comandante della Polizia locale di Thiene e Schio lo ha dimostrato con i fatti da Ussassai, il più piccolo paese della Barbagia di Seùlo, passando per Legnano, spesso a fianco delle procure di Milano e Busto Arsizio, fino ai 34 comuni dell’Alto e Nordest Vicentino.

Giovanni Scarpellini, nato il 21 ottobre 1966 a Bagno di Romagna, in provincia di Forlì-Cesena, ha dedicato la sua vita al servizio pubblico.
Dopo aver conseguito il diploma in ragioneria, ha intrapreso la carriera nell’Arma dei Carabinieri nel 1985, inizialmente come carabiniere semplice, prestando servizio in Sardegna. Successivamente, ha frequentato la Scuola Sottufficiali, ottenendo il grado di vicebrigadiere e venendo assegnato alla Legione di Padova, operando in provincia di Rovigo.
La sua carriera è proseguita con il superamento del concorso per ufficiali, che lo ha portato a ricoprire il ruolo di tenente a Legnano, dove ha avuto modo di lavorare con procure di grande importanza, tra cui quella di Milano e Busto Arsizio.
Nel 2001, ha assunto il comando della Compagnia dei Carabinieri di Thiene, consolidando ulteriormente la sua esperienza nel settore della sicurezza pubblica.
Nel 2006, ha accettato la proposta di guidare proprio la Polizia Locale di Thiene, avviando un percorso che lo ha visto coordinare un consorzio in espansione, fino a includere 34 comuni. Nel 2014, ha esteso la sua leadership anche alla Polizia Locale di Schio, gestendo complessivamente circa 120 operatori e promuovendo un modello di gestione basato sulla collaborazione tra le forze dell’ordine e le amministrazioni locali. La sua formazione accademica comprende una laurea triennale in Scienze dell’Amministrazione e una magistrale in Giurisprudenza, titoli che hanno arricchito la sua capacità di affrontare le sfide professionali con una prospettiva più ampia.
Durante la sua carriera, ha affrontato numerose situazioni complesse, tra cui indagini su criminalità organizzata, operazioni contro la mafia albanese e l’Andrangheta, gestione di emergenze di sicurezza pubblica e coordinamento di attività investigative con procure di rilievo.
Dopo 43 anni e sette mesi di servizio, è andato in pensione il 1º ottobre 2024, lasciando un’eredità di impegno e rispetto nel settore della sicurezza pubblica.

Il giovane Scarpellini
Il giovane Scarpellini

Comandante Scarpellini, lei è vicentino di adozione ma romagnolo di nascita Ci racconti dei suoi primi anni in Romagna.

Sì, sono nato a Bagno di Romagna il 21 ottobre 1966. E ancora oggi, con mamma e papà romagnoli, faccio fatica a parlare senza tradire l’accento, lo sento io per primo.

Com’era da giovane la sua vita?

In Romagna, all’epoca, si iniziava a lavorare molto presto, soprattutto nel settore alberghiero e nelle campagne riminesi, dove si coltivava l’uva. Alternavo gli studi superiori con il lavoro negli alberghi come cameriere e nelle campagne come operaio agricolo durante la vendemmia quando finiva la stagione lavorativa al mare. E a fine vendemmia, prima di tornare a scuola, beh, quel Sangiovese meritava di essere assaggiato…

Dopo il diploma in ragioneria, preso a Rimini, studiando tanto anche se le belle ragazze del posto erano una tentazione, ha deciso di entrare nell’Arma dei Carabinieri nel 1985. Cosa l’ha spinta verso questa scelta?

È stata una decisione legata anche al servizio militare obbligatorio dell’epoca. Ero di leva in Marina e il servizio sarebbe durato 18 mesi, per giunta non sapendo quando sarei stato chiamato. Ho preferito, quindi, anticipare e partire nel 1985 da volontario con i Carabinieri, iniziando come carabiniere semplice e partendo da Roma come sede. Dopo il corso, sono stato assegnato alla Sardegna, a Ussassai, un comune italiano di 445 abitanti della provincia di Nuoro, il più piccolo della Barbagia di Seùlo, sotto il Gennargentu, un’esperienza inizialmente scioccante ma poi molto formativa. Ed è proprio vero quello che si dice, che in Sardegna si piange due volte. La prima quando arrivi e la seconda quando la lasci.
Lì, però, non ho fatto tantissimo, nel senso che nel frattempo avevo partecipato al concorso per sottufficiali, ho avuto la chiamata e a settembre dell’86 sono partito per Velletri per frequentare il primo anno della scuola relativa.
Però in Sardegna è stata una bellissima esperienza perché, innanzitutto, c’è della gente meravigliosa e poi è stato un po’ particolare perché facevamo il controllo agli ovili gestendo dinamiche locali molto particolari. Quindi è un qualcosa di assolutamente sui generis rispetto a quello a cui siamo abituati e lì ho vissuto esperienze che mi hanno forgiato.

Ma l’hai assaggiato in quell’occasione un po’ di filu ‘e ferru, l’acquivite sarda?

Eh sì, assolutamente. Per chi non lo sapesse, il filu ‘e ferru o filu ferru è un distillato tipo la grappa e si chiama così perché i pastori lo nascondono perché non lo si potrebbe distillare in proprio. Lo nascondono, quindi, sottoterra e per ritrovarlo mettono al tappo un filo di ferro che sporge dalla terra, da cui il nome. Valeva assolutamente la pena assaggiarlo così come gli altri prodotti locali che meritano, in primis il pecorino.

Ha, quindi, mi diceva, frequentato la Scuola Sottufficiali a Velletri, diventando vicebrigadiere, e successivamente ha vinto il concorso per ufficiali, arrivando a Legnano come tenente.

Dopo l’anno di scuola a Velletri ho fatto un mese e mezzo di tirocinio a Cesenatico, quindi in una località turistica d’estate. Poi sono stato destinato a Firenze e, dopo il secondo anno della scuola sottufficiali, sono uscito con il grado di vicebrigadiere e sono stato destinato alla legione di Padova, all’epoca praticamente la legione Veneto.

Quindi, la prima volta che si affacciò nel nordest dove è andato?

In provincia di Rovigo, ad Adria esattamente, dove ho conosciuto mia moglie, Nadia, di qualche anno più giovane di me. Mi sono fidanzato con lei nel 1990 e ci siamo sposati nel 1993. Poi abbiamo avuto nostro figlio, che ora lavora a Verona. Poi da lì ho avuto un incarico alla stazione di Rovigo, ho iniziato ad approcciarmi a quelli che erano i parametri del nucleo investigativo della provincia di Rovigo, del comando provinciale. Quindi ho avuto un incarico come comandante di stazione, la stazione distaccata di Crespino.

Come descriverebbe le tappe della sua carriera?

Ogni fase è stata fondamentale per la mia crescita professionale.
Nel Rodigino ho conosciuto dei colleghi che mi hanno indirizzato e anche stimolato a fare una domanda per fare il concorso come ufficiale, che ho vinto (non avevo ancora fatto l’università) e sono partito per Roma per il ruolo speciale degli ufficiali dei Carabinieri.
Stiamo parlando dell’anno 98, poi al termine del corso sono stato destinato a Legnano col grado di tenente dopo un breve tempo da sottotenente.
A Legnano, ho avuto l’opportunità di lavorare con procure importanti come Milano e Busto Arsizio, che ha competenza anche sull’aeroporto di Malpensa, tanto per farne capire l’importanza, e ho affrontato casi complessi che hanno arricchito la mia esperienza.
Ho avuto a che fare con indagini su omicidi, criminalità organizzata, e problematiche legate anche alla mafia albanese, operando in un contesto investigativo di alto livello. Ricordo indagini delicate che hanno richiesto mesi di lavoro e che hanno portato a risultati significativi nella lotta alla criminalità, tra cui anche la riduzione in schiavitù. A Busto si applicava spesso e volentieri l’articolo 416 bis che sarebbe l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

Nel 2000, è diventato comandante della Compagnia dei Carabinieri di Thiene e, poi, ambientatosi nell’Alto Vicentino e con le competenze maturate nell’Arma, nel 2005, ha accettato la proposta di guidare la Polizia Locale di Thiene. Cosa l’ha motivata a questo cambiamento?

A Thiene sono rimasto cinque anni come comandante di compagnia e lì è stai dopo lì è stato il momento in cui ho ottenuto entrambe le lauree. Mi sono iscritto all’Università nel 2004 conseguendo, prima, una laurea triennale in Scienze dell’Amministrazione, poi perfezionata con dei corsi online, tra l’altro abbastanza impegnativi ma che non hanno mai sottratto del tempo al mio impegno lavorativo, e poi la magistrale in giurisprudenza. Lauree entrambe importanti, anche se alla fine è l’esperienza quella che conta.

Premiazione di colleghi del comandante
Premiazione di colleghi del comandante

Quindi arriva a Thiene da tenente per il comando della stazione e poi diventa capitano e Comandante della compagnia. Ma poi?

E niente, poi dopo a un certo punto insomma c’è stata una proposta da parte dell’allora amministrazione comunale di Thiene di transitare nella Polizia Locale. Io in passato, fin dai tempi di Adria, avevo già collaborato con la Polizia Locale in passato e ne avevo apprezzato la professionalità. La possibilità di integrare le competenze dell’Arma con quelle della Polizia Locale, più improntata verso il discorso amministrativo, mentre i carabinieri hanno delle grandi esperienze a livello di ordine pubblico, di sicurezza, rappresentava una sfida stimolante per offrire un servizio più completo ai cittadini. Il modello di coordinamento con le forze dell’ordine ha portato a una crescita del consorzio, passando da 12 a 34 comuni.
In questo numero, in cui c’è la sua intervista, noi andiamo un po’ a raccontare i compiti dei vari, diciamo, corpi, pubblici e privati che operano per la sicurezza, perché molti, quando si parla di sicurezza, elogiano oppure se la prendono con la polizia locale che in effetti non avrebbe al riguardo compiti diretti se non alcuni specifici.
Però è stato proprio questo il mio plus: il fatto di mescolare queste particolari esperienze dove potevo dire di essere all’epoca al vertice dell’esperienza della polizia giudiziaria, della pubblica sicurezza e dell’ordine pubblico mescolandola con le competenze della propria politica locale. Quindi stiamo parlando dell’amministrazione, del commercio, delle ordinanze del sindaco, insomma cose di questo genere. E praticamente c’è stata una crescita professionale sia da parte mia sia da parte dei colleghi che hanno lavorato con me perché ci si sono aperti dei nuovi orizzonti.

La collaborazione con Schio e la gestione del consorzio di polizia locale sono state altre tappe importanti. Come ha affrontato questa responsabilità ampliata?

Non a caso, Thiene è stato un bel modello di efficienza, mi permetta questa parola, semplicemente perché c’erano tutte queste esperienze che si completavano a vicenda e, quindi, c’è stato un qualcosa che riusciva a dare una risposta molto più efficace a quelle che erano le esigenze del territorio, che non sempre sono di carattere solo penale o solo di carattere amministrativo. Ci vuole una sorta di integrazione, con le forze dell’ordine e con varie Istituzioni statali e locali.
Nel 2014, dopo l’elezione a sindaco di Schio di Valter Orsi, lui e il collega di Thiene, Casarotto, hanno subito pensato di fare una collaborazione tra i due consorzi. Schio non si è integrato nel consorzio, ha mantenuto la propria fisionomia ma nello stesso tempo le due aree avevano una figura di riferimento che in questo caso era il comandante direttore che riusciva a coordinare tutti gli aspetti in cui si potesse collaborare, non ultimo quelli della gestione delle pattuglie, delle attività di polizia giudiziaria e di quelle anti droga eccetera. Però quello che era molto importante a livello amministrativo era che le delibere erano uniformi per i cittadini, che un concorso che veniva fatto da una parte valeva anche per l’altra.

In quell’epoca, in questa fase di unione, di sinergia tra Schio e Thiene, quanti collaboratori rispondevano a lei e quanti Comuni collaboravano?

120 collaboratori, 17 Comuni da una parte più 34 dall’altra, quindi circa 50. Poi dopo c’è stata una breve parentesi anche con Bassano del Grappa, con Rosà, Romano D’Ezzelino, Tezze sul Brenta. È stata una sfida impegnativa ma gratificante. La chiave è stata promuovere la collaborazione e la condivisione delle risorse tra i vari comuni, migliorando l’efficacia del servizio. Coordinare 120 operatori e un’area vasta, per estensione e
per numero di cittadini, ha richiesto una gestione attenta e strategie innovative. Ci siamo concentrati su formazione continua, tecnologia e un approccio integrato alla sicurezza.

Ecco, noi ci siamo conosciuti tantissimo tempo fa e io ho potuto apprezzarla anche per la sua trasparenza. Poi lei era molto sensibile anche alla tecnologia, quindi a livello informativo lei è stata uno dei primi del settore a trasmettere informazioni rapide alla stampa, cosa di cui la ringrazio perché ci ha aiutato a far conoscere ai vari nostri lettori, che poi sono i cittadini, quello che succedeva nelle sue zone.

A me in tutto questo periodo, ritengo giusto dirlo perché è una cosa importante, la cosa che mi ha sempre destato la massima attenzione è quando c’erano delle situazioni che investivano il bullismo, il cyberbullismo, con gruppi di ragazzi che alimentavano le baby gang. Anche nelle scuole c’erano delle persone molto sensibili a questo tema, ci sono degli insegnanti che veramente ne hanno fatto una missione, insegnanti e anche presidi. Con loro mi sono sempre impegnato anima e corpo cercando di nel limite delle mie possibilità ovviamente di cercare di gestire e soprattutto di infondere fiducia ai ragazzi e ai ragazzini che in un modo o nell’altro avevano subito delle pesanti ripercussioni anche a livello psicologico da queste situazioni. Queste sono state, probabilmente, le volte in cui maggiormente e oggettivamente sentivo di fare qualche cosa di veramente importante.

Alcuni colleghi di Thiene
Alcuni colleghi di Thiene

Lei si è scontrato con questi problemi, diciamo, ma anche con quelli di droga, immagino, perché sono problemi che vengono spesso evidenziati dalla stampa, ma lei ha anche avuto modo, purtroppo per tutti noi, di passare, di gestire il periodo del Covid. Quali sono state le sfide più difficili durante la pandemia?

Il periodo del Covid-19 è stato particolarmente difficile. Le normative cambiavano continuamente e bisognava adattarsi rapidamente.
Chiaramente non era colpa di nessuno, per lo meno al nostro livello, perché nessuno sapeva cosa bisognava fare. I miei colleghi, di Thiene e di Schio, sono stati straordinari nel rispondere all’emergenza, assistendo i cittadini anche con servizi di supporto come la consegna di spesa e medicinali. Abbiamo dovuto gestire situazioni inedite e rispondere con flessibilità a richieste imprevedibili.
Gli scienziati dicono che ci dovremmo abituare a convivere con l’epidemia.
Forse adesso quel campanello d’allarme che è stato tremendo ci consentirà anche di aggiornare i piani di intervento e così via. Sono stati sconvolti tutti i parametri, le vite personali, le vite produttive, le vite di qualunque tipo. E molto quelle dei giovani con un impatto psicologico forse più forte che non sugli altri esseri umani perché, se gli adulti e gli anziani, comunque in grande difficoltà avevano un vissuto da poter “opporre” alle difficoltà per i giovani la privazione di momenti di socialità è stata tremenda.

Ecco, poi una domanda, doverosa, su un’esperienza che tocca, prima o poi, a tutti quelli che hanno un’importanza sul territorio. Come tutti quelli che contano, lei è stato, diciamo così, sottoposto, verso la fine della sua carriera pubblica, a un fuoco di fila di critiche relativa a fatti amministrativi, da cui è, poi, uscito alla sua maniera, con trasparenza. Ma cosa si prova quando uno dopo tanti anni di servizio pubblico viene additato come quello che non rispetterebbe la legge che per lei, per come la conosco, essendoci “scambiati” anche l’amicizia personale, è un mantra?

Infatti è un mantra. A un certo punto ho provato…

Amarezza, rabbia? Cosa ha provato?

No, mi sono guardato e ho pensato di dare importanza alle cose che hanno importanza. Praticamente a quella che è la stima, la condivisione, l’affetto delle persone a cui io voglio bene, la stima delle persone che io stimo, delle persone che mi conoscono, quindi quelli che mi conoscono direttamente. Chiaro che la pubblica amministrazione, soprattutto quella degli enti locali, ha un ambiente molto molto delicato. Non ci sono esclusioni di colpi, ecco questo è il discorso. E, quindi e purtroppo, bisogna prendere con realismo quello che può succedere. Praticamente tutti quanti possono essere attaccati, soprattutto in un ambiente della pubblica amministrazione e il fatto di lavorare di più e bene purtroppo a volte non ti aiuta. Ti aiuta solo se… non fai una mazza. Allora stai bene e nessuno ti romperà mai le scatole. Però nel momento in cui uno si dà da fare, hai nel tuo campo anche dei risultati per quanto limitati, diventi un obiettivo. Se sei un sasso troppo grosso nello stagno, vuol dire che entra in gioco anche la politica, lo scontro politico. E questo vuol dire tante cose.

Ma mi interessava sapere la sua reazione umana.

La reazione umana è proprio quella. A un certo punto ho guardato, ho pensato alle cose concrete, a cosa ho fatto e cosa devo fare. Le cose importanti. Ho guardato e alla fine cosa mi importa. Mi importa della stima delle persone che conosco.

Ecco mi sembra che questa stima sia stata… generale e, per quello che conta, anche la mia che, essendone profondamente convinto, ho cercato di trasmettere anche ai lettori. Ma, stiamo arrivando quasi alla fine della nostra lunga, ma bella, chiacchierata, che occuperà un’enciclopedia in questo numero, dalle foto che ho visto, dalla lettera che le hanno consegnato i colleghi di Schio, insieme allo scooter, ma anche da tante altre testimonianze, è certo che lei sia stato molto apprezzato anche dai colleghi. Questo le rende più facile o più difficile non entrare ogni mattina, magari anche h 24, in servizio?

È qualche cosa di straordinario, è chiaro che non puoi accontentare tutti, ma neanche nessuno ci prova, anche perché, insomma, si tratta di situazioni particolari, figlie delle situazioni contingenti.
In ogni caso, è stato un qualche cosa di straordinario, constatare l’affetto di tantissime persone e il fatto di aver improntato tutto dal primo momento, parlo della mia esperienza sull’umanità, sui rapporti umani, sul fatto di andare avanti, superare le difficoltà anche con leggerezza, anche con un sorriso, con una battuta.
Questo non vuol dire che siamo meno seri nell’affrontare le problematiche, per carità, però quello che ho sempre detto ai colleghi è che abbiamo comunque tanti problemi, cerchiamo di superarli insieme anche con il sorriso.

Ecco, dal giorno dopo il D-Day, quando ha salutato i colleghi per l’ultima volta nella sua funzione, perché so che è ancora in contatto con loro che le telefonano anche mentre la sto intervistando, dopo 43 anni di servizio, come ha vissuto il pensionamento arrivato il 30 settembre dello scorso anno?

Mi ero preparato, confrontandomi con chi era già passato attraverso questa fase. Sono orgoglioso del mio percorso e delle relazioni costruite. Adesso posso dedicare più tempo alla mia famiglia e ai miei interessi personali. Non mi annoio, anzi, ogni giorno è un’opportunità per fare qualcosa di nuovo.
In ogni caso non ho particolarmente sofferto, sono orgoglioso di quello che ho fatto e soprattutto dei rapporti umani che ho costruito in questo periodo sia con i colleghi sia con le persone esterne, per quanto possibile.
Non ci credevo quando me lo dicevano i pensionati, ma ti arriva a sera un momento che…
Ma passa, sono sempre pieno di attività, riesco finalmente a coltivare me stesso e quindi a fare anche quello che bene o male desidero fare, non che mi viene imposto dalle circostanze. E poi Nadia, mia moglie, mi ha detto che “adesso è tornato il Giovanni che avevo conosciuto”.
È bello dopo tanti anni di matrimonio avere una moglie che rimpiangeva in fondo il giovane Giovanni, diciamo.
Sì, perché, man mano che si sale di grado l’impegno cresce perché aumenta la responsabilità e per esempio la reperibilità: dovevo garantire una reperibilità, magari anche per una risposta telefonica ma costante per 365 giorni all’anno.
Le posso assicurare che non è mai successo o perlomeno succede raramente che uno possa prevedere quando hanno bisogno di lui ecco.

La cosa più bella che ha fatto nella sua vita?

Senza dubbio sposare mia moglie, una veneta di Rovigo, e avere con lei un figlio, uno splendido ragazzo di 29 anni.

Un’ultima domanda: ora cosa desidera di più oltre a godersi il suo mare in Romagna e le sue terre qui da noi?

La cosa che spero di fare in futuro è… diventare nonno!

Come chiudere quest’intervista-testimonianza?

Semplice: è stato bello raccontare storie di questo tipo in un mondo in cui l’uomo sembra diventato l’animale peggiore del Creato. E, ora passo finalmente al “tu”, ti ringrazio per questo, Giovanni.