L’inchiesta de Il Fatto Quotidiano su la Pedemontana Veneta: sprechi e veleni come in Campania, col ricordo… di Meneghello

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Zaia e Salvini
Zaia e Salvini

Inibià: forse questo aggettivo dialettale che si usa per “l’intorbidarsi del tempo o di un liquido o delle piante quando si ricava l’impressione che abbiano introitato una nebbia maligna”, avrebbe scelto lo scrittore Luigi Meneghello (Maredè, maredè) per definire le terre e il progetto della Pedemontana veneta, la strada che rischia di incepparsi proprio alle porte del suo paese, Malo nel Vicentino.

Concepita nel secolo scorso, rilanciata nel 2001 grazie alle “Semplificazioni” (poi definite criminogene) della legge Obiettivo voluta da Lega e Forza Italia, questa superstrada a pagamento di 95 km destinata a tagliare le province di Vicenza e Treviso per raccordare a monte l’A4 e l’A27, è diventata un vero campionario dei mali del Paese, anche prima del recentissimo interessamento della magistratura di Vicenza (che vista la complessità della questione si avvarrà di ben 5 consulenti, dalla finanza all’inquinamento) e dell’invio di ispettori da parte del ministero dell’Ambiente, mettendo a rischio l’apertura prevista a ottobre 2020.

Mentre lunedì 3 giugno, dopo mesi di annunci e rinvii, verrà inaugurato il primo tratto lungo circa 7 km alla presenza del governatore del Veneto Luca Zaia e del vicepremier Salvini che ha sostenuto Zaia nella polemica con il ministro dell’Ambiente Costa.

Un caso emblematico per il più generale problema del processo decisionale sulle grandi infrastrutture”, lo ha definito l’urbanista Mariarosa Vittadini: deroghe, competenze spostate (dallo Stato alla Regione, con forti conflittualità con i Comuni; dal 2017 il commissario è il vice Avvocato generale dello Stato), condizioni mutate (prima riscossione privata poi pubblica, prima residenti esenti dal pedaggio poi paganti…), previsioni sbagliate (ancora pochi anni fa si parlava di 50 mila veicoli al giorno, poi di 33 mila, oggi si spera ottimisticamente in 15 mila), e soprattutto un lievitare di costi che ha dell’incredibile.

Nato come modello di project-financing, il progetto della Pedemontana ha comportato un partenariato pubblico-privato così squilibrato e mal fatto che “non solo non ha portato i vantaggi ritenuti suoi propri, ma ha reso precaria e incerta la fattibilità dell’opera stessa”: così, in una relazione del 2017, il giudice della Corte dei Conti Antonio Mezzera che (ne parla Francesco Erbani nel suo libro Non è triste Venezia) seppe denunciare in anticipo, solo e inascoltato, i contorni dello scandalo Mose.

Mezzera ricordava come per la Pedemontana il contributo pubblico a fondo perduto sia passato dai 173 milioni del 2009 ai 914 del 2017; in più la Regione si è impegnata a pagare per 30 anni un canone annuo di 154 milioni al concessionario (nel 2009 erano 14,5!), tenendo per sé le eventuali eccedenze derivanti dalla riscossione dei pedaggi, ma è molto probabile che eccedenze non ve ne saranno (anzi), e che dunque al concessionario andranno utili di miliardi senza rischio d’impresa: un sistema che fa impallidire le concessioni ai Benetton.

L’ALLARME AMBIENTE

Questo nastro di bitume creerà, in un territorio delicato, una diga dagli effetti idrogeologici potenzialmente esplosivi

E fossero soltanto i soldi. Progettato per il 72% in trincea o in galleria, questo nastro di bitume creerà in un territorio delicato una diga dagli effetti idrogeologici potenzialmente esplosivi. Tra cavalcavia, sottopassi e incroci a raso, il raccordo con le strade esistenti è poi complicato. La galleria Castelgomberto-Malo, la più importante delle sostanziali varianti al progetto (la cui Via è del 2005), è stata impugnata dal comitato CoVePa in un ricorso tuttora pendente al Tar del Lazio, ed è già stata macchiata nel 2016 da un crollo con un morto in cantiere; di certo, sta comportando lo scavo di milioni di metri cubi di roccia.

Gli effetti di demolizioni ed espropri del paesaggio rurale non riguardano solo la vita di singole famiglie, bensì la definizione stessa di un intero territorio, come mostra la trilogia Asfalto del documentarista Dimitri Feltrin (un episodio è dedicato agli sbancamenti a Riese, la patria di papa Pio X). Quasi un simbolo gli uccelli (anche specie protette) che muoiono a decine schiantandosi contro le barriere trasparenti non segnalate con gli appositi adesivi, che pure costerebbero poco. E poi c’è il ruolo diagnostico della Pedemontana: scavando una sede stradale più bassa del piano campagna, sono stati trovati 270 tonnellate di amianto e rifiuti tossici a Trissino, un’intera discarica nel cantiere di Montecchio, vicino all’epicentro della contaminazione da Pfas.

È uno scenario degno della Campania, e non è un caso che il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che ha lottato per anni nella Terra dei fuochi, abbia deciso di spedire i carabinieri del Nucleo operativo ecologico ad approfondire la situazione. Il tutto per una strada che fatica a inaugurare un solo tratto, e che rischia di trasformarsi in una Brebemi ancor più inutile e dannosa.

Luca Zaia, il popolare governatore pronto con la pettorina quando si verificano le catastrofi ambientali, minimizza gli inciampi (mentre invece già nel 2016 la Commissione parlamentare ecomafie ha mostrato il nesso stretto fra la gestione dei rifiuti e un “contesto di illegalità diffusa” che interessa anche le opere pubbliche), e vuole a tutti i costi appuntarsi sul petto la realizzazione della Pedemontana, che ha da sempre presentato come un tratto della Rete di trasporto trans-europea, essenziale allo sviluppo dell’economia locale, frutto della virtuosa partnership con il privato dinanzi all’immobilismo dello Stato centralista.

Che cosa sia successo davvero in termini di legislazione e di prassi ambientale nel nostro Paese, quante tutele siano state abolite o depotenziate, e soprattutto in che misura il Veneto (la terra di Porto Marghera e del Mose, di Porto Tolle e degli Pfas) abbia configurato un modello per indebolire gli strumenti di tutela ambientale in barba ai principi di precauzione e di condivisione delle decisioni in materia, lo mostrano con chiarezza i saggi raccolti in un prezioso volume a cura di Maurizio Malo, Giustizia per l’ambiente: pace per la comunità (Cleup 2019), in particolare quello duro e illuminante di Matteo Ceruti.

Per chi lo legga, la propaganda del governatore troverebbe nel dialetto della Malo di Meneghello un equivalente che oscilla tra “incantonar” (“bloccare in un angolo, figurativamente irretire sul piano delle argomentazioni”) e “insinganar”; cioè “intortare”.

L’etimologia è evidente.

di Filippo Maria Pontani da Il Fatto Quotidiano