Inverno demografico. Ecco cosa cambiare per tornare a crescere

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Culle vuote e case di riposo piene. Nel 1970 nascevano 970 mila bambini, nel 2016 sono stati 450 mila, quasi la metà. Questa la fotografia di un Paese che ha smesso di investire sul futuro e non ha fatto più figli se è vero che oggi abbiamo 1,33 figli per donna in età fertile, quando il numero necessario per garantire un ricambio generazionale accettabile è fissato a due.

C’è un problema culturale, alla base, cui si aggiunge quello cronico della mancanza di servizi a supporto della famiglia. Ma per riprendere il filo interrotto ormai 40 anni fa, si deve ripartire dal lavoro, favorire l’impiego femminile: nelle aree in cui le donne lavorano di più i tassi di natalità sono più elevati.  Ma serve un cambiamento nelle modalità di lavoro: flessibilità negli orari, possibilità di lavoro part-time, possibilità di lavoro da remoto-telelavoro, valutazione del lavoro in base al risultato e non alle ore d’ufficio, nidi aziendali.

E servono azioni concrete di welfare familiare. In realtà negli ultimi anni numerose misure di sostegno sono state prese dai vari governi, dall’assegno di natalità al bonus per la frequenza al nido. Il vero problema è che le misure non sono stabili nel tempo e non hanno fondi sufficienti.

I nidi esistenti, nati con la vecchia legge del 1971, vanno stabilizzati; ma accanto ad essi vanno promossi i nuovi nido: quelli “in famiglia”, introdotti con una legge del 2017 ,fino a sei bambini, flessibili negli orari. E vanno promossi nuovi nido secondo il modello del partenariato pubblico-privato. Non solo. Si può anche pensare il passaggio dal finanziamento dell’offerta (dal Comune all’asilo) al finanziamento della domanda (dal Comune alle famiglie, tramite voucher spendibili in qualunque asilo, pubblico o privato-sociale o privato puro che sia). È sul fisco che servono le risorse più ingenti. Costerà molto, ma è uno dei veri investimenti sul futuro se vogliamo ridare un futuro al Paese.