Dolomiti, da dieci anni patrimonio dell’umanità

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Renato Frigo, presidente del Cai Veneto.

Sono passati dieci anni da quando l’Unesco ha proclamato le Dolomiti “Patrimonio dell’umanità”, il 26 giugno del 2009. E in prima linea per festeggiare questo anniversario c’è un vicentino: Renato Frigo, 65 anni, di Sovizzo, è da pochi mesi presidente del Cai Veneto, dopo esserne stato vice presidente e coordinatore delle sezioni vicentine.

Parlare di Dolomiti oggi, non significa parlare solo di alcune tra le montagne più belle del mondo, patria di escursionisti e rocciatori, ma di un rapporto tra l’uomo e la montagna profondamente cambiato negli ultimi anni e che, al primo, chiede «un salto di qualità, una maggiore educazione verso la montagna e chi la frequenta».

Presidente, che benefici ha portato alle Dolomiti il riconoscimento dell’Unesco?

«I benefici sono stati molti, di sicuro ha fatto fare un salto di qualità al territorio in termini di presenze, ma numeri a parte ha fatto prendere coscienza che quello dolomitico è un ambiente che va preservato».

Eppure non sembra che chi frequenta la montagna sia sempre consapevole di dove si trova.

«È vero, l’approccio alla montagna è spesso superficiale, c’è un grosso problema di educazione. Ma anche di modello turistico. Ho avuto modo di dirlo in diverse occasioni, anche pubbliche: non possiamo pensare che il modello sia sbarcare un milione di cinesi l’anno a Venezia, caricarli su un pullman, fargli fare il giro delle Tre Cime di Lavaredo e poi scaricarli a Cortina per fare shopping. Non so quanto questo possa reggere, di certo non mette le basi per un equilibrio sostenibile tra turismo e ambiente».

Prima parlava di “educazione”. Cosa intendeva?

«Oggi la moda è quella del “non stop”. Si gira in montagna a tutte le ore. Pensiamo alle Gallerie del Pasubio: l’afflusso di persone è continuo, anche durante la notte. Bisogna però dare un limite, perché la natura, anche se non sembra, non è “h24”, ha dei tempi che vanno rispettati».

Per esempio?

«Per esempio la notte, oppure i periodi in cui gli animali selvatici hanno i cuccioli: se disturbati, possono allontanarsene o addirittura abbandonarli. Per non parlare dell’inquinamento e dell’abbandono di rifiuti. L’impatto dell’antropizzazione è molto elevato».

Crede che l’accesso ad alcuni sentieri andrebbe vietato?

«No, io sono per la montagna aperta. Prima di vietare, le persone andrebbero educate. Ma se la testa è dura, allora temo che sì, delle limitazioni andrebbero introdotte».

Ma “educare alla montagna” cosa significa?

«Rendere la gente consapevole di quello che sta facendo. Oggi il vestiario da montagna va molto di moda, è diventato una “griffe” in alcuni casi. Ma non è la maglietta firmata che fa di te un alpinista. L’alpinista lo fa l’esperienza. Saper seguire un sentiero, avere l’abbigliamento e le calzature  adatti, calcolare i tempi, studiare il meteo, portare con sé l’alimentazione corretta  e la giusta quantità di acqua e, soprattutto, chiedersi: “ce la farò”? Se onestamente la risposta è “no”, allora meglio tornare indietro. La montagna è sempre lì, non vale la pena rovinarsi la giornata. Ma c’è un altro problema».

Quale sarebbe?

«Manca anche l’educazione nei rapporti tra le persone. Nei rifugi se ne vedono di tutti i colori, gente che si arrabbia perché la pastasciutta non è secondo i suoi gusti, o torme di persone che salgono i sentieri urlando, nel vero senso della parola. Tra escursionisti non ci si saluta nemmeno più incrociandosi. Solo i tedeschi lo fanno ancora».

Il Cai riesce a fare questo lavoro di educazione?

«I soci del Cai sono in continua crescita e se si guarda gli incidenti in montagna, i nostri soci coinvolti sono il 4% del totale. Per cui direi di sì. Merito anche della vivacità delle nostre sezioni. Nel Vicentino sono 14 (con 14mila soci, ndr), tutte ben inserite nel territorio».

Oggi se si parla di sentieri occorre fare i conti con la “tempesta Vaia” di ottobre. Com’è la situazione?

«Sia nel Bellunese che nel Vicentino molti sentieri stanno riaprendo, ma non tutti sono percorribili, specialmente quelli che attraversano boschi con alberi abbattuti. Raccomando di informarsi sul sito del Cai, prima di intraprendere un sentiero».