Rischia di non essere più conclusa la Superstrada Pedemontana Veneta – scrive Giuseppe Pietrobelli nei due articoli de Il Fatto Quotidiano di ieri che vi proponiamo – , attualmente l’opera stradale cantierata più importante in Italia, con un costo finale che sarà di 2 miliardi e 300 milioni di euro. Ma non tanto per la battaglia dei comitati di cittadini che da una decina di anni stanno combattendo contro tutto e tutti. Bensì per l’ultima inchiesta della magistratura vicentina che ha sequestrato la galleria di Malo, lunga circa sette chilometri e mezzo, per frode in pubbliche forniture.
Un reato che sembra di poco conto, ma che in realtà mina dalle fondamenta la solidità della galleria che si sta scavando, a causa dell’uso di materiale (soprattutto acciaio e calcestruzzo) che secondo la Procura di Vicenza è di serie B, al punto da aver causato crolli a catena e in passato anche la morte di un operaio. E così la galleria rimarrà sequestrata chissà per quanto tempo, mentre la Regione Veneto continua a dichiarare che la Pedemontana verrà ultimata nei termini del cronoprogramma, ovvero entro la fine del 2020. Ma se anche quel giorno il nastro d’asfalto dovesse essere completato, mancando la galleria (che era già in ritardo) nascerebbe una Pedemontana zoppa. Che non raccoglierà il traffico proveniente dalla A4 per dirottarlo verso la A27 a Spresiano (e viceversa). Il volume dei passaggi sarà inevitabilmente ridotto e per la Regione Veneto – impegnata nel finanziamento dell’opera – sarà un disastro economico.
“Frode nelle pubbliche forniture”
A gettare scompiglio è il decreto di sequestro preventivo firmato dal gip Matteo Mantovani, che ha accolto le richieste del pm Cristina Carunchio. Nell’inchiesta che riguarda il consorzio Sis e la società di progetto SPV, ci sono quattro indagati: Luigi Cordaro, direttore di cantiere con procura dei lavori sul Lotto 1; Fabrizio Saretta, responsabile del Lotto 1 (tratta C); Giovanni Salvatore D’Agostino, direttore tecnico della concessionaria Società Pedemontana Veneta; il direttore dei lavori Spm, ingegnere Adriano Turso.
Il reato ipotizzato è la frode nelle pubbliche forniture, attuata “realizzando i lavori di scavo della galleria di Malo, utilizzando materiali non marchiati Ce e impiegando materiali (in particolare miscele di calcestruzzo) diversi da quelli previsti dagli elaborati progettuali”. Le società fornitrici del materiale sono: Ar.Co di Brescia (strutture metalliche), Macevi di Mogliano Veneto (calcestruzzo), Crestan Fratelli di Trissino (calcestruzzo), Edil Centro di Piovene Rocchette (materiale da costruzione), Picenumplast di Fermo (lastre e tubi in plastica), Dywit di Cusago in provincia di Milano (materiali ferrosi) e Assotubi di Cesena (materiali ferrosi).
Il decreto di sequestro fa parte della terza inchiesta vicentina sulla Pedemontana (ma fra Treviso, Vicenza e Venezia, gli esposti sono numerosi). La prima, per omicidio colposo, riguarda la morte nel cantiere dell’operaio Sebastiano La Ganga, di 54 anni, avvenuta nel 2016 a seguito di un crollo. La seconda è stata aperta dopo che nel settembre 2017 è ceduta la galleria, con il crollo della superficie sovrastante. Gli ingegneri Rossitto e Pasqualon hanno effettuato perizie per chiarire se in quella galleria ci siano condizioni di sicurezza e se il cantiere possa proseguire. La risposta è negativa: gravi carenze nei tubi in acciaio, nel pvc e nel calcestruzzo.
“Problemi di staticità Ma andavano avanti”
Le parole del gip sono chiarissime: “I ripetuti crolli, l’incidente mortale, gli smottamenti, gli splaccaggi dello spritz (iniezioni di cemento sulla volta, ndr), la preoccupazione sempre maggiore da parte degli operai per la loro stessa incolumità, sono inequivoci segnali di evidenti problematiche di staticità della costruzione, riconducibili alla scarsa qualità del materiale impiegato”.
Inoltre, “il fatto che pur a fronte di questi eventi sempre più frequenti, non vi sia la decisione di arrestare l’opera o di intervenire in modo efficace per sostituire i materiali, dimostra che il perdurare dell’attività di costruzione secondo tali modalità non avrà altro effetto se non quello di aggravare le conseguenze del reato, per rispettare le strette tempistiche contrattuali altra scelta non rimane se non quella di proseguire come sempre si era fatto costruendo con il materiale a disposizione”. È per questo che il sequestro ordinato dalla magistratura mette una seria ipoteca sulla realizzazione di tutta la Pedemontana Veneta.
Giuseppe Pietrobelli
“Anche i lavoratori hanno paura, la volta sta cedendo”
L’inchiesta sulla galleria della Pedemontana Veneta, tra Castelgomberto e Malo, ha scoperchiato uno scenario sconcertante, confermato dalle intercettazioni che coinvolgono anche i quattro indagati, Luigi Cordaro, Fabrizio Saretta, Giovanni d’Agostino e Adriano Turso.
Tubi non certificati. I primi aspetti riguardano l’escavazione e il consolidamento, “ovvero infiltraggi nella calotta con tubi di acciaio iniettati con miscela di cemento, in numero e di lunghezza inferiore rispetto a quanto indicato nel progetto”. La direzione non aveva effettuato controlli per accettazione sui materiali. Un tecnico dice: “Le barre che abbiamo sempre utilizzato… quelle Arco, non sono certificate. La documentazione che abbiano a corredo non funziona neanche bene perchè per la testina ci mancherebbe quel famoso certificato che abbiamo scoperto non andare bene… in quanto è fasullo fondamentalmente”.
ACCIAIO SCADENTE. Materiale di serie B. Un tecnico spiega a Saretta: “…l’acciaio doveva essere diverso da questo che è stato utilizzato, acciaio 355. Io invece ho indicato quello che doveva essere il materiale, un S450”. Saretta: “In questo certificato che c’è scritto?”. Stoppa: “S355, c’è scritto…”. Saretta: “Minchia!”. Ordinavano un tipo di acciaio, ne arrivava uno diverso e non controllavano. Scrive il gip: “Ciò nonostante la produzione continua con l’acciaio di minore resistenza”. E cita una intercettazione in cui la ditta fornitrice spiega che loro “l’acciaio S450non lo hanno mai comprato”. Per ridurre i danni, qualcuno propone di lasciare due tipi di acciaio, uno più resistente per le barre, uno meno resistente per le testine. Ma così quest’ultimo si romperà prima, scrivono i consulenti del pm.
“FAI SPARIRE I TUBI”. Uguali problematiche si verificano per i pozzetti in cemento, “anch’essi non certificati, giacché provenienti da società per le quali vi è addirittura il concreto dubbio che non abbiano le certificazioni richieste, ovvero da fornitori considerati poco affidabili”. Idem per la fornitura e la posa in opera dei tubi in pvc. Continua il gip: “Si riscontra l’assenza della marcatura Ce e la non conformità ai requisiti contrattuali che richiedevano una maggiore resistenza dei tubi da utilizzare per la costruzione della galleria rispetto a quelli ordinariamente impiegati nell’edilizia”. Il grave è che “parte della fornitura era già stata posata”. Un tecnico, intercettato: “Noi abbiamo chiesto i tubi marcati Ce, ma nel magazzino sono arrivati gli altri e nessuno ha controllato, capito?”. E uno degli indagati arriva a suggerire “di farli sparire dal magazzino”.
“MANCA IL CEMENTO”. Il capitolo più agghiacciante è quello della copertura della volta. “Per il cemento utilizzato per le operazioni di spritz, la gettata di consolidamento della volta, si evidenzia la consapevolezza degli indagati della mancanza di conformità”. Il gip scrive di problemi drammatici, “sia per difetti di tenuta dello spritz, sia in occasione delle ‘volate’, cioè le esplosioni controllate per fare avanzare il cantiere, sia per fenomeni di ‘splaccaggio’ dello spritz, distacchi di vaste porzioni di gettata”. Le intercettazioni dimostrano “la sempre maggiore preoccupazione per la propria incolumità che pervade gli operatori destinati a lavorare all’interno della galleria”. Dice l’indagato Saretta: “C’è la questione dello spritz, che deve essere diverso da quello che usiamo… però lì possiamo sempre fare la storia che partiamo con lo spritz non qualificato e poi lo qualifichiamo dopo”.
“CROLLA LA VOLTA”. Lo stesso direttore dei lavori Turso spiega che se non hanno avuto spritz a sufficienza da mettere sulle centine “ti devi bloccare… non la puoi fare la volata (l’esplosione, ndr)…se tu vedi, mi hanno mandato le fotografie, ci stanno tutte le centine… perfino le catene si vedono e questo è un problema…”. Insomma, i vertici tecnici sanno che c’è rischio di crolli. Cordaro: “Ma sono proprio così eclatanti questi vuoti?”. Turso risponde: “Ci stanno sicuramente delle centine, soprattutto nella parte superiore. Guarda caso in calotta, tra le centine non ce ne sta spritz. Si vendono le catene”. Uno dei tecnici dice: “C’è un problema alla Nord-Vicenza. Qui si stacca il fronte, non tiene lo spritz… praticamente continua a staccarsi e quindi si sono fermati… la volta sta cedendo”. E Saretta ordina: “Fermiamo tutto prima che…”.
“ABBIAMO PAURA”. All’inizio di aprile un operaio è preoccupato. “Ieri sera ero là verso le 8 e si è spacchettato pure il fronte, ma a placche belle corpose…”. E così viene invitato “a fare un salto per rassicurare chi lavora in galleria…”. L’indagato Cordaro: “Facciamolo perché la gente sotto ha paura… quella sera ne sono successe due e, ti giuro, meno male che non c’era nessuno sotto che erano due splaccaggi proprio abbastanza forti, uno di un paio di metri quadrati e uno di circa un metro quadrato, che è venuto giù in maniera proprio repentina”. Un altro operaio, rivolto a Cordaro: “Lo conosci a mio fratello… è uno che in galleria ci sta 24 ore al giorno, il materiale lo conosce ed è molto preoccupato. Tu devi anche capire le nostre paure, perché sai che siamo coraggiosi e non ci tiriamo indietro”.
Giuseppe Pietrobelli