Continue pressioni da parte dei dirigenti della Popolare di Vicenza per indurre il proprio personale a piazzare ai clienti le azioni della banca; clienti obbligati ad accettare per non perdere mutui e finanziamenti; dipendenti minacciati di rimozione o licenziamento nel caso di minima obiezione in merito alla irregolarità delle operazioni che erano spinti a concludere. È grazie a centinaia di email, acquisite nel corso delle indagini assieme alle testimonianze di numerosi funzionari, che la Consob ha “incastrato” i vertici della Bpvi, e ora sono quelle stesse comunicazioni di lavoro, inviate in via telematica tra il 2013 e il 2015, ad aver convinto la Corte d’appello di Venezia a confermare le sanzioni inflitte dell’organismo di vigilanza della Borsa.
«È tassativo “pretendere” che tutti i nostri clienti affidati debbono essere soci… – scriveva Claudio Giacon, responsabile della Divisione corporate – non organizzare un’azione commerciale incisiva…»
I primi finanziamenti concessi in cambio dell’acquisto di azioni risalgono al 2009, ma in quella fase riguardano gli imprenditori con esposizioni più elevate. All’epoca l’esigenza della banca era di svuotare il Fondo di acquisto azioni proprie. Il boom delle “operazioni baciate” esplode tra il 2013 e il 2014, quando la Bpvi è costretta ad un consistente aumento di capitale a fronte di quasi 800 milioni di perdite in due anni. Da quel momento viene attivata «un’azione commerciale “strutturata e pervasiva”… con un vero e proprio obbligo in capo alla clientela di acquisto di azioni…», rilevano i giudici della Corte d’appello.
Un vero e proprio «pressing della Direzione generale sempre più incalzante, sino ad arrivare alla formalizzazione ed assegnazione di specifici obiettivi a ciascuna area», come ha spiegato alla Consob Luigi Veronese, direttore regionale Veneto orientale. «Ogni affidamento o rinnovo doveva prevedere la sottoscrizione di azioni della banca per almeno il 10 per cento», ha precisato Costante Turco, già direttore regionale Centro sud, che in una mail spiegava ai vertici che ogni Area aveva «un obiettivo annuo/mensile/giornaliero».
Ai clienti veniva concesso in cambio uno storno degli interessi dovuti sul finanziamento, oppure dividendi e plusvalenze. La Consob ha scoperto che nel 2014, per nascondere l’anomala crescita degli storni, «fu adottato il meccanismo dei cosiddetti “due conti”, che prevedeva l’erogazione su un conto acceso ad hoc di un finanziamento di importo superiore al controvalore delle azioni che il cliente si impegnava ad acquistare e, una volta effettuato l’acquisto, il trasferimento della differenza tra l’importo finanziato e quello acquistato di azioni sul conto corrente ordinariamente utilizzato dal cliente». Secondo i giudici, i vertici della banca erano pienamente consapevoli dell’irregolarità del modus operandi come dimostrano le istruzioni che Emanuele Giustini (il vice del direttore generale, Samuele Sorato) diede nel 2015 ad un sottoposto, al quale disse di «inserire nei rapporti dei clienti affidati più fidelizzati altre tipologie di titoli in modo tale che, a fronte di eventuali controlli di Banca d’Italia, non apparisse che il rapporto era dedicato esclusivamente ad azioni Bpvi». Agli atti vi è anche qualche lettera di protesta di clienti che «OGNI FIDO DOVEVA PREVEDERE LA SOTTOSCRIZIONE Di AZIONI DELLA POPOLARE PER ALMENO Il 10 PER CENTO» definiscono una “forzatura” il comportamento della banca. In altre mail i vertici vengono relazionati in merito all’esito della pressione esercitata sui clienti: «Dopo estenuante trattativa siamo riusciti oggi ad assicurare la sottoscrizione di euro 90 mila di aumento di capitale…», viene informato il coordinatore commerciale, Gianmaria Amato. Inquietante è anche il capitolo dedicato alle pressioni subite dai dipendenti, ai quali venivano paventate la rimozione dall’incarico o altre conseguenze: «Abbiamo lasciato a casa gente anche per molto meno» disse Marco Valente, direttore del personale della Popolare di Vicenza. Giustini invitava i sottoposti ad un «maggior allineamento alle direttive aziendali» e, nel corso dell’inaugurazione delle sede di Roma, minacciò esplicitamente di licenziamento «qualora non fossero stati raggiunti gli obiettivi sul capitale». Dalle carte della Consob, analizzate dalla Corte d’appello, emerge poi l’esistenza di “lettere di garanzia” (ne sono state trovate 65) rilasciate ai clienti per assicurare loro che avrebbero potuto rivendere le azioni Bpvi ed estinguere il finanziamento. Alcune furono firmate da Sorato e Giustini. Nell’agosto del 2015 il Consiglio d’amministrazione della banca ha disconosciuto la validità di tali impegni.
di Gianluca Amadori da Il Gazzettino pag 12