Confindustria Vicenza e politica, Vescovi: la Lega delude il Nord, le imprese vogliono stabilità

134
Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza
Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza
«Finirà che venderemo le nostre aziende. Fare impresa in Italia sta diventando impossibile: troppe incertezze, troppa instabilità. In giro per il mondo c’è un mare di liquidità e chi è a caccia di investimenti con ritorni interessanti, corteggia i gioielli italiani…».
Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza, ndr) è appena rientrato in ufficio da un giro nei suoi cantieri. Per lui che guida un’azienda edile e soprattutto, i 1700 industriali vicentini (86mila posti di lavoro complessivi), la crisi di governo in pieno agosto è una maledizione. Per di più di un esecutivo con forte presenza leghista, dunque con radici ben salde nell’humus del Nord-est.
Svolta «inconcepibile », anche se non proprio inattesa: «L’atto finale di un governo che si autoproclamava “del cambiamento” e che invece si è limitato ad accontentare le proprie sacche di voto».
Presidente, fa più male la crisi di governo o quel meno 8% dell’export tedesco?
«Un colpo di tosse della Germania per noi diventa polmonite. Il sistema produttivo italiano e, in particolare, quello del Nord-est, sono totalmente integrati nel contesto europeo e non ci possiamo permettere alcun elemento di incertezza».
Qual è l’ impatto concreto della crisi di governo sull’economia?
«Quantomeno una forte frenata degli investimenti, perché è una crisi al buio e con tempi di soluzione imprevedibili».
Lei ha parlato spesso di “governo anti- imprese”. Il fatto che questo esecutivo sia caduto, non aiuta gli industriali a guardare al futuro con più ottimismo?
«Un sospiro di sollievo c’è, perché finisce la politica statalista e dirigista che ci ha portato indietro di quarant’anni. Ma il sollievo è poca cosa: prima di saltare, il governo doveva almeno fare la Finanziaria. Aprire la crisi il 9 agosto disorienta».
Preferisce che si vada velocemente al voto o che si formi un governo di scopo per la manovra?
«Dico solo che mi tranquillizza la saggezza del presidente Mattarella. Lui è un punto di riferimento assoluto, anche se peserà la mancata riforma elettorale. Si andrà a votare con il “rosatellum” che non garantisce alcuna stabilità».
In questo anno di governo l’hanno delusa di più i leghisti o i grillini?
«Non farei classifiche. Intanto è stato un grave errore appaltare l’intera politica economica al M5S, con il risultato di un mercato del lavoro più rigido, di un ritorno allo statalismo, delle giravolte sull’Ilva, del clamoroso autogol sulla Tav. Di Maio voleva trasferire risorse dalle infrastrutture ai consumi, una miopia totale in un Paese come il nostro trainato dall’export».
E la Lega? In fondo ha sbloccato la Tav e ha combattuto per l’autonomia differita…
«Per favore non mi parli dell’autonomia… Salvini ha la gravissima responsabilità di non averla realizzata: qui in Veneto al referendum ha votato sì il 98% degli imprenditori, e sia chiaro senza alcuna mira secessionista. Anche sulla Tav lasciamo perdere: si è perso un anno! E poi vorrei chiedere alla Lega perché non ha mai parlato di Alitalia: la compagnia va chiusa, non c’è alcuna possibilità di farla sviluppare».
Nessun mea-culpa degli imprenditori? Anche Confindustria si è seduta all’irrituale tavolo di confronto al Viminale tra Salvini e le parti sociali.
«Noi e i sindacati ci siamo fatti scippare dalla politica l’interlocuzione con le nostre stesse basi. Da Renzi in poi i corpi intermedi sono usciti dal campo di gioco: ora serve un ripensamento del nostro ruolo e del nostro modello comunicativo».
Cosa chiederanno le imprese al futuro, nuovo governo?
«Innanzitutto investimenti nella formazione, fondamentali anche per il sistema produttivo. Serve una vera selezione del corpo insegnante nel Paese, basta con la scuola e l’università dei “concorsoni” pubblici. Poi una seria politica delle infrastrutture: penso naturalmente alla Tav, da allargare a tutto il Paese, alla rete 5G nelle telecomunicazioni, ai termovalorizzatori, al ripristino degli incentivi per l’industria 4.0».
di Marco Patucchi, da la Repubblica