«Cristianesimo e islam, un’esperienza di dialogo»

93

Abbiamo sentito don Gianluca Padovan, vicedelegato diocesano per il dialogo interreligioso, docente all’Issr “A. Onisto”, componente della Commissione della Cei per il dialogo con l’islam, sul “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” sottoscritto a marzo da papa Francesco.

Padovan, a che punto è il dialogo tra cristiani e musulmani?

«Come tutte le strade fatte in due, ciascuno parte dalla propria storia. La nostra storia contemporanea inizia dall’immediato pre-concilio e trova il suo primo punto fermo nella Nostra Aetatee in Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, tema centrale in questi incontri e dichiarazioni. Da parte musulmana la storia è diversa, perché l’islam ha premesse anche teologiche, da un certo punto di vista più solide delle nostre sul piano del dialogo interreligioso con cristiani ed ebrei. Per loro il dialogo nasce dal Corano e questo è ritenuto volontà di Dio. Quelli che loro chiamano i popoli del Libro, hanno uno statuto teologico molto più forte del nostro. Va notato che noi non abbiamo ancora una posizione ufficiale sulle relazioni tra le religioni».

Come si è articolato il rapporto tra le due religioni?

«L’iniziativa forte, fino ad ora, è spettata al mondo musulmano. La firma del documento, nell’ambito dell’incontro del Papa negli Emirati Arabi, è stata pensata dalle autorità musulmane non come momento a sé stante, ma come punto culminante del congresso dei saggi che si teneva ad Abu Dhabi (raduno annuale delle personalità in vista del mondo accademico, teologico, religioso musulmano. È uno dei grandi riferimenti internazionali per la dottrina musulmana, ndr). Il Papa ha firmato il documento con l’imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, facendo intendere che nella figura di questi due personaggi e dei loro rispettivi ruoli si raccoglie una convergenza possibile di entrambi questi mondi».

Prima di questo documento cosa c’era stato?

«Possiamo far iniziare la storia recente con Paolo VI e i suoi due viaggi in Medio Oriente e in Uganda. In Giordania fu il primo Pontefice a entrare in un Paese musulmano per visitare il sito del battesimo di Gesù. In Uganda, invece, fece un discorso sul valore del martirio al di là della propria appartenenza di fede. Parlò dei morti musulmani che furono i primi a sostenere il diritto della libertà religiosa contro l’oppressione del governo ugandese. Questi viaggi non danno però luogo a documenti ufficiali. Con Giovanni Paolo II gli eventi principali furono: il viaggio in Marocco e l’inizio della tradizione della preghiera ad Assisi. L’evoluzione del pontificato di Giovanni Paolo II, poi, non fu pacifica e in seguito assunse posizioni non condivisibili dalla teologia di oggi e storicamente problematiche».

E arriviamo a papa Benedetto e poi Francesco…

«Di Benedetto si ricorda l’evento di Ratisbona del 2006 che non fu, però come qualcuno pensa, una tragedia. Esso segnò, anzi, finalmente una ripresa del dialogo. Grazie ai musulmani ci fu una mano tesa: la famosa lettera dei saggi “Una parola comune tra noi e voi” che aprì un nuovo percorso. Arrivò quindi l’invito ad Istanbul, Turchia.

Papa Francesco ha la grazia di muoversi all’ombra del Francesco più famoso. L’incontro del 1219 a Damietta tra Francesco d’Assisi e il Sultano di Egitto Malik al Kamil segnò una delle grandi rivoluzioni del francescanesimo.

Si comprende, dunque, che stiamo parlando di un lungo e complesso itinerario storico che mostra come la Chiesa cattolica, sin dai tempi del Concilio, abbia fatto una sua storia. Questo vale anche per il mondo musulmano e oggi molti paesi musulmani hanno una forte spinta all’incontro e al dialogo».

Qual è il significato del documento?

«Non va esagerato il valore del documento in sé. È un documento il cui unico scopo è che venga letto e studiato per dare avvio a riflessioni nelle varie comunità religiose. Non ha nessun carattere definitorio. È un fare il punto a partire da una esperienza».

Come è stato accolto dal mondo musulmano?

«Come da noi. A fronte di una grande maggioranza di persone che ne sa pochissimo, ovvero ciò che sente dai media, c’è poi un efficace comparto di studiosi che lo approfondirà con entusiasmo e gratitudine (l’atteggiamento corretto da avere). Poi ci sono vari gruppuscoli reazionari e conservatori da entrambe le parti che sono lì a fare le pulci alle singole parole nella speranza di squalificarlo».

E dal punto di vista teologico che considerazione suggerisce?

«Sul piano teologico – dogmatico c’è una corretta domanda. Riguarda il passaggio sulla sapienza di Dio che vuole un mondo plurale e diversificato al cui interno si vive la libertà della diversità. C’è la legittima domanda se questa affermazione intenda avvallare la posizione teologica che di solito si definisce “pluralismo de iure”, ovvero Dio vuole la pluralità delle religioni, anzi l’ha ispirata. Oppure non sia da considerare l’altra posizione in cui Dio avrebbe preferito un mondo coeso nella fede cattolica, ma visto che gli uomini hanno prodotto con la loro libertà e con il loro peccato molte religioni allora Dio le tollera e anzi si ingegna per usarle positivamente. È il “pluralismo de facto”.  Chi vede le cose in questo modo o non ritiene necessario e neanche possibile  il dialogo se non nella collaborazione su progetti concreti, oppure vede il dialogo come uno strumento per capire l’altro, fare un po’ di amicizia e trovare le parole giuste  per scardinare dall’interno la sua tradizione e inserire dentro il cristianesimo provocando la conversione. È il proselitismo che la Chiesa ha escluso in diversi documenti.

Papa Francesco al riguardo non ha dato una risposta ufficiale a nessuna delle interrogazioni in merito.

Il fatto che ci siano tante religioni è un dato di fatto e noi abbiamo smesso di inventarci un mondo che un giorno abbia un’unica religione: la realtà ci è data nella sua pluralità irriducibile».

Che ricadute può avere nelle nostre comunità un documento come quello sulla fratellanza umana?

«Esso chiede innanzitutto di essere letto.  C’è un mandato che papa Francesco ci dà: conoscere il documento che è una lettera in cui si dice che questa è una via buona per costruire il domani. Chiede di essere letto per dare testimonianza di una esperienza di incontro e indicare piste concrete per vivere questo approccio al mondo  per cui non hai il diritto di percepire le persone diverse da te come ostili e minacciose».