La Cassazione, nella sentenza n.18770/2019, ha ribadito che, in presenza di macroscopiche violazioni degli amministratori, la responsabilità dei sindaci risiede già nel fatto di non averle rilevate e, di riflesso, nel non avere in alcun modo reagito a esse.
È vero che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso per la società in ragione della sua mera “posizione di garanzia” ma occorre altresì considerare, da un lato, che la particolare conformazione della struttura societaria (come quando la società sia parte di un gruppo o quando si tratti di società a ristretta base familiare, soggette, perciò, a influenze esterne anche pregiudizievoli) implica più intensi doveri dei controllori, e, dall’altro, che ai fini dell’esonero dalla responsabilità rileva l’esercizio o il tentato esercizio dell’intera gamma dei poteri istruttori e impeditivi affidatigli dalla legge.
Il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – ricorre, poi, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, tenuto conto, come detto, di tutte le iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica. Si pensi alla richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis e.e., alla segnalazione all’assemblea delle irregolaritàriscontrate, ai solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, all’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 e ss. e.e., alla convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 e.e., al ricorso al Tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 e.e., al ricorso al Tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 e.e. ed alla denunzia al Tribunale ex art. 2409 e.e.
Quest’ultima, in particolare, è uno strumento estremamente duttile, che permette l’immediata ispezione o l’adozione di “provvedimenti provvisori” il cui contenuto atipico può spaziare dalla limitazione dei poteri gestori alla loro temporanea sospensione, dall’inibitoria al compimento di dati atti all’ordine di compiere un lacere specifico, dall’affidamento della tenuta della contabilità a un terzo alla nomina di un ausiliario – senza revocare gli organi sociali – affidandogli specifici compiti, per un tempo limitato.
Certo, i sindaci potrebbero provare l’assenza di una propria colpa. Al riguardo, peraltro, occorre considerare come la colpa rilevi in due accezioni: colpa nella conoscenza (quale difetto di conoscenza per non avere rilevato, colposamente, l’altrui gestione) e colpa nell’omessa attivazione (quale inerzia o disinteresse a fronte dell’altrui illecito).
Quanto alla prima si osserva come sussista la colpa già nel non aver rilevato i c.d. “segnali d’allarme” (qual è, ad esempio, la soggezione della società all’altrui gestione personalistica).
Quanto alla seconda si precisa come, ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell’impresa, non sia sufficiente a esonerarli da responsabilità la circostanza di avere essi assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio; sicché, l’attivazione conforme ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire a essi, prevenendo danni ulteriori.
Le dimissioni presentate, inoltre, non esonerano il sindaco da responsabilità, in quanto non integrano adeguata vigilanza sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza impone, piuttosto, un comportamento alternativo; le dimissioni, anzi, diventano indicative (“esemplari”) della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente e inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità .
A fronte di tutto ciò si stabilisce che, in presenza di una gravissima situazione di illiceità fiscale, connotata dalla strutturazione da parte degli amministratori di un meccanismo di false fatturazioni finalizzato all’evasione tributaria, costituente un “rumoroso campanello di allarme e un “macroscopico segnale” circa la condizione di illegalità diffusa della società (e del gruppo), i sindaci avrebbero dovuto: tentare di riparare all’illecito fiscale mediante dichiarazioni correttive; vigilare in modo non sporadico e in profondità sulla gestione quotidiana; sorvegliare ogni bene patrimoniale della società; interessare la pubblica autorità.
In un simile contesto, ancora, non occorre individuare lo specifico atto che, in quel giorno e in quel luogo, il sindaco avrebbe dovuto porre in essere al fine di esonerarsi da responsabilità. Ciò in quanto, in presenza di una condizione di illiceità reiterata e senza scrupoli, a condannarlo è la sua mera inerzia.
Resta, in ogni caso, suo onere allegare e provare di essere senza colpa, perché fattori insuperabili gli hanno impedito la conoscenza degli eventi e la possibilità di attivarsi.
di Maurizio Meoli, da Eutekne.info