Dopo le nostre rivelazioni (“Barbagallo bifronte: il 19 febbraio ’14 incontrò Zonin e Trinca in Bankitalia per “Veneto Banca in BPVi subito!”, in audizione negò“) sull’incontro del 19 febbraio 2014 tra Carmelo Barbagallo, all’epoca a capo della Vigilanza di Banca d’Italia, Gianni Zonin e Flavio Trinca, rispettivamente ex presidenti di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca ora poste in Liquidazione Coatta Amministrativa, a confermare i dubbi e a rendere, quindi, indispensabili chiarimenti non più differibili, anche e soprattutto per tutti gli azionisti vicentini e veneti delle due banche defunte, c’è da qualche giorno anche la doppia decisione di Massimo De Bortoli.
Il pm di Treviso, infatti, se da un alto vuol aprire il processo solo contro Consoli perché per lui e non per altri ci sarebbero elementi di accusa sostenibili come se la banca di Montebelluna fosse un negozietto qualunque, dall’altro ha chiesto il dissequestro del beni dello stesso ex ad e dg di Veneto Banca.
Perché?
Perché la perizia del Ctu del tribunale di Treviso, Gaetano Parisi, dirigente di Banca d’Italia, ribalta ora quella di Luca Terrinoni, anche lui dirigente di via Nazionale e Ctu della procura di Roma, inizialmente competente per le indagini, che consegnò conclusioni ben diverse da quelle più recenti del suo collega, che oggi stabilisce che erano di fatto corretti i dati forniti alla vigilanza da Veneto Banca, quelli che, poi, l’avrebbero fatta promuovere dallo stress test della Bce reso pubblico il 26 ottobre 2014,.
Lo stesso giorno e nello stesso stress test la BPVi risultò sfuggita alla bocciatura con uno “stratagemma”: la banca di Zonin dovette convertire in azioni nella notte del 25 ottobre 2014 ben 254 milioni di euro di obbligazioni con un’operazione benedetta da Bankitalia ma discutibile per le modalità e i tempi di attuazione, che hanno danneggiato pesantemente i loro sottoscrittori che oggi verranno rimborsati al 30% dal Fir invece che al 95%.
Se non bastassero quello “strano” colloquio del 19 febbraio 2014, il cui contenuto, come ci ha confermato Banca d’Italia dopo la nostra pubblicazione, è stato consegnato secretato alla Commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche (perché?), e le discordanti decisioni dei due Ctu, entrambi di scuola Bankitalia, a richiedere e imporre uno sforzo di chiarezza, la terza relazione sullo stato di Veneto Banca, dichiarata “insolvente” alla data – il 25 giugno 2017 – della sua messa in liquidazione (Veneto Banca, La Verità: gli incarichi di Lorenzo Caprio, il CTU (e professionista di Intesa) che ha decretato la sua insolvenza) solleva un’altra questione.
Nella sentenza redatta lo scorso giugno dal presidente Antonello Fabbro sull’insolvenza, ribadita ora, dopo il ricorso degli interessati dal consulente, dal consulente “discusso” da La Verità, si legge: “La banca aveva ripetutamente violato (a partire dal 2014) i requisiti patrimoniali di vigilanza e, nonostante il tempo concesso dalla Bce, non era stata in grado di offrire soluzioni credibili per il futuro”.
Dopo la riunione del 19 febbraio 2014 e durante “il tempo concesso” a Veneto Banca, e a BPVi, dalla Bce, entrata in campo con l’inizio dell’AQR* del 2014 col suo finale stress test in entrambi i casi, anche se con modalità diverse, positivo per le due ora ex Popolari venete, ecco cosa succede ai piani alti delle due banche.
A Vicenza si succedono tre presidenti dal 2014 in poi (Zonin rimane in sella fino al 23 novembre 2015 quando si fa sostituire dal vicino Stefano Dolcetta che il 7 luglio 2016 passa il testimone a Gianni Mion targato Atlante). a
A Montebelluna continuano a scaricarsi eventi ancora più “sfavorevoli” e i presidenti, oltre qualche interim aggiuntivo, sono ben sei: Flavio Trinca “ubbidisce a Bankitalia” e dopo due mesi dal meeting con Barbagallo lascia con tutto il cda alla nuova squadra di Francesco Favotto (in carica dal 26 aprile 2014 fino al 30 ottobre 2015), poi tocca a Pierluigi Bolla fino al 5 maggio 2016 quando gli subentra Stefano Ambrosini che “resiste” solo fino all’8 agosto 2016 quando è il turno di Beniamino Anselmi, designato da Atlante ma che si dimette anche lui subito il 7 novembre 2016 (contro quella che definì una macelleria sociale) lasciando il compito di “chiudere” a Massimo Lanza.
Domanda allora: se a Vicenza hanno messo mano, con i risultati noti, tre presidenti a una situazione compromessa a insaputa di Bankitalia, che voleva addirittura consegnarle il 19 febbraio 2014 l’Istituto di Montebelluna, che per la Bce il 26 ottobre 2014 stava meglio, quale “sistema razionale” (di comando, controllo e vigilanza, italiano e europeo) poteva far gestire Montebelluna da ben sei presidenti con relativi cda?
Se anche un negozietto di vicinato con 6 titolari diversi in tre anni andrebbe di sicuro allo sfascio, chi e quando andrà a fare la sola (storicamente rilevante) perizia che manca?
Quella sui danni distruttivi arrecati dal 2014 in poi alle due banche, a Veneto Banca più che a BPVi, ma entrambe venete e del Nord est, e sulle relative responsabilità che stanno, almeno da quell’anno in poi, molto più in alto degli organi di gestione locali.
Se mai si partisse per dipanare la matassa, forse si potrebbe iniziare al contrario e cioè sciogliendo il nodo finale: a chi ha fatto comodo la sparizione delle due banche di un territorio, il Veneto e il nord est, scomodamente forte, anzi troppo forte?
(*) La revisione della qualità degli attivi promossa dalla Bce in vista degli stress test era un controllo generale della Banca centrale europea (in coordinazione con le banche centrali nazionali) che puntò a verificare la solidità delle maggiori istituzioni bancarie d’Europa. L’Asset Quality Review (AQR) – questo il suo nome anglosassone – ha preso il via nel novembre del 2013 e fu una tappa fondamentale del percorso avviato in Europa in vista del novembre 2014, quando la Bce assunse il ruolo di supervisore unico del sistema bancario Ue. Al vaglio i bilanci di 124 gruppi bancari europei che coprono circa l’85% del sistema bancario del Vecchio Continente. Tra questi c’erano anche la BPVi e Veneto Banca.