Un ministero sull’immigrazione, il piano Di Maio per la Farnesina

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Di Maio e Salvini, una scena da divorzio
Di Maio e Salvini

Il capo politico che non è più vicepremier deve restare al centro del gioco, di governo. Essere protagonista o almeno incisivo, più spesso che può: per non farsi smacchiare via da quel Giuseppe Conte che la politica estera voleva e vuole farla in prima persona, e per restare capo, dentro il M5S dove gli contestano di aver concesso troppo al Pd e altre, presunte colpe.

PER QUESTO Luigi Di Maio vuole essere un ministro degli Esteri attivo su più fronti, con un primo obiettivo, “evitare che le barche colme di migranti arrivino in Italia” come spiegano dal M5S. Ovvero non concedere la breccia perfetta a Matteo Salvini, che non vede l’ora di sbraitare contro un’invasione di migranti e rivendicare che lui era un’altra cosa, il ministro che i porti li chiudeva.

E arriveranno le urla di Salvini, è inevitabile. Ma Di Maio punta a toglierli la voce a medio termine, ritessendo la tela con gli Stati Uniti sulla Libia, uno snodo essenziale per gestire il tema. D’altronde lo ha scritto lo stesso grillino nel suo primo post da neo-ministro, “l’attenzione verso l’Africa e le migrazioni” saranno tra “le linee guida” che si è dato alla Farnesina. E sempre da lì bisogna ripartire, dalla Libia e dal rapporto con gli americani “da rafforzare”, come dicono fonti qualificate.

Le stesse che raccontano di un peccato originale, ossia il non aver avvertito per tempo e con i dovuti modi Washington della Via della Seta, l’accordo commerciale con la Cina. Trattativa di cui gli americani ovviamente erano a conoscenza: ma certi dettagli e passaggi andavano illustrati dall’alleato italiano. “Invece il precedente ministro Moavero non lo ha fatto” sostengono fonti di governo.

ORA BISOGNA riannodare quel filo, e il ministro Di Maio inizierà a provarci tra qualche giorno a New York, dove andrà assieme a Conte per l’assemblea Onu. “In America sono previsti anche incontri bilaterali, e per Luigi saranno importanti” spiegano. Come importante sarà cercare di farsi conoscere dall’amministrazione americana e dalla sua macchina diplomatica, “che non va confusa con l’amministrazione Trump, perché sono due cose che non necessariamente coincidono”. E del resto Oltreoceano Di Maio tornerà già a metà ottobre, per la visita a Washington assieme al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Mentre a novembre sarà a Shanghai per l’Expo dedicato all’importazione di prodotti e servizi. Perché l’altra linea guida del neo ministro è quella, “le relazioni con le

I viaggi

Nelle prossime settimane andrà a New York, Washington e Shanghai. Nel 2020 l’India nuove economie emergenti”. Quindi rapporto stretto con la Cina e negli auspici anche con l’India, dove Di Maio progetta di andare all’inizio del 2020, per promuovere le relazioni commerciali italiane.

E proprio per questa ragione il leader dei 5Stelle toglierà tutte le competenze sul commercio estero al Mise, uno dei due ministeri che guidava con il governo gialloverde, asssieme a risorse per 250 milioni. “Soldi che aiuteranno a portare avanti una vera cooperazione internazionale” raccontano dal Movimento. Perché il punto, il nodo centrale resta sempre il rapporto con l’Africa e la gestione delle migrazioni. Non a caso, l’intenzione è ricucire definitivamente con la

Francia dove il capo del M5S è visto ancora come l’uomo delle trattative con i gilet gialli. Però per lavorare sulla Libia è fondamentale la tregua. Lo sa perfettamente Conte, alfiere della pace tra confinanti, che il 18 vedrà a Roma il presidente francese Emmanuel Macron. E non è ancora chiaro se anche Di Maio sarà della partita assieme al premier a cui non sorride più.

DOVRÀ CAPIRE ed eventualmente decidere assieme alla sua filiera, i presidenti di commissione Marta Grande e Vito Petrocelli e al sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, di cui appare scontata la riconferma. Di Maio punta a tenere anche il viceministro Emanuela Del Re, che gestiva la cooperazione. Ma per costruire un dicastero solo di 5Stelle servirebbe un accordo con il capo delegazione del Pd, Dario Franceschini, che in cambio terrebbe solo dem alla Cultura.

Incroci possibili, lassù.

di Luca De Carolis da Il Fatto Quotidiano