Ho appreso (il 10 settembre, ndr) la notizia sulla “censura” di Facebook nei riguardi di un post di Elena Donazzan relativo alla sua partecipazione a un convegno di CasaPound e Forza Nuova. Ho letto anche le sue dichiarazioni, indignate, al riguardo («Ieri Facebook mi ha comunicato di aver rimosso un mio post, perché ‘colpevole’ di violare gli standard previsti in materia di violenza e sua prevenzione. Ero convinta che il post in questione fosse legato alla svastica insanguinata che il Coordinamento Studenti Medi di Padova aveva diffuso nei social: invece no, era un semplicissimo commento sulla mia partecipazione al convegno organizzato da Casapound a Roncà, nel veronese, sabato 7 settembre, a cui avevo aggiunto alcune foto scattate in loco» … «Trovo tutto questo assurdo: il post non riportava nulla di violento, non conteneva riferimenti a qualcosa di illegale e voleva semplicemente raccontare di un’iniziativa pacifica che si è svolta in un clima sereno e propositivo, tra Tricolori e simboli di un partito che si era presentato ufficialmente alle scorse elezioni politiche nazionali. Facebook non può decidere da sé ciò che è giusto o no pubblicare: è un fatto di una gravità inaudita»).
Ora, a prescindere che si dovrebbe rispondere (parafrasando una celebre battuta del film “L’ultima minaccia” del 1952) che “È la privatizzazione, bellezza! La privatizzazione! E tu non ci puoi far niente! Niente!” nei social decide il privato che li gestisce e che è lui il padrone che detta le regole. Si potrebbe aggiungere che a questi “proprietari” dell’informazione (perché ormai questo sono diventati i padroni dei social) hanno un potere immenso che gli è stato dato da un sistema che privilegia l’individuo (e il suo profitto) rispetto alla collettività (e i suoi diritti) e che questo è qualcosa di estremamente pericoloso e poco democratico. Si potrebbe anche continuare affermando che la privatizzazione di ogni cosa è ben vista se non incentivata dalla parte politica alla quale appartiene Elena Donazzan.
Ora, senza entrare nel merito se Facebook abbia fatto più o meno bene o se sia giusto bloccare il post in questione, sarebbe opportuno porsi qualche domanda. Come può la signora Donazzan indignarsi per essere stata “censurata” e, insieme, denunciare giornalisti che scrivono articoli che non le piacciono? Mi riferisco alle cause da lei intentate contro Giovanni Coviello direttore di VicenzaPiù. Non c’è, forse, una visione distorta e fuorviante di cosa significhi la libertà di espressione? Qual è il criterio che segue l’assessora regionale? Magari, è quella filosofia del privilegio espressa così chiaramente nella battuta pronunciata da Alberto Sordi ne “Il Marchese del Grillo”: “Mi dispiace, ma io so io e voi non siete un cazzo”?