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«Bpvi, assodato che il cda sapesse delle azioni baciate»
L’ex capo dell’Audit, Bozeglav: «A Ravazzolo fondi per 80 milioni, la cosa era palese»
di Benedetta Centin da Il Corriere del Veneto
Il consiglio di amministrazione di Popolare di Vicenza non poteva non sapere dei finanziamenti correlati all’acquisto di azioni. Perché era stato lo stesso Cda ad aver deliberato quei finanziamenti, anche d’importo rilevante. «Baciate» anche in perdita per la banca. È quanto ha testimoniato ieri in udienza (assente l’ex presidente Gianni Zonin) al processo per il crac Bpvi Massimo Bozeglav, per otto anni (dal 2008 al 2016) capo dell’Audit Bpvi. Una testimonianza fiume quella dell’ex responsabile dell’organo di vigilanza interno. Che ha raccontato come le baciate risalissero almeno al 2009. «Ma erano per lo più voci, percezioni, nessuna evidenza strutturata – ha spiegato – : operazioni fatte da soci storici (il riferimento è agli imprenditori Loison e Ravazzolo) della durata di 3-4 mesi, a fine anno, che si estinguevano dopo l’assemblea e servivano a svuotare il fondo acquisto azioni». Voci, «non indizi», tali da far scattare verifiche dell’Audit, a detta sua.
«Dal 2011 – aveva formalizzato Bozeglav, sentito dagli inquirenti nel 2015 -ero a conoscenza che in Bpvi c’era la tendenza a far crescere la base sociale attraverso l’affidamento di una quota per l’acquisto di azioni proprie». Ieri in aula ha però precisato che «non era ancora un fenomeno».
Incalzato dalle domande del pm Luigi Salvadori, il testimone ha raccontato di aver avviato accertamenti per verificare quanto denunciato a luglio 2014 in una lettera dal legale del dipendente Antonio Villa, che si era licenziato, rifiutandosi di far «baciate». Venute effettivamente a galla: «Ne erano emerse venti-trenta, oltre i 500 mila euro – ha spiegato il testimone – alcune con margine d’intermediazione in perdita (come quelle della Confrav di Ravazzolo per 140 mila euro, la Sofin per 89 mila e Caovilla per 85 mila), la cui posizione era stata deliberata dal cda».
E ancora: «L’impressione è che il cda dovesse essere consapevole: erano delibere di cui il consiglio doveva essere a conoscenza. Davo per assodato che il cda sapesse di quei finanziamenti. Per me il consiglio era il principale indiziato. Se non volevo essere eliminato dovevo acquisire più elementi, inconfutabili», risponde quando gli viene chiesto come mai, dopo gli accertamenti sulla vicenda Villa, non avesse riferito al cda, a cui l’Audit risponde. Come a dire: se il cda approva i finanziamenti, sa di cosa si parla e far segnalazioni non «carrozzate» può rivelarsi rischioso. cosa E poi, in merito ad altre tredici posizioni anomale emerse ad ottobre 2014: «Non ne parlai al cda per pararmi le spalle. Le stesse analisi di Banca d’Italia dell’ispezione 2012 non avevano eccepito nulla. Come l’Aqr di Bce (le verifiche in vista degli stress test di ottobre 2014 ndr)». Citando più volte l’esempio delle baciate di Ravazzolo: «Novanta milioni di finanziamento, di cui 80 milioni di azioni e 4-5 di obbligazioni: era tutto palese, garanzie identificate in azioni». Come dire: bastava girare la prima pagina per capire che il prestito serviva ad acquistare azioni Bpvi. E il capo dell’Audit non s’interfacciò con il cda e consegnò il report – era settembre 2014 – all’allora direttore generale Samuele Sorato. Che prenderà tempo.
Bozeglav, ha riferito ieri, tornerà alla carica ancora con Sorato, e non con il cda, sollecitando ulteriori accertamenti, a gennaio 2015. Tempo un mese arriveranno gli ispettori Bce che scoperchieranno il vaso di pandora. Allora improvvisamente tutto verrà a galla. Documenti compresi, come le lettere di riacquisto che la banca rilasciava ai soci. Una trentina le lettere emerse che Sorato gli aveva detto di far avere al legale Andrea Gemma «perché le guardasse per sostenere la posizione della banca» . Ma l’allora capo Audit le consegnò invece all’ispettore Bce Emanuele Gatti che sbottò: «E qui vi voglio». Sempre Bozeglav consegnò le schede di valutazioni di merito creditizio di una cinquantina di soci: «Ma era evidente che erano molto deboli – ha spiegato il testimone – Sorato, Giustini (ex vicedirettore) e Balboni provavano ad eludere l’attività degli ispettori»