A pochi giorni dallo sciopero mondiale per il futuro ispirato da Greta Thunberg, giovane attivista svedese, che all’Onu ha rimproverato i grandi del mondo, contestando loro di avergli “rubato i sogni e l’infanzia”, è interessante approfondire l’argomento a livello nazionale, alla luce dei dati pubblicati, la scorsa primavera, dal 5° Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, in collaborazione con Eumetra MR, su un campione di quasi mille individui rappresentativo della popolazione maggiorenne italiana.
La sostenibilità vale per un terzo degli italiani
L’indagine fornisce una fotografia dell’Italia sostenibile rispetto ai temi che cambiano la società. Un italiano su tre sente di avere piena conoscenza del termine “sostenibilità”. L’indagine rivela come la sostenibilità appassiona sempre più italiani e si percepisca come patrimonio comune in grado di influenzare le abitudini quotidiane. Renato Manhnheimer,di Eumetra MR,ha dichiarato:”L’interesse alla sostenibilità rilevato negli ultimi 5 anni è cresciuto notevolmente e si è consolidato nell’ultimo anno a dimostrazione del fatto che non si tratta più di un trend ma di un vero e proprio cambiamento culturale. I concetti veicolati hanno avuto modo di essere fatti propri e trasferiti nella pratica quotidiana”. I dati della ricerca hanno rilevato come il 32% della popolazione abbia piena comprensione della sostenibilità: il 43% conosce il termine energia rinnovabile, il 38% alimentazione sostenibile, il 30% città sostenibile, il 25% il turismo, il 23% la mobilità sostenibile e il 19% investimenti sostenibili. La plastica diventa un tema cruciale con l’89% degli italiani che considera molto rilevanti le grandi campagne di sensibilizzazione sull’impatto di questo materiale nei mari e il 97% del campione intervistato crede sia necessario attivare azioni che ne limitino l’utilizzo. Per quanto riguarda i comportamenti virtuosi, il 92% dichiara di fare sempre la raccolta differenziata, il 77% di utilizzare elettrodomestici a basso consumo, il 34% di consumare alimenti biologici e il 17% di utilizzare capi di abbigliamento sostenibili.
L’impronta ecologica e l’alimentazione sostenibile
Al Festival della cucina Veneta, tenutosi la scorsa estate, nella prestigiosa Villa Obizzi ad Albignasego,in provincia di Padova,il dott . Gabriel Petre, della Fondazione Foresta Onlus, ha confermato, con il sostegno,di diverse fonti scientifiche, il ruolo strategico di “ una cucina sostenibile adeguata per futuro del pianeta” .
Un futuro sostenibile parte dalla necessità di cambiare stile di vita per affrontare seriamente le tematiche del cambiamento climatico. A cominciare dall’impronta biologica,criterio utilizzato per stabilire in ettari di superficie e di mare che ogni anno si consumano per garantire il tenore di vita di un paese. Oggi mediamente i consumi contemporanei mondiali ci consegnano una disponibilità media mondiale di quasi due ettari a testa. Ma quanto influisce il cibo sulla nostra impronta ecologica? Carne bovina,suina,formaggio e l’olio d’oliva sono ai primi posti del consumo idrico,per chilo o litro d’alimento mentre nella parte finale della graduatoria vi sono frutta e verdura. Le emissioni di gas serra,prodotte per attività produttive derivano tra il 19% e il 29% dalla produzione alimentare,con la carne in prima posizione. L’inquinamento prodotto dalla filiera alimentare deriva dalle diverse prassi di sfruttamento agricolo, per trasferirsi nel sistema della trasformazione agroalimentare,e giungere, tramite i trasporti e la distribuzione, al consumatore finale.
Alimentazione sostenibile e rispetto della biodiversità e degli ecosistemi seguendo la “filiera corta”
Nel Paese del buon cibo,l’Italia, metà viene dall’estero.Eppure il made in Italy, nel 2018, è stato celebrato come cibo dell’anno nel mondo.Cio’ significa, a parte le lodevoli intenzioni della simpatica Greta, che bisogna “cambiare dieta per salvare il pianeta”.
Già secondo il giovane ricercatore padovano, “l‘alimentazione sostenibile rispetta la biodiversità e gli ecosistemi e fa bene all’individuo e all’ambiente”.
La dieta mediterranea consuma un decimo di di risorse ambientali nei confronti della dieta iperproteica. Ecco che la formula magica dell’alimentazione sostenibile, in un mercato globalizzato, è strutturabile sull’identità culturale (cittadinanza alimentare),territorio (filiera corta) e stagionalità (cicli di maturazione biologica dei prodotti agroalimentari). Accorciare le distanze tra agricoltore/produttore e consumatore, porta innumerevoli vantaggi ambientali,economici, nutrizionali e di sicurezza alimentare. Consumare gli alimenti in base alla loro crescita naturale fa bene alla salute e all’ambiente.
Meno quantità e piu’ qualità del cibo
“Dobbiamo cambiare le nostre strategie e produrre non più cibo, ma produrre cibo più nutriente”, ha dichiarato Da Silva, Direttore della FAO in un recente Summit tenutosi a Roma.A tutt’oggi, oltre 2 miliardi di adulti dai 18 anni in su sono in sovrappeso e 670 milioni di essi sono obesi. Inoltre, l’aumento dell’obesità tra il 2000 e il 2016 è stato più rapido rispetto a quello del sovrappeso in tutte le fasce d’età. Per di più, quasi 2 miliardi di persone soffrono di carenze di micronutrienti. Secondo le proiezioni il numero di persone obese nel mondo molto presto supererà il numero di persone che soffre la fame, che al momento è pari a 820 milioni.Uno dei fattori principali è l’elevato consumo di alimenti ultra-lavorati, composti prevalentemente da ingredienti artificiali. Sono ricchi di grassi saturi, zuccheri raffinati, sale e additivi chimici. Secondo l’alto dirigente FAO, “ i governi dovrebbero promuovere il consumo di alimenti locali e freschi, creando circuiti locali di produzione e consumo. Ciò vuol dire migliorare l’accesso e la promozione del cibo locale e fresco”.
Alimenti e cucina sostenibile quindi, riflessione necessaria per una visione comune e condivisa di un nuovo,innovativo ed etico approccio al cibo in cui i principi della Dieta Mediterranea, non sono solo un Patrimonio dell’Unesco, ma un futuro per il pianeta.