“Il Signore ci chiama a far fruttare i talenti con audacia e creatività. Dio ci domanderà se ci saremo messi in gioco, rischiando, magari perdendoci la faccia. Questo Mese missionario straordinario vuole essere una scossa per provocarci a diventare attivi nel bene. Non notai della fede e guardiani della grazia, ma missionari”.
Con queste parole Papa Francesco ha iniziato l’omelia durante la celebrazione dei vespri ieri, 1° ottobre, memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle Missioni, per l’inizio del Mese Missionario Straordinario, commentando la parabola dell’uomo che consegna ai servi i suoi beni prima di partire (Mt 25,14-30).
“Si diventa missionari vivendo da testimoni: testimoniando con la vita di conoscere Gesù. È la vita che parla” ha affermato il Papa nella Basilica Vaticana gremita di fedeli tra cui molti missionari, che ha sottolineato l’importanza della parola “testimone”, che ha “la stessa radice di senso di martire. E i martiri sono i primi testimoni della fede: non a parole, ma con la vita. Sanno che la fede non è propaganda o proselitismo, è rispettoso dono di vita”. Quindi anche noi “che abbiamo scoperto di essere figli del Padre celeste, come possiamo tacere la gioia di essere amati, la certezza di essere sempre preziosi agli occhi di Dio? È l’annuncio che tanta gente attende. Ed è responsabilità nostra”.
Richiamando la conclusione della parabola, quando il padrone rientra e chiede conto di cosa hanno fatto dei talenti consegnati, il Papa ha parlato della gravità del peccato di omissione, “perché abbiamo ricevuto la vita non per sotterrarla, ma per metterla in gioco; non per trattenerla, ma per donarla. Vivere di omissioni è rinnegare la nostra vocazione: l’omissione è il contrario della missione.” Quindi ha fatto alcuni riferimenti pratici: “Pecchiamo di omissione, cioè contro la missione, quando, anziché diffondere la gioia… cediamo alla rassegnazione… quando continuiamo a dire che va tutto male… quando siamo schiavi delle paure che immobilizzano, quando viviamo la vita come un peso e non come un dono; quando al centro ci siamo noi con le nostre fatiche, non i fratelli e le sorelle che attendono di essere amati”.
Citando San Paolo, “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7), il Papa ha ribadito che Dio ama “una Chiesa in uscita. Ma stiamo attenti: se non è in uscita non è Chiesa. La Chiesa è per la strada, la Chiesa cammina”. La sua forza “non è la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito”.
“Oggi entriamo nell’ottobre missionario accompagnati da tre “servi” che hanno portato molto frutto” ha ricordato Papa Francesco: Santa Teresa di Gesù Bambino, San Francesco Saverio, la Venerabile Pauline Jaricot, le cui immagini erano collocate dinanzi all’altare… una religiosa, un sacerdote e una laica. “Ci dicono che nessuno è escluso dalla missione della Chiesa”. Quindi ha proseguito: “Sì, in questo mese il Signore chiama anche te”, padre e madre di famiglia, giovane, lavoratore, malato… “Il Signore ti chiede di farti dono lì dove sei, così come sei, con chi ti sta vicino”.
Il Signore, ha evidenziato il Papa, si aspetta anche che “qualcuno abbia il coraggio di partire, di andare là dove più mancano speranza e dignità, là dove troppa gente vive ancora senza la gioia del Vangelo”, ricordando che la missione non si fa “con organizzazioni imprenditoriali, con piani di lavoro”, in quanto “il protagonista della missione è lo Spirito Santo”. Papa Francesco ha concluso l’omelia con una esortazione: “Coraggio, fratelli e sorelle; coraggio, Madre Chiesa: ritrova la tua fecondità nella gioia della missione!”.
Al termine dei vespri il Papa ha consegnato il crocifisso ad un gruppo di suore, religiosi e laici che andranno in missione in Brasile, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Kazakistan, Cambogia, Taiwan, Bangladesh e Kirghizistan.