Quel pasticciaccio brutto di palazzo delle poste a Vicenza: Quaderni Vicentini lo denunciò nel 2018

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La facciata di Palazzo Poste a Vicenza. Classica architettura del Ventennio
La facciata di Palazzo Poste a Vicenza. Classica architettura del Ventennio
“Qualche piccola soddisfazione, ci scrive Pino Dato, il direttore di Quaderni Vicentini. Ricordate la nostra inchiesta su Palazzo delle Poste ridotto ad un prefabbricato lercio e triste, del numero 5/2018, per far posto a improbabili appartamenti di lusso con vetrate a vista? Ebbene, il TAR ha dato ragione alle nostre documentate tesi e quel progetto, voluto dalle due precedenti amministrazioni e in contrasto con il piano urbanistico del Centro storico (Variati sindaco). Un cordiale saluto. Pino Dato” 
Di seguito l’approfondito articolo premonitore di Pino Dato, qui la denuncia di Ciro Asproso su VicenzaPiù.com nello stesso periodo, qui le foto del palazzo e qui il pdf originale con anche il decreto ministeriale che lo definisce monumento. Ma, chiosa il direttore di QV, “Variati credeva di poter concedere tutto”.

 

Quel pasticciaccio brutto di palazzo delle poste a Vicenza

Quaderni vicentini n. 5 del 2018
Quaderni vicentini n. 5 del 2018

Già proprietà di Poste Italiane spa, acquistato da privati nel 2008, l’intero palazzo che occupa una parte non indifferente del centro storico di Vicenza, considerato edificio storico vincolato per decreto ministeriale (esempio di architettura del Ventennio fascista), è stato oggetto, nel corso di oltre un decennio, di transazioni immobiliari

diverse, ha ottenuto due errate autorizzazioni a costruire da parte di entrambe le Amministrazioni di Variati sindaco, e ora, alla vigilia di una possibile ristrutturazione ampia, soggetto a destinazioni d’uso varie (residenziale in primis), è bloccato da una decisione del Consiglio di Stato. Ne ripercorriamo l’incredibile e istruttiva telenovela pubblica e privata

Il Palazzo delle Poste centrali di Vicenza, sito in piazza Garibaldi, pieno centro, è da qualche mese chiuso e inagibile. Perché? Deve essere ristrutturato. Ristrutturato come? Per farne una cosa nuova, in cui ci staranno ancora gli uffici postali, ma soprattutto ci staranno altri uffici, appartamenti, nuove entità immobiliari interne, nuovi finestroni esterni, terrazze e quant’altro. Il semplice cittadino che utilizza in centro storico quegli uffici pubblici da una vita si chiede: ma si può ristrutturare un edificio storico? Risposta: con i marchingegni di cui la burocrazia politica e comunale dispone (e ne è maestra per accettare anche le speculazioni più immonde) si può. Ma bisogna fare le cose bene.

Qui la cosa si è rivelata un momento più complessa. Perché il balletto delle rifondazioni o ristrutturazioni dell’immobile inizia molti anni fa quando una certa società Bell srl, con sede a Castel di Godego, Treviso, che aveva comprato l’intero immobile dalla società Poste spa il 14 marzo 2008, presenta nel 2011 all’Amministrazione comunale vicentina (sindaco Variati) la prima richiesta di permesso a costruire. Oggi siamo nel 2019 e ancora non si è visto nulla. Solo che l’immobile storico e funzionale per il pubblico vicentino è chiuso. Al suo posto, per le poche operazioni correnti possibili hanno messo lì, non si sa come autorizzato, un immondo prefabbricato che rende  piazza Garibaldi semplicemente oscena (esteticamente).

Perché Palazzo Poste è chiuso e ancora la ristrutturazione non è iniziata? Cominciamo dalla coda: perché il Consiglio di Stato, con sentenza del 6 dicembre 2018 ha disposto la sospensione del permesso a costruire che pure, in fasi diverse e convulse, il nobile Comune di Vicenza aveva concesso. Ora sarà il Tar Veneto a doversi pronunciare sulla legittimità di quella concessione. Ritorniamo alla testa.

 

Esempio significativo dell’architettura del Ventennio”

 

Che cos’ha questo Palazzo delle Poste di così prezioso da rinfocolare per una semplice rifondazione-ristrutturazione (quanto semplice, staremo a vedere) una storia già lunga lustri?

È facile, lo sanno tutti. Il Palazzo è un immobile del Ventennio fascista, uno dei rari immobili che quella deprecabile cultura politica del Novecento ha concepito e costruito a Vicenza, ed è stato dichiarato dal Ministero e dalla Sovrintendenza, per decreto, edificio a tutela monumentale. Il vincolo posto dalla legge sul monumento ritenuto “esempio significativo dell’architettura del Ventennio” è assoluto. Per giusta informazione dei nostri lettori, in pagina a parte pubblichiamo la relazione storico-artistica redatta il 9 ottobre del 2000 dalla sovrintendente Sabina Ferrari allegata al Decreto ministeriale che sancisce tale vincolo inderogabile. La relazione è particolarmente significativa perché giustifica in dettaglio le ragioni della disciplina conservativa da imporre al monumento.

Dobbiamo precisare che il provvedimento ministeriale che ha posto il vincolo sull’intero edificio denominato Palazzo delle Poste è stato redatto ai sensi di un decreto legislativo del 1999 [1] che in seguito è stato abrogato da un più esauriente decreto, nel 2004, [2] denominato Codice dei Beni culturali e del Paesaggio.

Palazzo Poste ricade pertanto a tutt’oggi fra le fattispecie tutelate dal Codice del 2004 ed è sottoposto a tutte le disposizioni che le disciplinano: più esattamente, la tutela del Palazzo è sottoposta alle norme contenute nell’articolo 10 del Codice tuttora in vigore.

 

L’interesse economico privato? Più forte di decreti e codici

 

Tra un decreto e un codice, tuttavia, l’interesse economico che muove le gambe e le teste degli uomini (pubblici o privati che siano) non si ferma, anzi.

Il governo decide di far cassa con parte dei beni pubblici per le solite ragioni di bilancio e allora Poste spa vende l’immobile di piazza Garibaldi nel 2008 ad una società privata, la Bell srl.

Da qui la storia cambia direzione. La Bell srl ha evidentemente degli obiettivi di sviluppo e di profitto.  Il 27 giugno 2011 (tre anni dopo) presenta al Comune di Vicenza, sindaco Variati, un’istanza di permesso di costruire(PdC) per la ristrutturazione del “Palazzo delle Poste di Vicenza”. Una ristrutturazione, si badi bene, tutt’altro che irrisoria perché presupponeva la parziale modifica della destinazione d’uso del Palazzo: da direzionale a commerciale/direzionale e residenziale.  Per la cronaca l’aggettivo “parziale” non è del vostro cronista, è contenuta nell’istanza (per annacquare il vino a gradazione altissima): lascio al lettore interpretare come si possa definire parziale, ovvero leggera, una ristrutturazione del genere.

Non basta. Oltre alla destinazione d’uso più ricca la Bell chiedeva un’altra cosuccia: il ricavo, dalla nuova struttura rimodellata, di parcheggi. Ormai lo sappiamo, quando in queste operazioni di “salvataggio” urbanistico del profitto privato entrano in gioco i parcheggi siamo al diapason: è la briscola che prende tutto il piatto.

Variati giustamente, di fronte ad un’istanza del genere, affida la pratica ad un tecnico, la funzionaria Simonetta Moscon, geometra, che in tempi brevi, anzi brevissimi, l’8 agosto 2011, fa la sua brava relazione. La relazione è corretta e dettagliata. Il punto fondamentale è questo: “Secondo la normativa vigente del PPCS (Piano Particolareggiato del Centro Storico) l’immobile denominato ‘Palazzo delle Poste’ è classificato come edificio in contrasto con l’ambiente e normato in modo restrittivo il suo possibile recupero.” La norma catenaccio del PPCS è l’articolo 9 che, scrive la Moscon, “prevede per tali edifici solo la possibilità di interventi volti al consolidamento statico, di bonifica igienica o di distribuzione interna consentendo eventuali modifiche all’aspetto esterno in conseguenza di tali interventi edilizi.

In pratica, la legge comunale urbanistica relativa agli immobili del centro storico della tipologia in questione consente interventi che possano rafforzarne la staticità, migliorarne l’igiene, e modificare alcuni assetti interni. Nulla a che vedere con ampliamento a gogò delle destinazioni d’uso e ristrutturazioni conseguenti, costruzioni di parcheggi e quant’altro. La funzionaria di Variati conclude che l’intervento di ristrutturazione proposto da Bell era “in netto contrasto con la vigente normativa attuativa del Piano del Centro Storico”.

Bene. Finisce qui? No, naturalmente, perché di mezzo c’è un’operazione economica non da poco e i privati premono sul pubblico, cioè sul Comune, e lo fanno con tutte le loro migliori e legittime armi di persuasione.

 

La patata bollente passa di mano e infine arriva

ad un fragile Consiglio comunale di Vicenza

 

La geometra Moscon non può essere lei a decidere, ci vuol altro. Passa la patata bollente ad un funzionario più su di grado, Gianfranco Gregori, perché comprende che il comune vede di buon occhio la cosa. La via d’uscita, suggerisce la consulente, ci sarebbe, sempre rispettando le norme attuative del Piano del Centro Storico (PPCS): infatti, secondo l’articolo 5, è consentito mandare simil questioni al Consiglio comunale che può, se lo ritiene opportuno, modificare la destinazione d’uso di edifici come Palazzo Poste e risolvere il caso. Raffreddando la patata e lasciando via libera alla provvidenziale iniziativa privata.

Come dire: la richiesta è impraticabile perché non conforme alla legge di piano ma l’articolo 5 consente una deroga alla legge (in senso contrario) se è il consiglio comunale a deciderlo. Questo articolo è un’enormità, ma non importa: per il consiglio comunale la decisione è un gioco da ragazzi. L’opposizione all’epoca è la Destra e per tradizione la Destra non si oppone a questi progetti privatistici. Il governo è di Variati, che non ha mai perso occasione per dimostrarsi comprensivo nei confronti dei poteri forti. Per la cronaca, gli assessori competenti dell’epoca sono Francesca Lazzari, urbanistica, e Pierangelo Cangini, edilizia privata. Non propriamente due difensori della Bastiglia.

C’è un’ulteriore facilitazione al progetto. Dal 2000 la Sovrintendenza alle belle Arti ha cambiato titolarità. All’epoca c’era la reggente Sabina Ferrari, ora c’è l’architetto Gianna Gaudini.

La società privata chiede alla Gaudini un parere sul progetto (non ancora presentato) di ristrutturazione del palazzo e la Gaudini dà il 21 marzo 2011 un  parere preventivo di autorizzazione con le seguenti prescrizioni: “Che sia ridotto il numero di lucernari sulla falda del prospetto principale; che sia studiata nel dettaglio la struttura del giardino pensile interno. Si resta in attesa di una proposta progettuale che recepisca quanto sopra espresso

Come direbbe Totò? Bazzecole e pinzillacchere. Sostanzialmente, progetto approvato: per i privati, gaudenti, non resta che il debole Consiglio comunale della città di Vicenza, sindaco Variati.

Arriviamo nel 2012. Il consiglio comunale ha un compito non trascurabile. Non deve approvare un progetto di modifica di destinazione d’uso di un immobile qualsiasi: per quello non sarebbe neanche stato convocato. Deve prendere una decisione contraria alla legge di Piano, valida erga omnes, da esso stesso concepita a suo tempo, e fare in modo che un certo progetto presentato sia comunque approvabile. Non basta: il marchingegno non è concepito per un qualsiasi stabile del centro storico, bensì per un edificio sottoposto per Legge a tutela e vincolo monumentale inderogabile.

Il 25 gennaio 2012, senza perder troppo tempo a sentire inesistenti opposizioni, l’allegro Consiglio comunale di Vicenza delibera “di esprimere, in conformità al disposto dell’articolo 5 delle N.T.A. del P.P.C.S. e dell’art. 21 delle N.T.A. del P.A.T, parere favorevole all’accoglimento della richiesta di parziale cambio di utilizzo dell’immobile citato in premessa, dandosi atto che gli aspetti edilizi verranno verificati in fase di rilascio del permesso di costruire.”

Parole di Consiglio. Il grassetto è mio e poi il paziente lettore capirà perché. Aveva proprio ragione la Simonetta Moscon: la domanda era inaccettabile, ma se il Consiglio comunale decideva in contrario, tutto andava ben, madama la marchesa.

Attenzione, però: con quella delibera non discussa, non ragionata, allegramente ignorata probabilmente dalla maggioranza dei consiglieri, non era approvato l’intervento di ristrutturazione, bensì la sola modifica parziale di destinazione d’uso dell’edificio. Se vogliamo, il boccone più ambito dai privati proponenti. Per l’autorizzazione a costruire la società richiedente era obbligata a presentare un progetto dettagliato per il rilascio del permesso. Ai sensi del famoso articolo 9 per il quale, di primo acchito, la domanda era improponibile.

Lucernari, giardino pensile e pinzillacchere

Il primo permesso illegale

E a questo punto intervengono le debolezze, i limiti strutturali intellettivi e pratici, degli uomini. I limiti sono di entrambe le parti in causa, forse troppo commosse dal successo velocemente ottenuto: la società Bell e l’Amministrazione comunale di Vicenza.

La società, infervorata ed entusiasta, si dimentica di allegare alla domanda l’ulteriore proposta progettuale richiesta dalla Sovrintendenza per le famose bazzecole e pinzillacchere. È stato tale l’entusiasmo per la disponibilità della Sovrintendenza che ci si è dimenticati della cosa più semplice da fare.

Quanto al Comune, in fretta e furia, in data 21 marzo 2012, neanche due mesi dopo la delibera del Consiglio comunale, rilascia il permesso di costruire per l’intervento di Ristrutturazione edilizia Palazzo delle Poste di Vicenza, qualificandolo come intervento ricadente in tipologia ordinaria [3], allegandovi il presunto lasciapassare della Sovrintendenza dell’architetto Gianna Gaudini, evidentemente ignorando o fingendo di ignorare che, comunque, tale parere autorizzativo era condizionato alla proposta progettuale che contenesse le famose prescrizioni richieste (i lucernari di falda da ridurre e il giardino pensile fatto come Dio comanda).[4]

Allora: la società non aggiusta come dovuto il progetto e il Comune rilascia un permesso a costruire senza controllare che la documentazione richiesta dalla Sovrintendenza ci sia e soprattutto ignorando che il permesso era non emettibile perché in contrasto con la normativa prevista dall’articolo 9 del PPCS.

Per spiegare le cose con semplicità: il consiglio comunale può modificare d’imperio le regole (articolo 5) e lo ha fatto. Il potere riguarda le destinazioni d’uso. Fatto. Ma l’articolo 9, che è quello che disciplina la complessiva opera di ristrutturazione dello stabile per ottenere il permesso a costruire (interni, esterni, finestroni nuovi, parcheggi nuovi) è sempre valido. Non può essere ignorato, d’emblée. Il Comune, insomma, compie il 21 marzo 2012 un atto illegale. Rilascia un permesso che non può rilasciare.

La Bell potrebbe costruire, ma non lo fa.

Vende invece due parti distinte del grande palazzo

Per un po’ di tempo tutto tace. In teoria la Bell potrebbe demolire, costruire, perfino non tener conto delle alte preoccupazioni della Sovrintendenza sui famosi lucernari. Potrebbe saltare anche le bazzecole e le pinzillacchere. Ma non lo fa. Non ne approfitta. L’impegno è oneroso, chissà. Forse alla società fa più comodo avere le Poste spa come inquilino e godere del non trascurabile canone per l’intero edificio (dal 14 marzo 2008, data dell’atto di acquisto, le Poste spa sono un inquilino di Bell srl).  Chissà. È probabile che il boccone, con cotanta importante autorizzazione ottenuta anche in tempi piuttosto brevi, stia diventando troppo succoso, forse indigesto.

E infatti gatta ci cova. La Bell decide di vendere a Unicredit Leasing spa l’11 novembre 2014 il piano terra del palazzo, quello occupato dagli uffici postali aperti al pubblico. Il resto dello stabile (quello della più onerosa ristrutturazione) se lo tiene fino al 12 dicembre 2016, quando decide di venderlo ad un’altra società, stavolta di Vicenza, la Dervall Immobiliare srl.

Al momento, salvo operazioni non note o non ufficiali in corso, lo storico Palazzo delle Poste è diviso tra due proprietà, Unicredit Leasing per il piano terra e Dervall Immobiliare per le parti alte e il resto dello stabile.

La variante della società Dervall

L’entrata in campo del noto Albanese

 

La Dervall, quella delle parti alte, ha presentato il 6 luglio 2017, cinque anni e quattro mesi (un’eternità) dopo il famoso irrituale permesso a costruire del Comune di Vicenza concesso alla società Bell srl, un’altra richiesta di Permesso di costruire (PdC) in variante al precedente permesso, avente per oggetto il restauro dell’immobile secondo un progetto predisposto da un nuovo protagonista della telenovela, ben noto ai vicentini tutti, Flavio Albanese.

Per i comuni mortali: dopo cinque anni non ci si limita ad eseguire (salvo scadenza di termini) il già discutibile e problematico permesso a costruire del 2012 (un  terno al lotto non incassato) lo si amplia, lo si modifica, lo si abbellisce. Non per ridurre i lucernari richiesti dalla diligente sovrintendente del 2012 o per dichiarare quali piante avrà il giardino pensile, bensì per un cambio vistoso, definito anche qui parziale, delle destinazioni – stavolta residenziale e direzionale –, con modifica di facciate, terrazze e logge.

Non vanno per il sottile Flavio Albanese e il suo studio. Del resto, l’Amministrazione vicentina non è cambiata e che Variati sia un buon amico dello studio è certificato dalla consulenza che il bravo sindaco ha chiesto poco tempo prima ad Albanese per la Tav vicentina modello Mariotto e dalla nomina da lui ricevuta a presidente della Fondazione Teatro Comunale.

Albanese non è uno che si tira indietro di fronte agli incarichi e anche qui può permettersi il lusso di non usare i mezzi toni. Gli assessori sono cambiati rispetto al 2012, ma neanche questi sono integralisti difensori della Bastiglia: Antonio Marco Dalla Pozza all’urbanistica e Filippo Zanetti all’edilizia privata. Bravi figli.

Albanese double face: re-interpreta e conserva

Grandi fori e polifore contemporanee, altro che lucernari

Albanese presenta al Comune di Vicenza una relazione tecnica sul richiesto progetto in variante affermando “che lo stesso si fonda su un atteggiamento bivalente: – “conservativo” per quanto riguarda le facciate esterne (la facciata nord su piazza Garibaldi, quella est su stradella dei Tre Scalini e quella ovest su contrà Fontana) e gli elementi strutturali del manufatto (sia dal punto di vista costruttivo che tipologico) – “re-interpretativo” per quanto concerne le facciate interne, quelle cioè rivolte verso la corte aperta” generata dal manufatto stesso, e gli elementi “non strutturali” interni”.

Il professionista vicentino si spiega come meglio non potrebbe: la sua scelta è giustificata dalla “modesta qualità architettonica dei prospetti interni che guardano la Torre dei Loschi” che determinerebbe l’intenzione “di riqualificare e aggiornare questi affacci attraverso l’introduzione di un sistema di grandi fori, organizzati secondo un ordine tripartito sul lato sud (coerentemente con la simmetria della facciata) e bipartito sui lati est ed ovest, quasi “polifore contemporanee” che combinano l’elemento ‘loggia’ con quello ‘terrazza’”.

Per i comuni mortali: tra polifore definite contemporanee, fori magici, logge e terrazze, il manufatto, immodificabile perché soggetto per legge a tutela vincolata monumentale, sarebbe drasticamente stravolto.

Ad esempio, le cosiddette facciate posteriori interne sono in realtà quelle di fronte alla Torre dei Loschi e a due edifici adiacenti quattrocenteschi, case Lazzari e Polazzo, e a seguito della variante proposta verrebbero radicalmente trasformate mediante l’apertura di porte finestre che si affaccerebbero su logge e terrazze di nuova costruzione.

Ma secondo Albanese tutto questo è giustificato dal fatto che i prospetti interni che guardano la Torre dei Loschi sono brutti.  È la famosa parte re-interpretativa.

Insomma, dice la relazione sbrigativamente (l’avverbio è mio): tutto questo è giustificato dalla “nuova destinazione residenziale, dato che le abitazioni di progetto si avvantaggerebbero di un miglior rapporto con l’esterno e di un’illuminazione naturale adeguata agli standards contemporanei”. Quali standards signor Albanese? Quelli che impongono, per vender meglio ai privati, che ci siano logge, finestroni e terrazze in abbondanza?

Il cielo in una stanza

romanticamente riscoperto e plagiato

 

Nella relazione che accompagna la richiesta di permesso a costruire Albanese dà davvero il meglio di sé, perché non si pone limiti espressivi, forse sa che le orecchie che lo ascoltano sono benevole e pronte. Ad esempio si libra alto e vorace quando afferma che “il nuovo disegno forometrico (sic!) trova riscontro sulle falde del tetto rivolte verso la corte interna, dove si sono progettate delle aperture limitate nella copertura originando così tre pozzi di luce, vere e proprie “stanze a cielo aperto” attorno alle quali si affacciano le zone giorno delle nuove unità abitative del piano sottotetto.

Mi sono perso qualcosa, ma questa è la fase conservativa o quella re-interpretativa?

Albanese mi risponde (indirettamente) ricordando cosa il suo progetto prevede per il piano mezzanino per il quale “invece, come nel progetto approvato (ndr, quello del 2012), si riconferma l’utilizzo del solaio centrale di copertura del piano terra, come terrazza-giardino in rapporto diretto con le nuove unità abitative, dove si è progettato un sistema di grandi vasche inerbite secondo un disegno semplice che richiama l’impianto tipologico dell’edificio.

Capita l’antifona? Ecco dove rispetteranno la Sovrintendenza del 2012: nelle “grandi vasche inerbite”. E il resto? Fifty-fifty. Metà conservativo (il tetto resta), metà re-interpretativo (le zone giorno delle nuove unità abitative).  Il tripudio è servito. Albanese è un genio. È vero che ha l’età giusta per aver amato Il cielo in una stanza di Gino Paoli e Mina ma le sue Stanze a cielo aperto mi sanno tanto di plagio. Concesso al genio.

 

La nuova Sovrintendenza (udite, udite) autorizza. Però…

Di fronte a questa nuova scoppiettante richiesta di variante di qualcosa che era già abbondantemente irregolare ab origine,  la nuova società proprietaria chiede un provvedimento ministeriale (stavolta non un semplice parere) da parte della Sovrintendenza che nel frattempo ha ancora cambiato responsabile, che è il dottor Fabrizio Magani.

La Sovrintendenza [5], clamorosamente, autorizza le opere; però le subordina a qualcosa di preciso. Non siamo alle pinzillacchere di Totò. Diciamo che il grado di raffinatezza è un po’ più alto. Ma la materia è quella. Magani è un po’ più attento della sua ex collega: “Non si autorizzano la terrazza a tasca sulla copertura, gli sporti della terrazza loggia di 150 cm sul fronte parallelo a contrà Garibaldi e non si autorizzano le demolizioni delle murature portanti nel piano seminterrato”.

Il Comune di Vicenza, con i nuovi responsabili assessorili ma sempre lo stesso sindaco, cade gioiosamente nella rete. Naturalmente approva e autorizza la richiesta a costruire, prendendo atto della disposizione condizionata della Sovrintendenza. Insiste, il Comune, a ricordare che

si tratta della variante al permesso a costruire già concesso cinque

anni prima in quel modo illegale-irrituale che sappiamo e dà atto che il termine di fine lavori, già disatteso, è prorogato[6].  Il permesso a costruire è a firma dell’avvocato Maurizio Tirapelle, direttore del Dipartimento servizio ai cittadini e alle imprese.

Ma anche in questo caso i lavori non iniziano quando dovrebbero e il termine decade. Che fare? In Italia si fa così. I termini decadono e si ripresentano le domande di proroga dei termini. Allegria!, direbbe il grande Mike.

 

Tirapelle concede il bis in breve tempo (siamo nel 2018)

 

Il problema è un altro. Accade che quando i termini decadono e le proroghe si susseguono è probabile che errori, anche banali, incidano sul tessuto burocratico. La Dervall, essendo decaduti i termini per il restauro per mancato inizio dei lavori, rifà la domanda, deposita copia della documentazione presentata all’ultima richiesta di variante, e rinvia i riceventi a tutta la documentazione allegata al precedente permesso di costruire (quello storico del 2012) richiamando in domanda l’ultima autorizzazione specifica e monumentale della Sovrintendenza (dottor Magani). Ma questa, è evidente, è una nuova richiesta a costruire per la quale non basta richiamarsi ad una precedente autorizzazione perché per legge è obbligatorio presentarne una attuale e nuova (ovvio, perché da allora molte cose possono essere di fatto cambiate).

Il direttore Tirapelle pochi mesi dopo il precedente permesso ne confeziona, il 18 maggio 2018, un secondo, dimenticando di rilevare la mancanza della necessaria nuova autorizzazione della Sovrintendenza[7] e autorizzando i lavori pari pari come se nulla fosse accaduto sulla base del progetto fifty-fifty (conservativo, re-interpretativo) di Albanese. Il cielo in una stanza non sarà quello di Mina e Gino Paoli ma è legittimo e ormai deve essere avviato.

Scrivendo sempre da persone normali, l’avvocato Tirapelle ha concesso una seconda volta nel 2018  il rinnovo di un permesso a costruire all’immobiliare Dervall su un monumento soggetto a vincolo di legge, come rinnovo automatico di due permessi precedenti entrambi decaduti, di cui il primo concesso ad un’altra società (la Bell spa), sei anni  prima.

 

Un edificio condominiale contemporaneo di lusso

 

Il racconto è lungo e forse noioso e ci scusiamo con i lettori. Ma era necessario farlo perché solo da un dettagliato esame di fatti e circostanze si possono ricavare le più corrette informazioni sullo stato della cosa pubblica e sui rapporti che il Pubblico, nell’anno di grazia 2019, ha con il Privato.

La famosa richiesta di ristrutturazione di un edificio che con

fasulle conservazioni e ‘stupende’ re-interpretazioni si vuole semplicemente stravolgere anche se è un edificio storico vincolato dalla Legge dello Stato  – rinnovi, lavori mai iniziati, e decadenze a parte – in che cosa consisterebbe alla fin fine?

Il dispositivo approvato nel 2018 dall’avvocato Tirapelle del Comune di Vicenza rilasciato all’illustre Albanese della società richiedente per il Palazzo delle Poste (merita lettura attenta) consente :

– la ristrutturazione del Palazzo e in particolare, rispetto alle facciate:

la modifica mediante demolizioni murarie e nuove costruzioni delle facciate verso Torre dei Loschi (edificio medioevale vincolato) e verso

gli altri due palazzi confinanti di epoca rinascimentale attribuiti alla scuola di Lorenzo da Bologna, con la realizzazione di terrazzi, logge, porte finestre, verande, al posto delle finestre preesistenti, con la realizzazione di terrazze a tasca sul tetto;

– la modifica della facciata verso contrà Garibaldi con la realizzazione di porte vetrinate di accesso a locali commerciali mediante la demolizione di finestroni originali in pietra attualmente esistenti al piano terra sotto al porticato.

Commento finale inevitabile: lo storico Palazzo delle Poste di Vicenza diventerebbe (il condizionale è ancora d’obbligo) un edificio condo-

miniale contemporaneo di lusso. Le strutture razionaliste generali volute dall’architettura del Ventennio scomparirebbero. I finestroni, le logge, le terrazze, gli attici nei sottotetti la farebbero da padroni. Ed è ancora da rivisitare la problematica dei parcheggi. A quelle il direttore Tirapelle del Comune di Vicenza (con Variati consenziente, si presume) non ha ancora pensato.

 

Conclusione giuridica

 

L’articolo 9 delle norme tecniche di attuazione del PP del Centro Storico di Vicenza è tuttora in vigore e non è stato rispettato dai preponenti, sia nella storica istanza a costruire del 2012 sia in quella definita variante, con Albanese dominus delle forme e delle rivisitazioni, del 2017.  Le norme tecniche operative del Piano Interventi prescrivono che “non sono consentiti interventi che implichino qualsiasi alterazione della configurazione esterna e interna degli immobili classificati come monumentali”.

Tanto per dirne una, vi sembra che “il nuovo disegno forometrico (ri-sic!)” minacciato da Albanese rispetti queste prescrizioni? Aver dubbi è poco.

La chiave interpretativa di tutto il pasticciaccio, che è giuridico prima che tecnico, risale al 2012. In quell’anno il tecnico incaricato da Variati per dare un parere di competenza sulla domanda di permesso a costruire della ditta Bell aveva escluso che a termini di normativa (ferrea) il permesso potesse essere concesso. L’unica scappatoia poteva essere il ricorso all’articolo 5 delle Norme Tecniche di Attuazione del PPCS, per il quale, nei termini esclusivi di modifica delle destinazioni d’uso, poteva essere chiamato a decidere, con delibera esplicita, il Consiglio comunale. Il quale infatti, il 25 gennaio 2012 diede “parere favorevole all’accoglimento della richiesta di parziale cambio di utilizzo dell’immobile citato in premessa, dandosi atto che gli aspetti edilizi verranno verificati in fase di rilascio del permesso di costruire.”

Non ci vuole una laurea in giurisprudenza per capire che in quel freddo giorno di gennaio del 2012 il Consiglio comunale di Vicenza ha solo concesso la modifica delle destinazioni d’uso. L’assetto edilizio era tutto da verificare. E non fu mai verificato.

Secondo i nuovi preponenti, Albanese compreso, invece il Consiglio comunale avrebbe approvato tutto, finestroni, logge, abbattimenti di muri, nuove “forometrie”, eccetera.

E invece non è così. Restando sempre su un piano giuridico stretto, è vero che il famoso articolo 9 del PPCS che vieta interventi drastici su immobili soggetti a vincolo come Palazzo delle Poste offre anche, all’ultimo comma, un’ipotetica via d’uscita in casi estremi: ma lo consente solo “previa approvazione da parte del Consiglio Conmunale di un piano di insieme comprendente l’intero comparto o sub comparto urbanistico”.

Per parlare come persone normali: in teoria è possibile anche cambiare, oltre alla destinazione d’uso, strutture esterne e interne, fare fori e sottotetti, ribaltare e ricostruire (molto in teoria), ma solo in un piano d’insieme che comprenda l’intero comparto o sub comparto urbanistico. Esempio: vogliamo modificare radicalmente il quartiere del sub comparto urbanistico che comprende il Palazzo Poste? Possiamo farlo. Ma allora il consiglio comunale deve pronunciarsi sulla complessiva ristruttura urbanistica del quartiere, isolato o comparto che dir si voglia. Nel caso specifico, impossibile, per la presenza di Torre dei Loschi, dei palazzi rinascimentali, eccetera.

 

Conclusione politica

 

Il Comune di Vicenza ha sbagliato per leggerezza due volte. Ugualmente leggera, in più occasioni, è stata la Sovrintendenza. Hanno sbagliato due volte i diversi privati che si sono succeduti nella proprietà dell’immobile storico. Per fortuna sono intervenuti, opponendosi, i privati proprietari degli immobili vicini.

Il pasticciaccio è così emerso in tutta la sua dinamica e forza esemplare (di malgoverno della cosa pubblica). IlConsiglio di Stato ha deciso a dicembre 2018 di fermare i lavori che, stavolta, sembravano sul punto di iniziare davvero.

Il Comune di Vicenza non ammette gli errori compiuti. Si è costituito in giudizio ammettendo che si deve applicare l’articolo 9 delle norme attuative il PPCS (bontà sua) ma sostenendo che il permesso a costruire è stato rilasciato correttamente nel momento in cui il Consiglio comunale nel 2012 è stato chiamato a deliberare. Errore clamoroso perché in quel famoso gennaio 2012 il Consiglio comunale ha solo concesso la modifica delle destinazioni d’uso ex articolo 5. Non è entrato nel merito edilizio: anzi, come dice la delibera (vedi sopra) si dava atto che “gli aspetti edilizi verranno verificati in fase di rilascio del permesso a costruire”.  Sul piano edilizio, per concedere il corretto permesso, esso è ancora in attesa della domanda circostanziata del privato.

Anche i comuni possono commettere errori e li commettono. Non è un dolo, è una colpa. Umana. Basta riconoscere gli errori e le cose vanno a posto. Nel pasticcio di Palazzo Poste, evidentemente, le motivazioni politiche erano talmente rilevanti che, anziché frenare, chi deteneva le leve della cosa pubblica ha accelerato.

Ora dovrà pronunciarsi il TAR Veneto. Non vediamo, da semplici osservatori, come potrà dire che tutto è andato bene in questo terrificante iter durato una decina d’anni.

Come potrà il buon Albanese fare i fori magici che tanto desidera senza permesso (vero) a costruire? E la “terrazza tasca a copertura” che aveva scandalizzato perfino il disponibile Magani della Sovrintendenza, che fine farà? E il cielo in una stanza? Dovremo ‘rassegnarci’ a tenerci stretto solo l’unico finora conosciuto, ma autentico e senza bisogno di permessi burocratici, facente capo a Gino Paoli e Mina? Ho idea di sì.

 

[1] Si tratta del D. Lgs. 29.10.1999 n. 490.

[2] D. Lgs. 22.01.2004, n. 42.

[3] D.P.R. 380/2001, art. 3, lettera d).

[4] Parere n. 6847 del 21/03/2011.

[5] Provvedimento n. prot. 13335 del 6 giugno 2017.

[6] Così recita: “visto il parere favorevole condizionato prot. N. 13335 del 6/6/2017 espresso ai sensi dell’art. 21 comma 4 e dell’art. 22 del D. Lgs. 42/04 – Parte seconda – dalla soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, considerato che trattasi di vsriante di un permesso a costruire perfezionato in data 21/03/2012 NPG 21573/12, dato atto che il termine di fine lavori è stato prorogato ai sensi dell’art. 30, comma 3, della Legge n. 98 del 2013.

[7] Il Comune di Vicenza così rinnova il PdC decaduto NUT 879/2018 scrivendo di aver approvato “l’intervento di ristrutturazione edilizia Palazzo delle Poste a Vicenza” con la precisazione che “il presente Permesso di costruire sostituisce a tutti gli effetti l’atto perfezionato in data 21.03.2012 e la successiva variante perfezionata in data 16.11.2017, decaduti ai sensi di legge. Restano comunque confermate le condizioni speciali in essi contenute.”

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Pino Dato
Pino Dato (all'anagrafe Giuseppe Dato) è uno scrittore, editore e giornalista italiano. Dal 1953 si è stabilito nel Vicentino dove vive, a Creazzo. Si è laureato in Economia e Commercio a Ca' Foscari, Venezia, nel 1968, discutendo con Agostino Gambino una tesi su Associazioni non riconosciute e personalità giuridica. Si è laureato in Lettere a Ca' Foscari, Venezia, nel 2004, discutendo con Ilaria Crotti una tesi su Goffredo Parise Il manoscritto ritrovato, Goffredo Parise, gli Americani a Vicenza. Si è laureato in specialistica Letteratura e Filologia Italiana, sempre a Ca' Foscari, nel marzo 2007.Pino Dato era diventato giornalista pubblicista presso l'Ordine dei giornalisti di Venezia il 4 maggio 1971, e collaborò per alcuni anni a: Paese Sera, Il Secolo XIX, Il Mattino di Padova.Nell'agosto 1964 fonda a Vicenza il periodico Il Sospiro del tifoso, che si autodefinisce periodico di critica e politica sportiva e, dal 1975, periodico di sport e cultura. Il periodico nei primi anni di vita è distribuito gratuitamente nei luoghi pubblici e allo stadio di Vicenza, successivamente è posto in vendita al prezzo del quotidiano. Il Sospiro del tifoso esce continuativamente con la periodicità stabilita, quindicinale, fino al 1989, per 25 anni,e Pino Dato ne è direttore responsabile oltre che editore. Ha una periodicità molto limitata - da uno a due numeri l'anno - dal 1990 al 1994, per poi riprendere con la consueta quindicinale nel gennaio 1995 fino al 2002.Nel 1983 Pino Dato fonda la casa editrice Dedalus e nel dicembre dello stesso anno dà alle stampe il suo primo libro Dimenticare Vicenza?. Protagonista del libro è la città di Vicenza e il suo ricco prontuario umano di personaggi politici, sportivi, letterari, contemporanei e no. Il libro ha una distribuzione solo provinciale ma in breve esaurisce le 2000 copie stampate. Nel febbraio 1984 ne esce una seconda edizione di altre 1000 copie.Dall’autunno del 2010 collabora al giornale on line LETTERA43.it.Tra le sue pubblicazioni:• Quasi erotica, poesie, 1985;• Vicenza, briganti e gentiluomini, racconti e articoli, 1988;• Dimenticare Vicenza? 2, ritratti vicentini, 1991;• Vicenza, la penombra che stiamo attraversando, saggi politici, 1996;• Vicenza, la città incompiuta – Da Maltauro a Ingui nell'urbanistica negata. Il caso del Parco delle Fornaci, con Fulvio Rebesani, 1999 – un saggio sulla mancanza di un disegno urbanistico della città;• Un laccio al cuore, romanzo (di ambientazione americana, periodo maccartista), 2001;• Storia del Vicenza (Acivi, Lanerossi e Vicenza nel secolo breve) – storia ragionata del primo secolo di vita della società più prestigiosa del calcio vicentino – 2002;• Sillabario vicentino - personaggi e interpreti dalla A alla Z - 2003;• Onisto Un vescovo pastore nella sacrestia d'Italia) – Con Fulvio Rebesani. Storia di un vescovo in perenne conflitto con i poteri forti – 2005;• Vicentinità (Il manoscritto ritrovato, Goffredo Parise, gli Americani a Vicenza), 2007.• L'ultimo anti-americano (Goffredo Parise e gli USA: dal mito al rifiuto), 2009, Aracne editrice, Roma