Arzignano, gli studenti incontrano Giampietro Ghidini, il papà che ha perso il figlio per una pasticca di droga

685

I ragazzi del Comprensivo Goffredo Parise- scuola Motterle – incontreranno, mercoledì 4 aprile, l’associazione EMA Pesciolino Rosso e avranno così la possibilità di ascoltare e parlare con papà Giampietro Ghidini, un papà coraggioso che si rivolge ai ragazzi come se parlasse al figlio Emanuele, perduto per una pasticca di droga. Sono incontri importanti, bisogna tenere sempre alta l’attenzione verso il problema delle dipendenze. L’amministrazione comunale di Arzignano e l’Amministrazione comunale di Montorso Vicentino hanno organizzato per mercoledì 4 aprile un doppio appuntamento con Gianpietro Ghidini e l’Associazione EMA PESCIOLINO ROSSO: dalle ore 11:00 alle ore 13:00 per gli alunni delle classi seconde e terze della Scuola sec. di I grado della Beltrame e della Motterle presso il Teatro Mattarello, dalle 20:30 alle 22:30 per i genitori e le comunità di Montorso e Arzignano presso il Palatenda di Villa da Porto di Montorso Vicentino.

 


Gianpietro Ghidini gira le scuole d’Italia per raccontare la storia di suo figlio Emanuele, ucciso nel 2013 da una pasticca. Perché la sua tragedia possa salvare altri giovani.
Era notte fonda quando il telefono ha squillato. Per annunciare a Gianpietro Ghidini, la tragedia che avrebbe stravolto per sempre la sua vita. Suo figlio Emanuele, di appena 16 anni, si era gettato nel fiume Chiesa, a pochi passi da casa, a Gavardo, in provincia di Brescia. Durante una festa aveva provato una pasticca di Lsd. «Aveva perso la testa. Era andato a una cena, con amici anche più grandi di lui. C’erano dei cartoni di Lsd e lui l’ha provata. È stato subito male, non lo controllavano più, era molto nervoso. Quando è arrivato sulla soglia di casa, l’amico che era con lui, gli ha proposto di fare un giro in paese, per prendere un po’ d’aria. Così sono andati vicino al fiume», racconta il papà.
Davanti all’acqua Emanuele è come impazzito. «Ha iniziato a dire all’amico che doveva uccidersi e si è buttato di testa. Chi era con lui ha cercato di trattenerlo ma non è riuscito a fermarlo. Erano le due di notte e lui si è gettato nelle acque gelide di quel fiume in piena.»
Quando Gianpietro è arrivato sul posto, di Emanuele non c’era più traccia. Il fiume se l’era già portato via. «Ho immaginato Emanuele là sotto e volevo lanciarmi anche io. Poi mi sono reso conto che proprio nel punto in cui Ema si era buttato, tempo prima avevamo liberato un pesciolino rosso, che si trovava nel nostro stagno e quel giorno era stato morso da una papera. Lui voleva che vivesse.»
Gianpietro ha ritrovato dopo dieci ore il corpo di suo figlio, annegato. «Mi sono visto perduto. Poi ho fatto un sogno: raccoglievo Emanuele dalle acque del mare e quando mi sono svegliato avevo chiaro ciò che dovevo fare. Così ho deciso di fondare l’Associazione EMA PESCIOLINO ROSSO e raccontare la nostra storia in tutte le scuole d’Italia.»
Dopo avere pubblicato sulla pagina Fb della Fondazione una lettera indirizzata a suo figlio (qui allegata), Gianpietro ha iniziato a ricevere migliaia di messaggi. «L’associazione è nata otto giorni dopo la sua morte. Stiamo diventando un’onda di pesciolini rossi nell’acquario di Ema, che era del segno dell’acquario.»
Nelle scuole Gianpietro si rivolge ai ragazzi come se parlasse a suo figlio, gli parla di droga, alcol e dipendenze. «Gli spiego le conseguenze e com’è fatta la cocaina o la marijuana ma soprattutto cerco di stimolarli. Perché la droga è l’ultimo dei nostri problemi oggi. Dico sempre di cercare un sogno di dentro di loro e di prepararsi per realizzarlo. Solo così possiamo cambiare il mondo.»
Per papà Gianpietro, è così che lo chiamano oggi gli studenti, ogni abbraccio a un giovane è una nuova carica d’energia. «Il dolore che provo ogni giorno l’ho trasformato in amore. La gioia più grande è quella che provo quando mi stringono e mi dicono che gli ho salvato la vita.»
Nei suoi incontri Gianpietro si rivolge però anche ai genitori, a cui è dedicata una parte del libro Lasciami Volare, che è diventata anche un’opera teatrale. «Spesso siamo noi genitori più persi dei nostri figli. Commettiamo errori anche banali, io per primo l’ho fatto. Con Ema avevo un bellissimo rapporto, ci abbracciavamo sempre. Nell’ultimo anno però avevo deciso di andare via di casa, pensavo che i miei due figli fossero grandi e non avessero più bisogno di me.»
È questo l’errore più che grande a cui Gianpietro aveva deciso di rimediare tornando a casa, dalla sua famiglia, a Natale. «Ma Emanuele è morto un mese prima, il destino non ha voluto così. Questo è l’unico rammarico. Potevo buttarmi anch’io nel fiume e non alzarmi più in piedi ma ho deciso di non rendere vano il sacrificio di mio figlio e portare ovunque il mio dolore, trasformandolo in amore verso gli altri.»