Si sta chiudendo il mese missionario straordinario voluto da papa Francesco , un tempo speciale e al contempo propizio per interrogarci, pregare, riflettere e confrontarsi insieme su cosa vuol dire per ciascun credente e per ogni comunità ecclesiale essere in stato permanente di missione, come aveva scritto papa Bergoglio nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ e come il nostro vescovo Beniamino ha rilanciato con forza nella lettera pastorale ‘Battezzati e inviati per la vita del mondo’.
Molte le occasioni che ci sono state offerte per fare un passo in avanti in questa che è – ne siamo oramai consapevoli – una vera e propria conversione spirituale e pastorale. La missione ad gentes e la missione ordinaria nelle nostre comunità non sono poi così diverse. E anzi alle chiese lontane possiamo non solo dare e aiutare, ma da loro, oggi più di ieri, possiamo anche imparare e molto.
È un principio, per carità, che sappiamo, che ci ripetiamo da tempo, ma che forse in questo ottobre ha assunto una concretezza particolare. Non poteva forse essere diversamente essendo provocati dalle voci sofferte dell’Amazzonia risuonate nelle nostre chiese come eco del Sinodo in corso a San Pietro e dalle tragiche storie raccontate dalla chiesa del Mozambico che sentiamo ancora più Chiesa nostra sorella.
Ascoltare i missionari che vengono da chiese piccole (come quelle dell’Asia, per esempio) ci fa bene. Ci fa capire che i numeri sono importanti ma non sono l’essenziale e che oggi siamo tutti chiamati a ripartire proprio dall’essenziale.
Ciascuno di noi è chiamato a essere missionario. E il missionario – abbiamo intuito – è prima di tutto, un testimone di un miracolo. La scoperta da parte di una persona di Gesù Cristo nella propria vita è infatti, un evento che rientra tra i miracoli possibili solo a Dio. Non siamo noi a fare questo miracolo. A noi è chiesto (ed è già moltissimo per le nostre possibilità) a Vicenza come in Amazzonia, o a Beira in Mozambico come in Thailandia la testimonianza della fede con la vita ed essere capaci di riconoscere nell’incontro con ogni donna e uomo la possibilità di intuire, accogliere e custodire la verità che sta nel cuore di ogni persona. Questo non ci toglie alcuna responsabilità, anzi, ma ci libera dall’ansia che non poche volte ci prende, di un eccesso di efficienza, quasi che da questa dipendesse tutto.
La veglia missionaria e il meeting diocesano ci hanno offerto delle piste preziose, che starà a ciascuno non sprecare e non soffocare sotto il solito ‘Ma si è sempre fatto così’. Il tempo del cambiamento qual è quello che stiamo vivendo, più che gli altri, richiede coraggio e capacità di leggere i segni dei tempi e di farlo insieme.
In questo mese c’è stato dato il dono di poter fare ancora esperienza di tutto questo. Ora dopo la straordinarietà del mese di ottobre ci aspetta l’ordinarietà degli altri undici mesi dell’anno ed è lì che davvero ci possiamo giocare il nostro essere ‘in missione per conto di Dio’.