Processo BPVi: pm affaticati, è lotta impari con stuoli di avvocati e testimoni timidi… Con Gianni Zonin?

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«Presidente, dico la verità, noi siamo veramente stremati già con le citazioni perché, e di questo ringrazio il tribunale, il processo BPVi sta marciando a una velocità adeguata alla sua importanza. Siamo un pochino in difficoltà e facciamo un po’ di fatica…» dice il 31 ottobre Gianni Pipeschi (qui il nostro video).

Il pm lo dichiara di fatto per una richiesta, sia pure corretta, da parte di un difensore di variazione di date per importanti impedimenti e di conseguenti necessità di fare nuove convocazioni dei testimoni programmati ma Pipeschi esterna il disagio e la stanchezza, pensiamo, anche e soprattutto, per una crescente difficoltà nel gestire un’accusa basata su oltre un milione e quattrocentomila pagine prodotte dai due stessi magistrati inquirenti in anni di indagini su argomenti complessi.

A Pipeschi, che parla proprio in coincidenza di una visita lampo in aula del procuratore capo uscente Antonino Cappelleri, si associa  anche il collega Luigi Salvadori, ma, poi, la presidente Deborah De Stefano, in ottemperanza alle norme, non può che rinviare i testi del 7 novembre riservando la data solo all’apparizione presumibilmente fugace, se pure ci sarà, di Samuele Sorato e imponendo ai pm di rifare le nuove, lamentate convocazioni.

Lo sfogo dei due sostituti procuratori, però, è sintomatico di uno sforzo notevole se non sovrumano che anche lo stesso collegio giudicante qualche udienza fa aveva palesato quando chiedeva ai difensori e all’accusa di fornire nel rispetto delle leggi ma con un minimo di anticipo i documenti oggetto di future udienze perché la corte avesse il tempo di studiarli vista la complessità e la mole delle prove a carico o a discarico degli imputati.

È innegabile che sia impegnativa e forse al limite dell’insostenibile l’impresa dell’accusa e delle giudici, che si sono date tempi stretti per arrivare a sentenza per il processo BPVi, che rimane imponente pur se relativo a reati che, a nostro parere da umili cronisti fin dal 2010 del crac da pochi annunciato della banca di Gianni Zonin, mettono, inesorabilmente, al riparo da eventuali condanne altrettanto “imponenti” i solo sei imputati (l’ispettore Bce Emanuele Gatti ha detto e il suo collega Gianluca Manni ha ripetuto che i comportamenti oggetto dell’accusa era pervasivi e a tutti i livelli, non solo interni alla banca).

Ed è tanto più innegabile la “fatica” se solo si pensa che a sostenere l’accusa nel processo BPVi ci sono due pm che hanno di fronte tipicamente due difensori per udienza per ognuno dei sei imputati, alcuni, quelli apicali, talvolta fin troppo sereni e gioiosi in rapporto al dramma di decine di migliaia di risparmiatori comunque azzerati.

Se, poi, si riflette che, per occuparsi di smontare non tutto l’impianto accusatorio, ma solo le singole accuse dei singoli imputati, i legali delle difese sono presumibilmente supportati nei loro studi da colleghi che lavorano per loro mentre si svolgono le udienze senza neanche avere anche le incombenze organizzative dei pm, appare addirittura impari lo sforzo compiuto da Salvadori e Pipeschi.

I due pm devono, infatti, snocciolare grafici, mail, documenti e registrazioni per ore per tirar fuori almeno le conferme chiare di quanto già verbalizzato in fase di indagini dalla gran parte dei testimoni ex big della BPVi, che non lo saranno ma spesso appaiono timidi se non reticenti quando si parla di Zonin ma più sciolti quando si punta il dito contro l’assente Sorato e il presente Giustini, che rischia di fare da capro espiatorio.

All’avvocato Enrico Ambrosetti, l’esempio massimo di questa sproporzione di forze in campo, basta, invece, ripetere stancamente (e in attesa di “una pasta alle cozze” o di qualche altro prelibato bocconcino) le stesse e poche domande ai collaboratori scelti da Zonin o a cascata da coloro che lui aveva scelto per gestire la musìna fatta di… neve al sole, anche loro apparenti passanti nella banca del crac dei denari e delle speranze dei risparmiatori: «Il presidente le ha mai dato ordini sulle baciate? Le risultava che il cavaliere sapesse delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni parcheggiate nei portafogli dei grandi soci?…».

Ai loro scontati “no”, Zonin sorride sollevato dalle sue responsabilità, che rifiuta, anche se solo fossero etiche, così tanto dall’esultare quando testimoni tecnici gli danno più volte dell’incapace…

Tecnicamente per carità.

Nota

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