La notizia della latitanza di Matteo Messina Denaro pubblicata sul Gazzettino di oggi è stata ripresa da molti media nazionali. Di seguito l’articolo dettagliato del Messaggero
Una cantina di Campo di Pietra di Salgareda ha ospitato per alcuni giorni – in un edificio di colore giallo – Matteo Messina Denaro, il superlatitante della mafia siciliana. Il boss dei boss di Cosa Nostra erede di Totò Riina ha svernato in Veneto, ospite di Vincenzo Centineo, pure lui siciliano essendo originario di Gangi in provincia di Palermo, arrestato nel febbraio scorso nell’ambito dell’inchiesta sui Casalesi di Eraclea. Lo scrive Il Gazzettino.
Centineo infatti risulta in stretto contatto con il boss dei casalesi, Luciano Donadio, con il quale si sarebbe spartito il business del pizzo agli imprenditori veneti e dei prestiti a strozzo tra il Veneto e il Friuli. Del resto mafia, ndrangheta e camorra hanno spadroneggiato nel Veneto e in particolare nel Veneto Orientale a partire dagli anni 80 e Salgareda dista pochi chilometri da San Donà di Piave che storicamente è stato il primo punto di approdo dei camorristi, quando sono sbarcati nel Nordest al seguito della banda di Felice Maniero, che aveva stretto accordi sia con la mafia palermitana – per l’eroina – che con la camorra – per l’importazione di cocaina.
COLLABORATORE Il collaboratore di giustizia, Emanuele Merenda, originario di Patti in provincia di Messina, a raccontare il particolare clamoroso della latitanza veneta di Matteo Messina Denaro, 57 anni, considerato tra i latitanti più pericolosi e più ricercati al mondo. Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro diventò il capo dei capi e si dichiarò favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi inaugurata da Riina con le stragi di Capaci e di via D’Amelio che portarono all’uccisione di Falcone e Borsellino. E infatti a Messina Denaro vengono attribuite le bombe di Firenze, Milano e Roma che causarono 10 vittime e notevoli danni al patrimonio artistico.
IL SEQUESTRO Nel novembre 1993 Messina Denaro fu tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci e dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo venne brutalmente strangolato e il cadavere buttato in un bidone pieno di acido. Da allora Matteo Messina Denaro ha fatto perdere le sue tracce. «Centineo mi ha detto che ha ospitato Matteo Messina Denaro per quattro o cinque giorni a Campo di Pietra». E in un altro interrogatorio il pentito Emanuele Merenda aggiunge: «Centinaio mi ha spiegato che prestava denaro senza garanzie ad interessi elevatissimi. Mi ha anche detto che i soldi che impiegava provenivano dal gestore di una cantina di Campo di Pietra riconducibile a dei siciliani che erano dei pezzi da novanta».
Dunque, potrebbe pure essere che tra i mille investimenti fatti dalla mafia siciliana nel Nord Italia, ce ne sia pure uno che interessa una azienda vinicola di Ponte di Pietra – con la caratteristica facciata gialla – nella quale Matteo Messina Denaro ha poi trascorso qualche giorno di latitanza, al sicuro, in un periodo storico che si colloca più o meno attorno al 2014.
ATTENDIBILITÀ Ma Emanuele Merenda è un collaboratore di giustizia attendibile? Gli investigatori ne sono convinti. Hanno controllato quel che il pentito ha rivelato sulla banda dei casalesi di Eraclea e la sua testimonianza ha portato prove ulteriori alla Procura di Venezia. Dunque ha poco senso pensare che abbia raccontato il vero su Donadio e si sia inventato poi qualcosa su Centineo, per il quale lavorava come riscossore, mestiere che peraltro Merenda svolgeva anche per il clan Morabito della ndrangheta calabrese, che aveva in Attilio Vittorio Violi, residente a Marcon, il suo referente.
LA DROGA Violi importava cocaina dalla Calabria – del resto la ndrangheta detiene il monopolio dello spaccio in tutta Europa e si stima fatturi tra i 50 e i 100 miliardi di euro l’anno solo con la cocaina – e organizzava poi lo spaccio in tutto il Veneto, mentre metteva anche a segno estorsioni e riscuoteva il pizzo dalle aziende del Veneto e del Friuli. Dunque, Merenda pare credibile anche perchè non fa altro che confermare quel che era già saltato fuori dall’inchiesta del pm Roberto Terzo su Eraclea e cioè che il Veneto per un paio di decenni è stato il posto perfetto per ndrangheta, camorra e mafia che qui hanno prosperato indisturbate per lungo tempo. E questo potrebbe spiegare dunque anche la presenza di Matteo Messina Denaro, il capo dei capi, in Veneto.