«Popolare di Bari e Sondrio mi sembrano ancora là e invece Veneto Banca è stata annullata». Così inizia l’intervista pubblicata il 14 novembre (su Il Gazzettino a firma di Maurizio Crema) a Flavio Trinca in presenza del suo avvocato, Fabio Pinelli, difensore anche di Samuele Sorato.
Generalmente si è meno spontanei con accanto il proprio legale, come è stato per Gianni Zonin che un po’ di bugie le ha dette, come abbiamo poi documentato, al collega del GdV che lo ha intervistato il 26 ottobre scorso con la stessa modalità, quella dell’angelo custode, nella fattispecie l’avv. Enrico Ambrosetti.
Se è comprensibile, se si ha qualcosa da nascondere o da non dire completamente, che certe interviste siano fatte sotto tutela legale quando si è indagati o, peggio, sotto processo, la condizione attuale di Gianni Zonin, questo non ci pare il caso, però, di Flavio Trinca, che, da archiviato e da politico e manager di rango, oltre che sufficientemente adulto, potrebbe rimuovere gli scudi altrui intorno a sé per dire non solo tutta la verità ma anche chi, come e perché l’ha voluta rappresentare e far apparire come diversa a danno di Veneto Banca, come lui sostiene e noi concordiamo, e a danno di lui stesso.
Avevamo già sentito Trinca, conosciuto anni prima quando la sua banca sponsorizzava il club di volley di A1 da me diretto, l’11 giugno scorso, telefonicamente e senza Pinelli, per chiedergli conferma e commenti sull’incontro con Carmelo Barbagallo, l’allora capo e regista della Vigilanza di Banca d’Italia, che aveva convocato in via Nazionale a Roma per il 19 febbraio 2014 lui e Gianni Zonin, da soli e in quanto presidenti, quindi massimi esponenti, delle due Popolari Venete.
Trinca l’11 giugno ci apparve oltre che cortese anche coraggioso, vista la sua situazione di indagato sulla graticola, perché non solo ci confermò ma commentò con chiarezza, con fermezza e, consentitemelo, con orgoglio l’incontro, per altro richiamato anche in documenti ufficiali in nostro possesso, confermatoci nel frattempo, a denti stretti e con ritrosia sui contenuti, da Bankitalia stessa e di cui noi avevamo la registrazione audio.
Visto che nessun altro mezzo nazionale e locale, ne contattammo tanti, ebbe l’ardire di pubblicare i passaggi chiave di quell’audio lo facemmo noi, da soli, il 28 luglio: “Barbagallo bifronte: il 19 febbraio ’14 incontrò Zonin e Trinca in Bankitalia per “Veneto Banca in BPVi subito!”. In audizione negò!”.
Ma non scrivemmo allora di aver parlato con Trinca, perché, pur se da lui invitati a scrivere i fatti e la nostra lettura che coincideva con la sua (Veneto Banca sacrificata sull’altare di BPVi senza, per giunta, alla fine salvare neanche una delle due), non volevamo fargli rischiare una ipotetica rappresaglia di un sistema che lui randellò quell’11 giugno, senza farsi, per giunta, scudo di Consoli o di altri dirigenti della sua banca come pare fare ora che dovrebbe essere più libero o più… liberato.
Ecco perché, prima ancora di riferire compiutamente quanto ci disse l’11 giugno 2019 e quanto ci ha detto e, in parte, ripetuto e rafforzato lo scorso 19 novembre, quando lo abbiamo richiamato al telefono e sempre senza filtri, vi riproponiamo oggi molti passaggi chiave della lunga intervista del collega de Il Gazzettino con Trinca e Pinelli.
Leggeteli e poi, domani, scriveremo noi delle nostre telefonate dell’11 giugno e del 19 novembre 2019 con Trinca che ci faranno capire qualcosa, molto?, di più
- di quell’incontro a Roma tra Carmelo Barbagallo, che sempre ha dichiarato che Banca d’Italia era estranea alle scelte di fusione o meno delle due banche venete, e i due ex presidenti, ora entrambi impegnati a scaricare su altri il proprio operato, anche se, come per l’ex presidente di Montebelluna, un giudice ha siglato la sua estraneità a ogni addebito per lui e per tutti meno che per Vincenzo Consoli;
- e di quest’uomo, l’ex amministratore delegato, capace di fare tutto da solo in Veneto Banca per cui, se lo stesso o un altro giudice alla fine dovesse sentenziare che nulla di male ha fatto, beh, gli dovrebbero erigere un monumento come costruttore solitario di un’azienda distrutta da altri… Innominati o innominabili?
A 80 anni, prosegue, quindi, il collega, “l’ex presidente di Veneto Banca, dal 1997 al 2014, non riesce a essere sereno. L’archiviazione chiesta dal pm trevigiano Massimo De Bortoli e accolta dal gip Bruno Casciarri è sicuramente la fine di un incubo. Ma quattro anni sulla graticola giudiziaria si fanno sentire e la fine della banca trevigiana ha lasciato in lui una profonda amarezza: «Mi hanno distrutto, non riesco a essere più lucido, ogni tanto dimentico le cose: io questa inchiesta l’ho vissuta come un’ingiustizia. Ora finalmente i fatti si sono chiariti e i giudici hanno capito che in quella banca non avevo nessun ruolo operativo. Non sono mai stato sodale di Vincenzo Consoli»”.
Trinca, “commercialista di Montebelluna, figlio del capo dei pompieri della cittadina trevigiana”, così da “uomo umile” lo descrive Crema, aggiunge: «Certe espressioni della verifica della Banca d’Italia, la loro richiesta di farci da parte e di andare alla fusione con Popolare di Vicenza, le ho vissute come un sopruso. Certi atteggiamenti, modi di fare, erano delle forzature, un’ingiustizia. Ma queste sono mie sensazioni: delle questioni operative si occupava solo Consoli, addirittura mi obbligava a non partecipare alla gestione. La mia era una funzione di rappresentanza. Al pm De Bortoli l’ho detto: il consiglio d’amministrazione decideva sulle indicazioni della dirigenza…»”.
“Eppure – gli ricorda Crema – un paio di volte fu convocato a Roma in Banca d’Italia da solo e senza Consoli. Perché? «Mi dissero che bisognava fare la fusione con Vicenza. Se non ricordo male in una di quelle riunioni, mi sembra nel gennaio o febbraio del 2014, c’era anche il presidente della banca Popolare vicentina Gianni Zonin oltre al dirigente della Banca d’Italia Carmelo Barbagallo. Io però non ero convinto, le voci che si sentivano in giro non erano delle migliori. Ancora adesso, dopo quello che sta emergendo a Vicenza, non riesco a capire perché dovevamo fonderci con loro. In ogni caso quel tipo di decisioni dipendevano da tutto il cda».
“L’avvocato Pinelli – ecco in azione diretta il bravo angelo custode che immaginiamo sempre incombente su Crema – interviene per ricordare che lo statuto di Veneto Banca parlava chiaro: «Il presidente ha un ruolo non esecutivo e non svolge neppure di fatto funzioni gestionali»”….
“Prima – il collega ripercorre la storia nota – c’è stato anche il famoso incontro ad Aquileia, nella tenuta di Zonin: era il 27 dicembre del 2013. Lei fu invitato con Consoli. Lì si parlò diffusamente della fusione? «Sì. Zonin ci disse chiaramente che nessuno di noi doveva entrare nel nuovo cda, che dovevamo dimetterci tutti, che lo voleva la Banca d’Italia. Non ci ha esplicitato che governance avrebbe avuto la futura banca, i posti in consiglio. Si doveva fare quello che decideva lui e la componente di Veneto Banca doveva diventare subalterna. Il cda rifiutò quella proposta e poi ci dimettemmo in blocco nell’assemblea del 26 aprile del 2014»”.
“E in quell’occasione denunciò pubblicamente le pressioni della Banca d’Italia…”: così Maurizio Crema riprende e quasi lo spinge, invano però, a un sussulto di orgoglio perché Trinca risponde che “«Quel discorso me l’hanno scritto altri». Si pente di aver approvato la conferma di Consoli a direttore generale? «A posteriori forse c’era bisogno di un cambio della guardia e forse dovevo lasciare prima anch’io. Consoli è diventato direttore generale più o meno in contemporanea alla mia nomina a presidente, nel 1997. Fu lui credo a propormi come presidente per rappresentare il territorio e opporci alla fusione con l’allora Sanpaolo Imi». Insomma, era Consoli il dominus di Veneto Banca? «Lui era la banca. Con lui avevo un rapporto cordiale, ma più di una volta si arrabbiò perché andavo a parlare con qualche dirigente o imprenditore. E allora decisi di fare a meno, mi limitai a svolgere le mie funzioni sociali di rappresentanza alle cene istituzionali»”.
“Rimane il fatto – commenta Crema – che degli investimenti e dei risparmi di 81mila azionisti di Veneto Banca oggi non è rimasto nulla, bruciati. C’è chi parla di un Vajont finanziario…”.
E Trinca trova il colpevole: “«È stata una tempesta perfetta. Forse abbiamo sbagliato a cercare di finanziare le nostre imprese anche dopo la crisi del 2008 quando le grandi banche come Intesa e Unicredit si ritiravano… Ma eravamo una banca Popolare, avevamo delle responsabilità verso il territorio. Mi dispiace per tutta quella gente che ha perso tutto come me, sono vicino a quelle persone: è stato un disastro sociale. Ma non mi sento responsabile personalmente: anch’io credevo nella banca e in Consoli, come manager e come persona. E nessuno mi ha mai avvertito o avvertito il cda dei problemi che potevano esserci: né il collegio sindacale, né la società di revisione e nemmeno gli organi di Vigilanza… Da quattro anni esco solo alla mattina per fare delle camminate in collina e poi me ne sto a casa perché ancora oggi temo di incontrare qualche ex socio che non ha capito la mia reale posizione. La batosta è stata grande e mi sono tirato fuori da tutto e da tutti. E non ho più parlato con Consoli o con gli altri del cda».
Con noi, che non siamo né Consoli né membri dell’ex cda, Trinca ha parlato, prima e dopo l’archiviazione, e vi racconteremo cosa ci ha detto da domani e il più sinteticamente possibile con “soggetto, predicato e complemento…“.