Danni per la vittime di Veneto Banca, Avv. Emanuela Marsan: chiamata a risarcire, Banca Intesa Sanpaolo non può risolvere il contratto

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Che la strategia di Intesa Sanpaolo fosse inflessibile, spregiudicata, spietata nella tutela integrale dei propri interessi, sorda ad ogni altra ragione e che essa si avvalesse di un armamentario impressionante di munizioni e truppe sul campo appare ovvio fin da quella domenica di giugno scorso in cui il Consiglio dei ministri, in due minuti e senza una parola di dibattito, approvò il famigerato decreto legge 99, poi convertito nella legge 131 del 21 luglio successivo.

Un provvedimento pubblicato solo otto mesi dopo (in barba alle più elementari statuizioni di diritto rispetto agli effetti traumatici che subito ne sono invece conseguiti), viziato da gravi dubbi di costituzionalità e che ha visto il governo italiano mettere sul tavolo 17 miliardi di soldi pubblici in garanzie, di cui ben 5 cash offerti ad Intesa, il primo gruppo bancario italiano, perché evitasse il fallimento incontrollato di due banche venete, BPVi e Veneto Banca.
Che a fronte di questo immane sacrificio imposto ai contribuenti italiani,Intesa non dovesse farsi carico di risarcire le tante migliaia di azionisti e obbligazionisti “truffati” – perché indotti a sottoscrivere azioni e obbligazioni da dirigenti ben consapevoli che la banca affondava e interessati unicamente a carpire con la menzogna la fiducia di tanti piccoli risparmiatori per poterne prosciugare ogni risorsa – appare una bizzarra e assurda concessione dello Stato ad una banca privata.
Ma nel far questo il decreto legge è andato ben oltre i confini del lecito e del diritto, sicché non ha potuto impedire che alcuni giudici – prima il gup di Roma Lorenzo Ferri nell’udienza preliminare sul crac di Veneto Banca, poi il giudice unico del Tribunale civile di Vicenza, Luigi Giglio, nella causa intentata da una delle tante vittime della malagestio della banca trevigiana – riconoscessero la responsabilità di Intesa, subentrata a Veneto Banca, rispetto alle legittime pretese risarcitorie dei risparmiatori depredati.
In questo scenario, Banca Intesa, pur con tutti i miliardi elargiti dallo Stato, ha dato fuoco alle polveri dell’intero suo arsenale come è apparso evidente quando, non brillando certo per galateo istituzionale, ha mandato in aula nell’udienza preliminare su Veneto Banca l’ex ministro Paola Severino per avvertire, con il linguaggio del potere più che con le argomentazioni giuridiche della parte in giudizio, che il primo gruppo bancario italiano non ci pensa nemmeno a sborsare un solo euro per risarcire i risparmiatori truffati da quella gestione criminosa a cui esso, per concessione del governo e per contratto, è subentrato.
E poiché neanche le parole del potente ex ministro, avvocato delle più grandi aziende italiane per le quali passano tutti i fili dell’intreccio delle lobbies politico-finanziarie che controlla e influenza la vita pubblica italiana, sono bastate ad abbattere le resistenze, ieri Banca Intesa su Il Sole 24 Ore – il quotidiano di Confindustria amministrato peggio di una banca in dissesto ma ancora oggi specchio dei poteri che contano – ha detto con chiarezza che se ancora si insiste (l’avvertimento ai giudici non è neanche tanto velato) nel chiamarla in causa in queste richieste di risarcimento, si tirerà indietro e il “salvataggio” operato da quel decreto, con oltre 17 miliardi di soldi pubblici, sarà carta straccia.
Questo appare il passo annunciato già da quell’altisonante intervento in udienza dell’avv. Paola Severino, visto che non tutti si sono allineati.

Come il giudice civile di Vicenza che ha osato disobbedire al corso prescritto delle cose, improntando la sua determinazione ai principi del diritto, alle norme vigenti e agli elementi di fatto del caso concreto oggetto di giudizio.
Merito dell’avv. Emanuela Marsan di Bassano la quale, assistendo una vittima palese della condotta criminosa di dirigenti dell’istituto sull’orlo della bancarotta, dinanzi all’impossibilità di vedere soddisfatte le ragioni del suo cliente nella banca in liquidazione coatta amministrativa, ha chiesto che a farvi fronte fosse appunto chi, incontestabilmente, è subentrato, secondo i principi generali dell’ordinamento.
La sua richiesta, giuridicamente corretta e di mero buon senso è stata accolta dal giudice. E con gli stessi elementi del diritto e del buon senso il legale di Adusbef si dice certa che la pretesa di Banca Intesa di potere addirittura risolvere il contratto qualora dovesse essere chiamata a risarcire azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche venete non abbia alcun fondamento.
Da un’analisi da me condotta insieme alla collega Monica Cirillo di Adusbefafferma l’avv. Marsan – abbiamo appurato che tale risoluzione non può essere invocata. Basta leggere il contratto di cessione all’art. 10, pag. 20-21, per rilevare che tra le condizioni risolutive non sono menzionate le passività derivanti da eventuali chiamate in causa in responsabilità solidale, mentre si fa solo riferimento alla mancata conversione del decreto legge, alla conversione con modifiche, alla mancata elargizione degli aiuti di stato ed alla mancata concessione delle garanzie pubbliche. A nostro avviso, pertanto – assicura l’avv. Marsan – qualora, la tesi del Gup di Roma e del Tribunale di Vicenza, sezione civile, dovesse avere un seguito, Intesa non potrebbe invocare ed esercitare le condizioni risolutive“.
La tesi trova pieno e testuale riscontro nella lettera del decreto e del contratto di cessione che, per ragioni opposte, perfino sfidando la più che evidente illegittimità costituzionale di non poche norme cruciali, rappresentano il baluardo dietro cui il governo e Intesa San Paolo hanno finora blindato le loro pretese.
Molto improbabile, pertanto, che questa scappatoia sia percorribile. Ammesso che Banca Intesa voglia percorrerla sul serio, piuttosto che limitarsi a minacciare di farlo.