Aiutiamoli a casa loro… Quante volte è stata ripetuta questa frase. E quante volte abbiamo pensato che fosse giusta e ragionevole. Certo, “giusta e ragionevole”. Poi si leggono alcune notizie e sorgono alcuni dubbi (è un eufemismo) su cosa significhi per “lorpadroni” questo aiuto dal momento che hanno “regalato loro” qualcosa di molto diverso: fame, sfruttamento, morte.
Si legga, ad esempio, l’articolo di repubblica.it dal titolo Congo, 14 famiglie contro Apple e Google: “Hanno ucciso i nostri figli”. Ci sarebbero pochi commenti da fare di fronte a quanto viene descritto: lavoratori bambini, persone e non macchine, trattati come bestie da soma. Anzi peggio. Costretti a dover lavorare forzatamente a causa delle condizioni di assoluta povertà nelle quali vivono loro e le loro famiglie. Senza alcun rispetto per la loro umanità. Si legga e si ricominci a ragionare. È giusto, forse, che una grande parte del mondo venga ridotta, dall’altra, in una sorta di vastissima “valle di lacrime” dove l’unica possibilità di sopravvivenza è mettere a repentaglio la propria vita e morire? Vedersi la vita strappata dall’ingordigia di chi è avido delle ricchezze di quella “valle”.
Ricchezze che vengono depredate da chi è già ricchissimo e vuole accumulare sempre maggiori profitti grazie allo sfruttamento e alla negazione della dignità per interi popoli. Perché questo succede e questo ci sta descrivendo la vicenda riportata nell’articolo citato. Qualcuno ci potrà dire che il mondo va così e che non si può fare niente. Sono gli indifferenti, quelli ai quali basta girarsi dall’altra parte per evitare di provare qualsiasi tipo di emozione. Sono i complici di questo stato di fatto per il quale il profitto di pochi viene pagato dalla vita e dal dolore di molti. A chi fa distinzione tra immigrati economici e chi fugge dalle guerre (per altro volute dagli stessi depredatori delle ricchezze altrui) bisognerebbe rispondere che quella che stanno subendo le popolazioni del cosiddetto terzo mondo, quell’infame sfruttamento, è la guerra tra ricchi e poveri. Una guerra di classe. Allora, aiutiamoli pure a casa loro, ma non dando loro le miserabili briciole del pasto che consumiamo, ma la ricchezza di cui hanno diritto. Quella ricchezza che è loro e che i capitalisti vogliono rubare.
Guardiamo chi sono gli sfruttatori, quelli che “non sanno mai niente” e che “non c’entrano”. Hanno i nomi altisonanti di multinazionali che si spacciano per “democratiche” perché, magari, che hanno fondazioni che fanno beneficenza … sono le stesse che non vogliono pagare le tasse dove fanno profitti ma solo nei paradisi fiscali che garantiscono loro ogni beneficio. Domandiamoci, allora, se queste grandi corporazioni stanno aiutando i paesi poveri o se li stanno distruggendo in nome del profitto.
Infine, a chi, magari, crede che quanto riportato nell’articolo di Repubblica sia un’eccezione o qualcosa che non ci riguarda, è bene leggere anche un secondo articolo del Fatto Quotidiano dal titolo Bangladesh, strage di lavoratori tessili. E le foto “accusano” Benetton. Qualcuno si ricorda cosa successe a Dacca oltre sei anni fa? Centinaia di lavoratrici e lavoratori tessili morti nel crollo di una fabbrica. Lavoratrici e lavoratori sfruttati fino alla morte, costretti a lavorare in condizioni tremende per arricchire ditte che stanno dall’altra parte del mondo e che “non sanno” né è competenza loro conoscere queste condizioni. E, magari, ricordiamoci anche alcuni esempi di cosa sia lo sfruttamento anche nel nostro paese. Pensiamo alla ThyssenKrupp, all’Eternit, alla Marlane-Marzotto, all’ex Ilva. Migliaia di morti in nome e per conto del profitto di “lorsignori”.
Il capitalismo è questo, non si scappa. Per garantire la ricchezza personale e i privilegi di qualcuno si può fare qualsiasi cosa. Anzi si deve. Sfruttamento, inquinamento, colpi di stato contro i governi non allineati (che altro è quanto successo in Bolivia dove il litio fa gola a troppi?), violenze, uccisioni, guerre sono i metodi “normali” con i quali “lorsignori” si arricchiscono. I poveri del mondo non contano niente.
E poi c’è qualcuno che ci dice che è bene abbassare i toni e che, magari, non è “elegante” provare avversione e, perché no, persino odio nei confronti degli sfruttatori.