Il Tesoro riprova a bussare alla direzione concorrenza della Commissione europea per sbloccare il dossier Mps, banca che l’azionista pubblico al 68% si è impegnato a riprivatizzare entro fine 2021, fornendo l’agenda dei lavori nel 2019. E il nuovo piano, revisionato rispetto alla versione autunnale criticata (informalmente) a Bruxelles, sembra ancora centrato sulla cessione massiva dei crediti difficili della banca, per poi subito dopo “ammogliarla” ad altro istituto italiano, che il Tesoro starebbe iniziando a sondare. Un elenco teorico di nomi a cui sarà “bussato” potrebbe contenere Ubi, Banco Bpm, Bper, Credit Agricole.
A tre giorni da Capodanno, la lettera del Tesoro all’Antitrust Ue sul Monte dei Paschi sembra essere in partenza. Le assunzioni in essa contenute, a quanto si apprende, si manterranno piuttosto sul generico, per essere dettagliate solo dopo la cessione di 11 miliardi di euro di crediti deteriorati (“Npe”) da mesi in cantiere. Solo ripulendo la banca da questo fardello, infatti, sarebbe possibile inserirla in possibili future fusioni. Il perno di questa vendita preliminare di crediti era e rimane Amco, la ex Sga pubblica che si era interessata da prima dell’estate a rilevare il pacchetto da 11 miliardi, e ha già iniziato le perizie sui portafogli.
Ma lo schema portato avanti dal Tesoro, che prevedeva la scissione di quegli attivi al prezzo a cui Mps li iscrive nel bilancio (il 54% medio del valore nominale, tolti i fondi di rettifica), non è stato ritenuto conforme alle regole sugli aiuti di Stato. Per questo circa un mese fa investitori specializzati come Värde, Fortress, Apollo si erano fatti avanti per comprare la banca o parte dei suoi crediti; ma il Tesoro pare poco propenso a vendite tout court, che avrebbero il difetto di materializzare in perdita (e in grana politica) molti dei 6 miliardi e più investiti dal 2015. L’idea sarebbe invece di far comprare ad Amco, da poco ricapitalizzata per un miliardo, quei crediti, a un prezzo nella fascia bassa dei livelli di mercato. Tra l’altro la società presieduta da Alessandro Rivera (che è anche dg del Tesoro) potrebbe pagare i crediti senesi in azioni, ospitando le minoranze Mps nel capitale. Le stime sul corrispettivo, secondo prime elaborazioni, avvicinano il 30% del valore nominale, quindi fino a 3,9 miliardi. Tale prezzo, tuttavia, però, creerebbe uno sbilancio stimato tra 1 e 1,5 miliardi nei conti Mps. Il Tesoro non è intenzionato a ulteriori esborsi per ripianare la somma: che a quel punto sarebbe lasciata alla banca compratrice del Monte “ripulito” (ma con un po’ meno patrimonio dai 9,3 miliardi di metà 2019).
La quadratura del cerchio, a partire dal sospirato e necessario via libera da parte dell’Antitrust comunitario, va trovata comunque entro i prossimi due mesi. Entro il 12 marzo 2020, infatti, il Tesoro deve presentare la lista per il rinnovo del cda del Monte, dove esprime la gran parte dei consiglieri a partire dall’ad Marco Morelli.
Toccherà poi all’assemblea convocata per il 6 aprile votarla. Ed è evidente che ogni ricerca di nomi per il futuro Monte è subordinata a compiere la strategia che passa — ancora — per una pulizia del libro. Anche se in Mps infatti i crediti deteriorati sono scesi in pochi anni dal 38% a un più “umano” 12,5%, si tratta di un livello ancora troppo alto rispetto al 5% che la Bce raccomanda a tutte le banche direttamente vigilate.
di Andrea Greco, da la Repubblica