«Non abbiamo paura di chi vive in strada»

148

Piove, quindi è la giornata ideale per visitare la parrocchia di San Giuseppe, a Vicenza. Un gruppo di giovani africani cerca riparo sotto i portici della chiesa, in Viale del Mercato Nuovo. Ascoltano musica, chiacchierano, scherzano e si cambiano i calzini, evidentemente fradici. «È da un po’ che stanno lì, ora andiamo a parlarci». La decisione di Annamaria Colombara e Angela Bertuzzo coglie di sorpresa: due signore anziane, un gruppo di giovani africani (ce n’è anche uno che armeggia con una canna): non sarà rischioso? 

Annamaria e Angela, il quartiere lo conoscono bene. Lo scorso aprile, quando la zona è balzata agli onori della cronaca per la presenza di senza fissa dimora, tossici e immigrati, con altri laici della parrocchia hanno messo in piedi un gruppo, “Quelli della via”. «Il nome riprende la definizione data ai primi cristiani, ma sono “della via” anche gli sbandati che gravitano attorno alla chiesa – spiega Annamaria -. Siamo partiti in quattro, trovandoci una volta al mese per riflettere insieme e capire cosa possiamo fare con queste persone. Da quattro siamo diventati venti. E abbiamo deciso che la prima cosa da fare è cercare il dialogo». Il gruppo si è dato da fare. “Quelli della via” sono riusciti ad entrare in contatto con i “frequentatori abituali” di San Giuseppe. «C’è una coppia di rumeni, lavorano qui per alcuni mesi e poi tornano nel loro paese ma non hanno casa, dormivano agli ex magazzini generali prima dello sgombero, ora non sappiamo – racconta Annamaria -. Alcuni tossicodipendenti, invece, vengono a dormire dietro al garage della canonica. Una, in particolare, è qui stabilmente. Conosciamo anche lei, il nostro intervento è limitato, ma almeno cerchiamo di mantenere un rapporto umano. Son tutte situazioni che abbiamo segnalato ai Servizi sociali del Comune».

Annamaria Colombara e Angela Bertuzzo componenti del gruppo “Quelli della via”.

Dopo i senza dimora e i tossicodipendenti, ci sono gli immigrati, soprattutto africani la “terza famiglia” che bazzica attorno alla chiesa. «Questi vanno e vengono – racconta Angela -. Non sono mai gli stessi». Come quelli che hanno cercato riparo dalla pioggia il giorno in cui incontriamo le due volontarie. «Da dove venite? Cosa fate?» chiedono le donne. Sono tutti del Gambia e non vivono a Vicenza: c’è chi viene da Caltrano, chi da Schio. «Siamo qui per vedere gli amici», raccontano. Uno, quello che armeggia con la canna, porta al collo una piastrina di Bob Marley, cammina accennando passi di danza, parla con battute e larghi sorrisi. A discapito della cordialità, si tiene distante. In tre si avvicinano ad Annamaria e Angela, tutti dalle facce giovani, stanche: la stanchezza di chi non ne può più di starsene con le mani in mano. Raccontano di avere un lavoro saltuario, chi nell’edilizia e chi in fabbrica. Sono in Italia da pochi anni ma la comunicazione è fluente. «Vado a scuola di italiano a Schio – racconta uno di loro -. Stanotte dormirò fuori». Fuori? Intendi in strada?, chiediamo. «Sì». Annamaria domanda se hanno provato a cercare un letto alla Caritas o all’Albergo Cittadino. «Tutto pieno» risponde il giovane. Con lo smartphone gli mostriamo l’indirizzo dell’ex studentato di Contrà San Marco, si prendono nota e si segnano il nome di Annamaria. «Dite che vi mando io». Annamaria è stata a lungo presidente del Centro Astalli di Vicenza, dove anche Angela ha fatto la volontaria come insegnante di italiano. Non sono due donne improvvisate: sanno leggere le situazioni, i bisogni, e quanto in là possono spingersi nel rapporto con chi vive la strada. «Alla fine queste persone ci chiedono sempre le stesse cose – racconta Angela -. Qualcosa da mangiare, un posto dove poter andare in bagno, un luogo dove dormire e dove poter stare al coperto in giornate come questa». 

«La sicurezza si stabilisce costruendo relazioni, non lanciando allarmi via whatsapp o sui social – riflette Annamaria -. Io non ho paura di chi vive in strada. Mi dicono che sono imprudente, ma non mi è mai capitato niente. Qui con la scusa degli immigrati hanno tolto panchine e rastrelliere per le biciclette, per non farli sedere. Così, però, le hanno tolte anche agli anziani che passeggiano. Questo vuol dire svuotare di relazioni un quartiere, non fare sicurezza».