Processi brevi? Le proposte di Davigo a Travaglio: prescrizione bloccata e poi freni ai ricorsi

407

L’intervista di Marco Travaglio al magistrato sul Il Fatto Quotidiano : “Chi fa appello deve rischiare una pena più alta, anche per aver impugnato senza fondamento. E basta inseguire gli imputati per le notifiche”

Piercamillo Davigo, il governo cerca la quadra sulla prescrizione. È vero che bloccarla dopo il primo grado rende eterni i processi?

Chi lo dice dimentica che fino al 2005, quando arrivò la legge ex Cirielli, i termini di prescrizione erano il doppio degli attuali. I processi erano eterni anche allora? E perché l’allora opposizione promise per 15 anni di cancellare l’ex Cirielli, senza mai farlo?

Dicono anche che bloccare la prescrizione serve a poco perché la gran parte dei fascicoli si prescrive nelle Procure, in fase d’indagine, per colpa dei pm.

Quindi tanto vale far prescrivere anche quei pochi che arrivano a giudizio… Ma che ragionamento è? Negli Stati Uniti, di cui si racconta che avremmo copiato il processo, la prescrizione durante il processo non esiste: si ferma col rinvio a giudizio. E in Europa una prescrizione come la nostra c’è solo in Grecia: tutti barbari tranne noi e i greci? Fra l’altro è già così nel nostro processo civile, pure lunghissimo: appena uno ti fa causa, la prescrizione si blocca. E lì ci sono in ballo questioni ben più delicate di pene pecuniarie o detentive, perlopiù finte: come l’affidamento dei figli minori o cause di enorme valore economico. Se ti vendono la casa all’asta, sarà una conseguenza ben più grave di 500 euro di multa, o no? Il fatto poi che molti processi si prescrivano in mano al pm non dipende dalla sua fannulloneria: i magistrati italiani sono, per le statistiche europee, i più produttivi della Ue.

E da che dipende?

Molti fascicoli arrivano al pm quando manca poco alla prescrizione, perché il reato s’è scoperto anni dopo (per esempio, i reati tributari, il cui accertamento arriva 5 anni dopo la dichiarazione falsa e resta poco tempo per fare indagini e tre gradi di giudizio). E poi la legge fissa criteri di priorità e impone alle Procure di dare la precedenza a certi tipi di reati, così si lasciano in fondo i fascicoli che stanno per prescriversi. Ma, se qualcuno vuol fare la gara tra pm e giudice, al pm non costa nulla vincerla, trasmettendo al tribunale i fascicoli su fatti più remoti per farli prescrivere in mano altrui. La Procura di Roma ha pronti 60 mila processi a citazione diretta, ma il Tribunale di Roma può riceverne solo 12 mila all’anno.

Il presidente delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza, dice che la colpa è dei pm, perché in indagine i difensori non possono fare manovre dilatorie.

Non è così, ma fa niente. L’avvocato Caiazza dice pure che è giusto appellare per differire l’esecuzione della pena. Ma, per la Costituzione, la pena ha anche funzione rieducativa: dunque chi ricorre solo per rinviarla differisce la rieducazione dell’imputato. Cioè fa il suo male.

C’è una critica che condivide alla legge Bonafede?

È giusto dire che bloccare la prescrizione non basta. Ma allora bisogna mantenere la riforma Bonafede e usare gli anni che mancano alle prime sentenze con le nuove regole per fare il resto. Cioè per accorciare i tempi dei processi. Così vedremo se chi ora strilla perché durano troppo è sinceramente preoccupato o vuole solo tornare alla prescrizione che uccide 120 mila processi all’anno.

Lei che farebbe per abbreviare i processi?

I processi durano troppo perché se ne fanno troppi. Il sistema accusatorio, adottato dall’Italia nel ’90 scimmiottando malamente quello anglosassone, regge solo se il grosso dei casi non va a dibattimento, ma imbocca uno dei due riti alternativi in cambio di sconti di pena: patteggiamento o rito abbreviato. Oggi li scelgono in pochi perché conviene tirare in lungo e puntare alla prescrizione: meglio niente pena che una pena con lo sconto. Il blocco della prescrizione dopo il primo grado riduce quest’aspettativa e avrà effetti benèfici. Ma c’è un altro motivo per cui si impugna sempre e comunque: rinviare l’esecuzione delle pene. Se uno non le appella, le sentenze diventano definitive ed esecutive già al primo grado. Solo un fesso non impugna la prima condanna: se non lo fa, può finire in carcere; se invece è già in carcere e impugna, può uscire per decorrenza termini. Occorrono filtri alle impugnazioni per eliminare quelle dilatorie e pretestuose, fatte solo per perdere tempo.

Non ci sono già?

Sulla carta, e solo in Cassazione. Ma non bastano. Se il terzo grado è previsto dalla Costituzione solo per le violazioni di legge, bisogna abolire i ricorsi per vizio di motivazione. Che sono il 90%. In America, per impugnare una sentenza, il condannato deve avere il permesso del giudice che l’ha emessa e poi il giudice dell’impugnazione esamina l’appello se lo ritiene. La Corte Suprema Usa esamina un ricorso se lo chiedono almeno 4 giudici su 9. Infatti ne tratta solo 90 casi a ll ’ anno. La nostra Cassazione 90 mila. In Francia solo il 40% delle condanne a pena detentiva da eseguire viene impugnato. Da noi, pressoché tutte. Anche nel Regno Unito c’è un filtro rigoroso: molti fascicoli d’appello portano stampata la scritta loss of time , perdita di tempo. Quindi che fare? Come fa la Francia, che non è un Paese barbaro: abolire il divieto di reformatio in peius in appello. Se ti condannano e tu appelli, può toccarti una pena più alta. In Italia non si può. Il che incentiva tutti a provarci: mal che ti vada, non rischi niente, anzi non vai in carcere e magari ti prendi pure la prescrizione. Perché non dovrebbero tentare? Perciò qui patteggiano in pochissimi e negli Usa quasi tutti: lì, se l’imputato si dichiara innocente, sceglie il rito ordinario e poi si scopre che era colpevole, lo rovinano con pene così alte che agli altri passa la voglia di provarci. In Italia puoi patteggiare senza dirti colpevole e poi financo ricorrere in Cassazione contro il patteggiamento che hai concordato.

L’avvocatura non ci sente. Lo so, ma non c’è nessuna lesione delle garanzie. La reformatio in peius è già prevista per i decreti penali di condanna, emessi dal giudice quando la pena è solo pecuniaria. Se il condannato si oppone, si va a processo e alla fine, anziché la multa, può arrivare la reclusione. Se impugni, lo fai a tuo rischio e pericolo. Dov’è la lesione dei diritti dell’uomo? Li hanno inventati i francesi con la Rivoluzione e la reformatio in peius ce l’hanno eccome.

Però già oggi i ricorsi inammissibili sono dichiarati tali, almeno in Cassazione.

Sì, ma intanto tutti li propongono e si perde un sacco di tempo. La sanzione pecuniaria, 2-6mila euro a imputato, non spaventa nessuno. Anzi, non la paga quasi nessuno: lo Stato incassa solo il 4%, perché gran parte degli imputati non dichiara redditi né ha beni al sole. Basterebbe rendere responsabile in solido l’avvocato. Così, quando il cliente gli chiede di ricorrere, gli fa depositare fino a 6 mila euro e poi, in caso di inammissibilità del ricorso, verserà lui la somma al posto del cliente.

Altre soluzioni?

Nei Paesi di Common Law, c’è il reato di oltraggio alla Corte per chi fa perdere tempo inutile. Basterebbe consentire al giudice di valutare anche le impugnazioni meramente dilatorie per aumentare la pena. Altra cosa: per legge, può emettere la sentenza solo il giudice che ha acquisito personalmente tutte le prove. Se un membro del collegio va in maternità o in pensione o viene trasferito, a richiesta della difesa bisogna riacquisire tutte le prove, anche se ora le Sezioni Unite della Cassazione hanno tentato di arginare questa prassi insensata.

Basta così?

Io rivedrei il patrocinio gratuito a spese dello Stato per i non abbienti. La non abbienza è una categoria fantasiosa, perché molti imputati risultano nullatenenti. Così lo Stato paga i loro avvocati a piè di lista per tutti gli atti compiuti, e quelli compiono più atti possibile per aumentare la parcella. Molto meglio fissare un forfait una tantum secondo i tipi di processo: così gli avvocati perdono interesse a compiere atti inutili. E lo Stato, con i risparmi, può difendere gratis le vittime, che invece la dichiarazione dei redditi la presentano e di rado accedono al gratuito patrocinio.

Anche le notifiche a vuoto agli imputati che non si fanno trovare producono continui rinvii delle udienze.

La legge consente di notificare gli atti al difensore, ma questo può dichiarare di non accettare notifiche. Basterebbe adottare il sistema americano: la prima notifica deve avvenire nelle mani dell’imputato, poi sta a lui andare a vedere le altre nella cancelleria del tribunale. Se non ci va, è colpa sua. Il guaio è che chi tuona contro i processi lunghi in questi anni non ha fatto che allungarli, secondo una regola ferrea: rendere difficile il facile attraverso l’inutile.