Cosa succederà, ora che l’onda della rivolta popolare è stata tradotta in seggi, ora che un terzo del parlamento è a 5 stelle? Il rischio che le istituzioni siano occupate dal popolo è alto, il pericolo per boiardi di Stato e arraffoni di mestiere di andare a casa è reale ed imminente. Già vedono Luigi Di Maio salire al colle con una delegazione del suo nuovo governo ombra, più consistente e concreta di qualsiasi incubo mai fantasticato. Ma la palla la deve calciare Sergio Mattarella: sta a lui l’onere di dare l’avvio ai giochi per la sopravvivenza della razza padrona.
E Mattarella, dopo aver consultato non istituzionalmente i suoi confidenti, potrà scegliere la via dell’incarico a Di Maio, restituendo la palla agli intrighi, alle insidie di palazzo. Luigi dal canto suo allora declinerà il verbo a 5 stelle: noi non facciamo alleanze con nessuno, il governo è già pronto; i nostri ministri non godranno di altra prebenda se non lo stipendio di 3000 euro netti (tutto il resto sarà devoluto in attesa di apposita legge); l’unica alleanza è sulla condivisione di programma o, in subordine, alleanza con chi, di volta in volta, è d’accordo con l’istituzione del reddito di cittadinanza, con una vera legge contro il conflitto d’interesse, con una vera legge contro la corruzione, con l’istituzione del recall e del vincolo di mandato, e via così con tutto l’armamentario del Movimento.
A questo punto tutti quei partiti che dicessero di no ad un’offerta del genere scadrebbero irrimediabilmente nella considerazione popolare, perciò solo pochi muoveranno critiche ideologiche e/o procedurali, e molti accetteranno. Poi, con la stessa evoluzione delle promesse renziane, trasformeranno le giornate parlamentari in agguati e attentati alla considerazione politica guadagnata dai giovani pentastellati. Cioè, com’era successo per la legge elettorale di Renzi, “cercheranno la rogna”, armeranno una lite per futili motivi e si spaccheranno sul disegno di legge cercando di far cadere la colpa sul Movimento 5 Stelle, come fece quella faccia da prosciutto di san Daniele di Rosato, che al grido di “traditori” poté comporre la sua legge vergogna contro il Movimento, esaltando e premiando l’unica distinzione possibile per un sistema elettorale tra il M5S e gli altri: l’inclinazione a fare inciuci e alleanze.
Ma ci sarebbe anche una soluzione che salvaguardi meglio la neutralità del Presidente della Repubblica, senza vederlo impegnato col viso irridente in incarichi trappola, ignara donzella che appende al giugolo del torello sacrificale una collana di fiori. Ci sarebbe da aspettare, al riparo delle mura del Quirinale, che la bolgia delle Camere apra la zuffa per l’elezione dei rispettivi presidenti e, una volta conosciuti gli esiti, affidi alla seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, un incarico esplorativo. Da cui, qualche giorno appresso, farà finta di venire a conoscenza che non c’è altro governo possibile per il paese se non un vasto inciucio contro il M5S che chiameranno governo del Presidente, ma che è l’atto finale della politica italiana degli ultimo quinquennio. Vi ricordate il partito unico del PDL e del PD-L eresia e semplificazione populistica? Ecco, dopo mille tentativi scomposti di riforme che togliessero la voce al popolo, dopo alleanze e cogestioni del malaffare politico tra vecchie ideologie in apparente conflitto, adesso il re è più nudo che mai: le classi dominanti e le loro servili gerarchie di regime stanno rantolando sotto il peso delle loro mistificazioni. E la prossima volta il popolo con la memoria del pesce rosso non dimentichi, la prossima volta non si disperda in offerte elettorali che cambiano la sigla il giorno prima delle elezioni: la prossima volta trasformi la Democrazia in un progetto compiuto.
di Giuseppe Di Maio