Cosa fare con Autostrade per l’Italia è telenovela che va avanti da un anno e mezzo e due governi. Negli ultimi giorni, però, va registrata una novità di rilievo: anche il Pd – dal segretario Nicola Zingaretti alla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli – si è convinto che la strada da prendere è la revoca della concessione alla società controllata dalla holding Atlantia, i cui azionisti di maggioranza sono i Benetton. I ministri dem ne hanno discusso anche tra loro e, tolte le cautele del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri sugli effetti finanziari della revoca, ormai la guerra nucleare è data per scontata: il provvedimento – corredato dalle analisi del ministero delle Infrastrutture sulle mancate manutenzioni di Autostrade e dai pareri tecnici di Avvocatura e Corte dei Conti – sarà pronto per il Consiglio dei ministri della prossima settimana, ma non è ancora stato deciso se procedere prima o dopo le Regionali di domenica 26 gennaio. Calcoli di bassa cucina politico-elettorale che non cambiano la situazione.
Lo spostamento del Pd sulla posizione della revoca è anche frutto dei comportamenti dell’azienda. Trattare coi Benetton, ad esempio, è quasi impossibile, tanto più che la famiglia è divisa su quale comportamento tenere: la proposta di “cavarsela” con una maxi-multa e uno sconto a tempo sui pedaggi – spiegano fonti di governo – è arrivata dai “giovani” della famiglia, componente che ha però scarso potere decisionale.
Al contrario il patriarca Luciano Benetton e soprattutto il manager Gianni Mion – artefice nel passato della trasformazione finanziaria del gruppo e da giugno presidente di Atlantia – avrebbero già scelto la via del contenzioso, via annunciata dai rifiuti a qualunque revisione della (vantaggiosissima) concessione del 2007 e dalla letteraccia “legale” inviata al governo prima di Natale, quando il decreto Milleproroghe ha cambiato i termini con cui si calcolerebbe il risarcimento ai concessionari revocati (l’accordo in essere coprirebbe di miliardi gli azionisti di Autostrade persino in caso di revoca per inadempimento o colpa grave).
Se questa, nonostante le formali offerte di trattativa dell’amministratore delegato di Aspi Roberto Tomasi, è la via scelta da Atlantia, lo show down arriverà entro gennaio: siccome il Milleproroghe pubblicato il 30 dicembre in Gazzetta Ufficiale modifica in modo sostanziale la concessione in essere, Autostrade ha 30 giorni di tempo per decidere se accettare i nuovi termini o considerare il contratto decaduto. Il via vai di prestigiosi studi legali alla corte di Mion è da considerarsi quasi una scelta compiuta in questo senso.
Anche la maggioranza di governo, comunque, non è ancora compatta sulla revoca: se M5S, LeU e Pd sono ormai concordi, Matteo Renzi e Italia Viva continuano a ripetere che non la voteranno mai.
“Se giuridicamente ci sono le condizioni per la revoca lo devono dire i tecnici, non i demagoghi”, ha detto qualche giorno fa l’ex premier. Il punto è che i tecnici del ministero sono convinti che quelle condizioni ci siano: tanto per le inadempienze palesi – e non solo quanto al Morandi – di Autostrade per l’Italia nelle manutenzioni, tanto per la nullità delle clausole irragionevolmente favorevoli ai privati previste dalla concessione (e qui basta citare l’articolo 1229 del codice civile, secondo cui “è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave”). Insomma, pagare un risarcimento non è obbligatorio: sarà una lunga causa civile a stabilire se i Benetton hanno diritto al ristoro e di che cifra si parla.
In Consiglio dei ministri, però, si dovrà scegliere la via giuridica per arrivare all’obiettivo. Ce ne sono molte: revoca, rescissione, risoluzione, recesso, la via della nullità contrattuale. Più complicato sarà, invece, organizzare la presa in carico pubblica dei tremila chilometri di autostrade di Aspi: il solito decreto Milleproroghe sancisce la possibilità che sia Anas a subentrare, ma la strada ipotizzata ad oggi è quella della creazione di una società ad hoc che assorba anche tutti i 7 mila dipendenti di Autostrade per il tempo necessario a mettere a gara il servizio ( ovviamente con la “clausola sociale” in vigore per i contratti pubblici, che prevede l’assorbimento della manodopera).
Più preoccupanti, anche per il governo, gli effetti finanziari: Autostrade ha 11 miliardi di euro di debiti con le banche e Atlantia, senza più il bancomat dei caselli, probabilmente sceglierebbe di farla fallire con relative perdite per migliaia di azionisti e titolari di bond.
di Marco Palombi da Il Fatto Quotidiano