Teresa, figlia di uno dei morti della Marlane (a cui è dedicato “Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante“, ndr), mi ha segnalato un articolo relativo alle motivazioni della sentenza d’appello del processo Marlane Marzotto emessa il 25 settembre 2017. Tutti assolti, ma le motivazioni contengono affermazioni e parti (citate nell’articolo) sconvolgenti. Praticamente l’inquinamento c’è stato ed è stato di estrema pericolosità. (così si spiegherebbero gli oltre cento morti da patologie tumorali, mi viene da pensare). In parte, però, è stato tutto prescritto. La sentenza, quindi, è di assoluzione per prescrizione o perché il fatto non sussiste.
In pratica, così capisco, non c’è nessun colpevole perché è passato troppo tempo e la causa-effetto non è più dimostrabile.
Oggi mi sono procurato copia delle motivazioni della sentenza e le sto leggendo. Lo scenario descritto è “pauroso” e stento a realizzare che, di fronte ad affermazioni del tipo (è solo un esempio di tante frasi che sto leggendo con doloroso sbigottimento) “essendo incontestato dalle stesse parti che la Marlane ha gestito in modo non corretto i rifiuti, mancando di effettuarne una selezione e di conferirli nei modi di legge in discarica o comunque di garantirne il giusto percorso di smaltimento e in ogni caso, attesa la rilevata presenza di bidoni interrati e di un numero rilevante di sostanze tossiche rinvenute nel terreno…” si possa assolvere tutto e chiunque.
Sono le “strane” conseguenze di un capitalismo malato e indifferente che antepone il profitto e la ricchezza personale alla salute e alle condizioni che subiscono lavoratrici e lavoratori considerati come (o meno) di “pezzi di ricambio” che possono essere scartati quando “usurati” in qualsiasi momento.
Mi convinco sempre di più che la vicenda Marlane-Marzotto sia un esempio lampante di un sistema spaventoso. E che le assoluzioni e le impunità che vengono emesse in troppi (se non tutti) nei processi che trattano le morti nei luoghi di lavoro (per incidente o “differite” per malattia) non siano altro che un’autodifesa del sistema stesso.
Come si riuscirà ad uscire da questa logica perversa? Da questo continuo ricatto per il quale se si vuole lavorare si devono lasciare i diritti (compreso quello a non morire) fuori dalle fabbriche, dagli uffici, dai campi agricoli.
Penso solo riprendendo a lottare, a combattere l’indifferenza e considerando queste condizioni di lavoro un crimine da perseguire con durezza e severità.
Una vera e propria rivoluzione.
PS: in allegato l’articolo segnalato da Teresa (http://www.francescalagatta.it/praia-mare-accertato-disastro-ambientale-nellarea-marlane-si-teme-la-salute-dei-cittadini/)
Praia a Mare, accertato il disastro ambientale nell’area Marlane: si teme per la salute dei cittadini
2 marzo 2018, Francesca Lagatta
Il reato ambientale ora è un dato di fatto incontrovertibile. Ad accertarlo sono i verbali delle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 25 settembre, con la quale i giudici della Corte d’Appello di Catanzaro, sulla scia dei colleghi di primo grado, hanno assolto però tutti gli imputati del processo Marlane. Alcuni per insufficienza di prove, altri perché il fatto non sussiste. In pratica, scrivono i magistrati, il disastro c’è ma i responsabili non hanno ancora un volto, benché sia passata al vaglio degli inquirenti gran parte dei dirigenti dell’ex industria tessile ribattezzata per ovvi motivi la “fabbrica dei veleni”. A darne notizia è il giornalista Michele Inserra dalle colonne del Quotidiano del sud.
Oggi chi prova ancora a sminuire e screditare quanto più volte denunciato da ambientalisti e giornalisti, dovrà necessariamente tacere innanzi all’evidenza. I documenti, portati alla luce da Inserra, parlano chiaro: «Sono state individuate grandi quantità di sostanza tossica e irritante sepolta nel terreno, che può interagire sulla popolazione circostante» e «la tipologia delle sostanze è del tutto associabile ad attività di tessitura come quelle attuate presso la Marlane». Sostanze tossiche nei terreni equivale a dire pericolo per la popolazione.
E infatti il bollettino è da guerra: centonove ex operai morti di tumore (l’ultimo decesso risale a qualche giorno fa), decine di ammalati fortunatamente ancora in vita e un’alta percentuale di tumori registrati nei Comuni di Praia a Mare e Tortora . Poco più di un mese fa, la comunità tortorese ha perso un ragazzo di 33 anni per leucemia, con la quale combatteva da anni.
Di certo lo scenario raccapricciante non è da imputarsi solo ai rifiuti nocivi interrati nell’area Marlane, considerato che nelle due cittadine i fattori inquinanti sono molteplici, ma l’esito dei risultati effettuati sui campioni di materiale presente in quel sottosuolo, mette i brividi.
La relazione di Giacomino Brancati, attuale commissario straordinario dell’Azienda sanitaria di Reggio Calabria, parla dell’esistenza «di un indice di rischio ?non accettabile’ per i bambini residenti, in relazione a diversi fattori contaminati, tra cui Arsenico, Cromo VI, Mercurio, Piombo, Nichel e Vanadio e non accettabile negli adulti residenti per Arsenico e Mercurio dal suolo superficiale e per Mercurio dal suolo profondo e dalla falda, oltre ad un rischio non accettabile per la risorsa idrica sotterranea, in relazione patricamente a quasi tutti i metalli pesanti rinvenuti».
Brancati, inoltre, come riporta testualmente il Quotidiano del Sud, rileva che il sollevamento delle polveri sottili dal suolo di superficie «comporta il rischio che i cittadini, adulti e bambini, che abitano nelle aree residenziali di Tortora Marina e di Praia a mare, a ridosso dello stabilimento, siano esposti all’inalazione ed ingestione di polveri contaminate e quindi ad un rischio ?non accettabile’, con pericolo del tutto imminente per la risorsa idrica sotterranea, che amplia ancor di più l’area di rischio, al di fuori del perimetro dello stabilimento».
Tesi suffragata anche dalla relazione del dirigente chimico dell’Arpacal, Rosaria Chiappetta, la quale ha riscontrato «una “elevatissima” presenza di cromo, materiale solitamente presente nei coloranti, sostanza estremamente pericolosa. Rame e zinco sono presenti in misura più del doppio consentito, e del quadruplo per lo zinco». Ed aggiunge: «Con ogni probabilità è stato sversato nel suolo un grande quantitativo di cromo 6, ridottosi chimicamente per via delle condizioni naturali e del normale decorso del tempo».
Ma nel caso non bastasse, persino l’esperto nominato dal comune di Praia, l’ordinario di chimica analitica dell’università del Molise, Mario Russo, sostiene che «è possibile concludere senza timore di smentita che il composto A (Cas 102-50-1, 2-metil-4-metossibenzennamina) impiegato come intermedio nella sintesi dei coloranti azoici o per altri usi industriali è stato rinvenuto nel terreno antistante l’impianto produttivo Marlane di Praia a Mare. Tale composto – continua Russo – è classificato dalla letteratura scientifica internazionale come tossico e irritante e può provocare il cancro». Russo, pertanto, è lapidario: «Lo sversamento nella matrice ambientale del suolo» ha determinato un «disastro ambientale».
Ricordiamo che il comune di Praia a Mare nel settembre del 2015 aveva rinunciato alla costituzione di parte civile nel processo d’Appello, perché secondo il sindaco Antonio Praticò una sentenza analoga di assoluzione avrebbe provocato un irragionevole allungamento dei tempi per ulteriori controlli. La decisione arrivò in concomitanza con l’accordo tra i proprietari dell’area e l’amministrazione, che vide la cessione di parte dei terreni di proprietà della famiglia Marzotto, acquistata dall’ente comunale per una cifra esigua.