I soci di minoranza di Ferak puntano i piedi sulla delibera di aumento di capitale della mini- holding del Nord Est che custodisce l’ 1,37% di Generali. La decisione di dotare di mezzi freschi la finanziaria era stata presa a fine dicembre con il voto determinante del socio dimaggioranza, la famiglia Amenduni, che ha il 63% di Ferak ( dopo aver rilevato il 24% di Palladio per 60 milioni). Ma secondo fonti che seguono da vicino la vicenda gli altri tre soci, Veneto Banca in liquidazione, Enrico Marchi e la famiglia Zoppas, circa una settimana fa avrebbero depositato unitariamente un ricorso al tribunale delle imprese di Venezia, contestando le ragioni dell’aumento e le caratteristiche tecniche con cui viene eseguito (nella foto la famiglia Amenduni: Antonella, Maurizio, Michele, Nicola e Mariuccia)..
La proposta di far crescere la dotazione di 70 milioni, con l’emissione di nuove azioni per il valore unitario di 10 euro, è fortemente diluitiva per i soci che non dovessero aderire, riducendo di circa il 90% il loro investimento iniziale. Per questo, secondo quanto risulta, i tre hanno preso carta e penna per impugnare la delibera assembleare, con una richiesta di sospensiva ex articolo 2378 del codice civile. Per il momento non risulta fissata ancora l’udienza.
La vicenda Ferak rappresenta l’ennesima grana per i liquidatori di Veneto banca, che difficilmente potrebbero partecipare all’aumento vista la procedura liquidatoria, ma dall’operazione (hanno il 9,99% di Ferak) a causa dell’iperdiluizione vedrebbero scendere il valore della loro partecipazione di una sessantina di milioni (contando anche gli strumenti partecipativi, che alcuni soci hanno in Ferak). Perdite proporzionali anche per gli altri due azionisti (attualmente Marchi ha il 23,99% e Zoppas il 2,87%).
Il socio di maggioranza, Amenduni, ha motivato la scelta del rafforzamento patrimoniale con la volontà di diversificare gli investimenti (la finanziaria ha solo azioni Generali e una liquidità di una cinquantina di milioni). In passato Ferak era arrivata a custodire un pacchetto del 3,7 per cento del Leone di Trieste. Nel 2016 la società avrebbe dovuto concludere il suo ciclo, ma il periodo di durata di Ferak era stato prorogato di dieci anni, al 2026. Allora, per i soci dissenzienti si era aperta la finestra per esercitare il diritto di recesso. Nessuno lo aveva fatto, un po’ per le tecnicalità con cui doveva essere esercitato il recesso, e un po’ perché ritirarsi allora non era certo un affare: le Generali in pancia a Ferak hanno un valore di carico intorno ai 20 euro, superiore a quello di Borsa (mentre ieri valevano poco più di 15 euro).
Sta di fatto che i tre soci di minoranza all’epoca non si sono tirati indietro. E ora si sono trovati davanti all’alternativa: mettere mano al portafoglio oppure subire pesanti perdite patrimoniali. A quanto sembra hanno scelto una terza via, quella delle carte bollate.
di Vittoria Puledda, da la Repubblica del 23 febbraio