L’Agcom ha sanzionato la Rai per il mancato rispetto del pluralismo politico nei suoi notiziari. Bene, è un primo passo. Se Salvini dominava la scena questa sui tg Rai nel 2019, la situazione non è mutata nemmeno a gennaio, visto che al leghista va il record di parola sia nel tg di Carbone (23 minuti, in crescita da dicembre) che in quello di Sangiuliano (15 e 35’’, in crescita anche questo); il solo Tg3 è sembrato attento a contenere una logorrea mediatica non sempre meritevole di racconto (5 minuti e 44’’, in calo).
Sia sul Tg1 che sul Tg2 Salvini parla più del premier e più di un capo di Stato non certo taciturno, visto che al Tg3 Mattarella è primo con 13 minuti. Nei programmi Rai il quadro si fa più fosco: qui Salvini parla per 151 minuti, molto di più di Mattarella (89), il doppio di Zingaretti (74), anche se c’è spazio per Cuperlo, Delrio e Bonaccini (poco più di 30’ a testa), ma pure per Giorgetti (59) e la Borgonzoni (26). La Meloni poi ha 58 minuti, Renzi 48, Di Maio 32, accompagnato da Spadafora e Patuanelli (23 e 19).
Dunque: Salvini parla nei talk della Rai quanto Meloni, Renzi e tutti i grillini; mentre i tre della Lega (Salvini, Giorgetti e Borgonzoni, in tutto 236 minuti) poco meno di Pd (172) e 5 Stelle (74) messi assieme, cioè del primo e secondo partito alle politiche 2018, che per il garante è il riferimento per pesare la rappresentazione in video.
LA RAI RICORRERÀ al Tar, ma la multa, come si vede, se l’è meritata, reiterando a gennaio le scorrettezze dei mesi passati. Però, qui c’è un “però”. Detto infatti della Rai, ci chiediamo quousque tandem possa continuare lo scempio plateale che del pluralismo, anche solo formale, fanno le reti Mediaset; quel polo pur privato del duopolio nazionale che abusa di fatto di un bene pubblico che gli è concesso quale l’etere.
Se in Rai la situazione è fosca, a Mediaset è drammatica. Anche a gennaio nei tg, ma soprattutto nei talk dell’azienda-partito, la sovra-rappresentazione a favore della destra va oltre la decenza. Censurabili sul piano del pluralismo soprattutto il Tg5 e i talk di Rete4: al Tg5 l’uomo del Papeete sovrasta tutti gli altri anche a gennaio parlando per oltre 22 minuti, seguito da Silvio Berlusconi (17 minuti e 20’’) e da Zingaretti (16), mentre Di Maio (13), Conte (12) e Mattarella (11) sono lontanissimi. Se il Tg5 traccia il solco, a difenderlo ci pensa Rete4: nei suoi talk ( Fuori dal coro, Diritto e rovescio, Quarta Repubblica, Stasera Italia) a gennaio parlano quasi soltanto Meloni, Salvini e Borgonzoni, per 5 ore e 25 minuti (!), mentre degli altri i più ciarlieri, cioè Bonaccini (52), Sgarbi (48), Casini (39), Mastella (38), Paragone (36), Mulè (26) e Cofferati (25) dispongono di qualche manciata di minuti. Per giunta, poi, basta un colpo d’occhio per accorgersi che, a parte Bonaccini, Cofferati e (forse) Casini, nei primi dieci sono tutti schierati dalla stessa parte e che dei 5 Stelle non c’è neanche l’ombra.
Cosa fare, allora, di fronte a questo disastro e soprattutto chi può fare? Qui è evidente che i poteri dell’Agcom, pur limitati, non sono proprio di carta, valendo pur sempre il dispositivo della discussa legge Mammì che fa riferimento, anche se per la Rai in maniera più cogente, al rispetto del pluralismo per tutte le reti. Insomma non c’è solo la Rai da sanzionare. E poi c’è la politica, che con una legge di sistema potrebbe sancire quel pluralismo esterno che l’odioso duopolio non garantisce.
E VENIAMO A LA7. Sebbene con misura e tratto giornalistico differenti, nemmeno lei riesce a sottrarsi alla non certo irresistibile fascinazione salviniana. Sia il Tg che i talk della rete contribuiscono a gonfiare la visibilità del leghista: nel TgLa7 Salvini parla poco più di Zingaretti (10 minuti contro 9), ma Mattarella, Di Maio, Conte, Segre e Meloni seguono con 3 minuti e anche meno; nei talk il leghista straripa con 4 ore e 20 minuti, lasciandosi molto indietro gli altri, da Renzi (2 e 20’) a Bonaccini e Zingaretti (2 e 10’ circa per uno), a Di Maio (2 ore), fino a Calenda, Conte, eccetera, in una ripartizione che pur rispettosa di un equilibrio generale regala all’ex comunista padano una visibilità oltre ogni limite. Oro puro in tempi di personalizzazione della politica. O di politica personale. Alla luce della quale anche qui forse un’occhiata l’Agcom dovrebbe darla.
di GIANDOMENICO CRAPIS da Il Fatto Quotidiano