Coronavirus Covid-19 e altri virus come quello dei morti sul lavoro: l’irrazionalità sembra prevalere in chi ha responsabilità di governo

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Il mediatico coronavirus vs il virus dei morti sul lavoro
Il mediatico coronavirus vs il virus dei morti sul lavoro

Forse è una cosa logica che, di fronte all’aumento dei casi di Coronavirus (per gli “esperti” Covid-19), crescano il panico e la paura (qui la situazione ora per ora sul Coronavirusqui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr). Un’infezione che pare estranea al nostro essere, che è quasi sconosciuta, senza medicine che possano combatterla efficacemente. Una malattia che uccide, in una percentuale certo non alta rispetto al numero dei casi di malattia conclamata, ma pur sempre potenzialmente letale. Abbiamo paura ed è normale, si direbbe umano. Di fronte al non conosciuto ci riveliamo fragili, impotenti, deboli.

La cosa preoccupante è, però, l’irrazionalità che sembra prevalere in chi ha responsabilità di governo a tutti i livelli. Siamo di fronte a uno scarico di responsabilità (innanzitutto bisognerebbe capire se ci sono e a che livello) di quello che sta succedendo principalmente in Lombardia e Veneto dove c’è, ad oggi, il maggior numero di casi. Irrazionalità condita da una buona dose di sciacallaggio. C’è il solito urlare che “io l’avevo detto”, “bisogna chiudere i confini”, “impedire l’arrivo degli stranieri” … e via farneticando. Si continua a parlare con la pancia alla pancia della gente per una manciata di voti e per apparire più possibile nei mezzi di comunicazione. L’importante sembra essere non tanto debellare la malattia ma fare una continua propaganda elettorale. E la si fa indicando il nemico, accusando l’untore. Quello “sporco, brutto e cattivo” che ci ha infettato. Eppure, a ben vedere, i focolai dell’infezioni sono partiti dalle regioni che hanno la migliore sanità dell’intero paese. Regioni governate da esponenti di un partito che ha un capo che spara a zero contro il governo nazionale perché doveva chiudere confini, porti e quant’altro.

Di contro il presidente del consiglio evidenzia che, forse, qualche falla per il coronavirus nella sanità lombarda c’è stata. E, forse, si può aggiungere che qualche stranezza c’è stata anche in Veneto dal momento che Domenico Mantoan (direttore dell’Area Sanità a Sociale della Regione Veneto) ha “bloccato” i test nei confronti di chi arrivava dalle zone a rischio del resto del mondo.

Insomma assistiamo ad accuse incrociate che certamente non servono (soprattutto in questo momento) a risolvere nulla e, anzi, aumentano lo sconcerto e la paura di chi assiste a un balletto che ha poco a che fare con l’aspetto medico e molto, troppo, con quello della convenienza politica.

Ma si rendono conto questi politicanti che sarebbe utile e necessario concentrarsi nella lotta contro il virus e non verso l’avversario politico? Credono, forse, di essere furbi?

È logico che, se ci si ammala qua in Italia, si dia la colpa a chi arriva con i barconi? Ed è corretto, allo stesso tempo, “protestare” verso quei paesi che chiudono le frontiere nei nostri confronti se noi le vorremmo chiudere ai cittadini di altri paesi …

Stiamo vivendo una situazione drammaticamente desolante. Sembra che nessun “politico” abbia un livello sufficiente per fronteggiare la gravità di problemi di questo tipo.

Del resto siamo abituati a non affrontare in maniera seria né decorosa i problemi che attanagliano il nostro paese. Si presti attenzione, per esempio, alle prospettive in tempo di coronavirus. Tutto si riduce a paventare una diminuzione di lavoro e una conseguente riduzione di profitto. Sembra che tutto si possa fermare e che la colpa sia da addebitare al Covid-19. Invece la mancanza di lavoro stabile e la sua precarizzazione (in poche parole, la “povertà del lavoro”) vengono da lontano. Decisioni di vecchia data che hanno portato alla fragilità del nostro sistema produttivo.

Si è voluto rendere il lavoro sempre peggio pagato, maggiormente precario, fortemente insicuro e il risultato è, appunto, l’incapacità di affrontare in maniera adeguata situazioni di questo genere.

Ma c’è una cosa che, nel mondo del lavoro, continua senza rallentare. È la mancanza di sicurezza. Quella, anzi, è in espansione ed è foriera di infortuni, malattie e morti. Molto di più del coronavirus.

Perché, anche se non se ne parla, da inizio anno sono 78 i morti per infortunio nel luoghi di lavoro e oltre 165 considerando i decessi in itinere.

È una cosa spaventosa, certo, ma di questa carneficina non abbiamo paura, anzi ci siamo abituati. È diventata qualcosa di normale, di endemico. E la “grande informazione” comunica poco o niente.

Eppure anche i morti sul lavoro sono vittime di una malattia pericolosa che dovremmo combattere. Provocata da un virus molto pericoloso perché si sostituisce alla vita. Un virus che si chiama profitto.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.