Il gran ritorno di Prodi: incorona il premier Gentiloni, in alternativa a Renzi, e gli ulivisti di Insieme. Per unire

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Il 5 marzo è già arrivato. Almeno nel centrosinistra. Il balzo temporale verso il dopo-voto lo ha imposto di fatto ieri.17 febbraio, Romano Prodi. È un salto che anticipa la resa dei conti che in molti immaginano dentro il Pd. Un regolamento degli affari interni che ha un primo imputato e si chiama Matteo Renzi. E che nello schema del Professore dovrebbe produrre un nuovo baricentro, co­stituito dall’attuale premier Paolo Gentiloni.

Perché al di là delle dichiarazioni ufficiali, le parole pronunciate ieri a Bologna segnano il suo ritorno in campo e consegnano un week end amaro al segretario democratico. Il leader dem, infatti, sabene che la convention di “Insieme” ha rappresentato un’ulteriore conferma del sostegno di Prodi al centrosinistra “unito” intorno al Pd. Ma è stata in primo luogo un atto di accusa contro la gestione renziana del partito e della coalizione. E poiché Prodi rappresenta da tempo il barometro più autentico del centrosinistra, il suo intervento ha fatto ben capire che la pressione degli scontenti ha ormai raggiunto i picchi più alti. E che il 5 marzo è già arrivato. E a urne chiuse il cambio di passo sarà imposto dai fatti e non dalle scelte.
Da tempo, del resto, l’ex presidente della Commissione europea non nasconde i suoi dubbi sulle scelte del segretario. Nei giorni scorsi, ad esempio, commentava con un certo stupore l’andamento della campagna elettorale. Soprattutto si meravigliava di come il Pd non avesse compiuto la mossa che tutti si aspettavano per risollevare gli indici di una popolarità che tutti i sondaggi hanno dato in calo.
«Se Renzi avesse fatto un passo indietro concreto in favore di Gentiloni – era la riflessione a cuore aperto di Prodi – il Pd avrebbe recuperato almeno quattro punti e sarebbe stato davvero concorrenziale con il Movimento 5Stelle».
Lo schema del fondatore dell’Ulivo è dunque ormai abbastanza chiaro ed esplicito. Lavorare dopo le elezioni ad un centrosinistra nuovo, che abbia come principale obiettivo quello dell’unità e non della divisione. Che abbia nel premier in carica una bussola «serena e seria». Certo, la dichiarazione di voto a favore di “Insieme” è il risultato anche di fattori contingenti. Che prescindono dai progetti per il futuro. Si deve tener conto che all’interno di quella lista figurano diversi candidati prodiani della prima ora come Giulio Santagata, ministro e “stratega” dell’ultimo governo Prodi. La “terza gamba” del centrosinistra ha un disperato bisogno di raccogliere consensi per superare almeno la soglia basilare dell’1% per cento. E l’endorsement del Professore rappresenta una speranzosa iniezione di carburante.
Ma poi c’è tutto il resto. C’è la chiara indicazione di rimanere in quel campo del centrosinistra senza però votare per il Pd renziano. Il modo più semplice per prendere le distanze da Renzi ma anche dagli scissionisti di Bersani e D’Alema.
Il giudizio prodiano nei loro confronti è noto. L’analisi negativa rispetto a quella frattura è però piena di rimpianti. «Se invece di dar vita a un partitino, fossero rimasti è la valutazione dell’ex premier gli equilibri dentro il Pd oggi sarebbero del tutto diversi». Anche nelle conversazioni informali, Prodi non si spinge mai a dire che sarebbe cambiato il segretario, ma di certo che i rapporti di forza non sarebbero stati gli attuali. Che la chiusura registrata al Nazareno nell’ultimo anno non sarebbe stata così ermetica. E che anche il dopo-voto avrebbe consegnato un quadro completamento differente. «E di certo – ha ripetuto – sarebbe stato formalmente Gentiloni il candidato premier del centrosinistra. E le elezioni avrebbero avuto un altro verso».
Prodi è consapevole che a partire dal 5 marzo, in molti reclameranno una sua nuova discesa in campo, ancora più consistente. Così come lo stesso invito verrà rivolto all’altro cofondatore dell’Ulivo, Walter Veltroni. Ma ha già la risposta per tutti: «Non è possibile». Esattamente come il primo segretario del Pd dinanzi alla stessa domanda, qualche giorno controbatteva allargando le braccia: «Ma come faccio?».
Sta di fatto che Prodi appare rassegnato a un risultato non entusiasmante per il Pd. Come tutti ha letto i sondaggi pubblicati fino a venerdì. E scorrendo quei dati è attraversato dal rammarico. «Il vero errare, quello che ha originato tutti gli altri – è il suo dispiacere – Matteo lo ha commesso il 5 dicembre 2016. Dopo la sconfitta al referendum, avrebbe dovuto farsi da parte e basta. E con lui tutti i suoi amici più stretti. Non doveva farsi vedere per un anno. E sapete cosa sarebbe accaduto? Sarebbe stato richiamato da tutti a furor di popolo. E invece si è voluto rinchiudere in quel cerchio che più che magico è sembrato piccolo».
Il bilancio di tutto, comunque, sarà tracciato il 5 marzo. E per il Pd si tratterà di una partita doppia. Una riguarderà il suo futuro politico. L’altra quella di fare i conti con la necessità di partecipare ad un governo che, con ogni probabilità, sarà sostenuto da una coalizione innaturale se non contronatura.

Di Claudio Tito, da La Repubblica