Cittadini e credenti al tempo del Coronavirus

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«Se hanno chiuso anche il campionato di calcio vuol dire che la cosa è davvero seria». È uno dei tanti commenti che si sono sentiti all’indomani del nuovo decreto del Presidente del Consiglio di lunedì scorso dopo il quale l’Italia si è ritrovata tutta “zona rossa” con l’obiettivo di rallentare prima possibile e il più possibile la diffusione del coronavirus.  
Le chiese le avevano già chiuse, o meglio avevano vietato le celebrazioni, rendendo così questa Quaresima assolutamente inedita e sofferta. Avremo modo con calma di capire, quando tutto questo sarà finito se e cosa questa emergenza ci avrà insegnato, fatto scoprire e capire. Già oggi possiamo, però, fare almeno una considerazione sul modo con cui la nostra Chiesa ha risposto a tale emergenza. 
Lo sappiamo: non tutti condividono il digiuno eucaristico previsto dai nostri Vescovi. Polemicamente, qualcuno ha ricordato che nel Medioevo di fronte alle epidemie si pregava, non si chiudevano le chiese. 
Precisiamo: le chiese non sono mai state chiuse anzi, forse, non sono mai state tanto aperte come in questi giorni. E ancora: per pregare, se ben  guardiamo, non c’è bisogno di entrare in chiesa. Ce lo ricorda l’evangelista Matteo che al capitolo sesto scrive “Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo”.
Ma la riflessione ci spinge ben oltre.Con la loro scelta i Vescovi hanno rifiutato l’alternativa o fede o scienza ventilata da qualcuno, riproponendo, invece, un approccio di fede e di un grande rispetto e ascolto per il dato scientifico: l’uno non esclude l’altro. Anzi. 
Oltre a questo con la decisione dei Vescovi la nostra Chiesa ci ha fatto sentire pienamente credenti e pienamente cittadini, partecipi di una comunità, quella ecclesiale, che (come in altre occasioni) ha dimostrato di essere pienamente parte della “città dell’uomo”, di sapersi assumere le proprie responsabilità e di saper tradurre in azioni concrete le attualissime parole del Proemio della Costituzione conciliare “Gaudium et spes”: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo”. In questo senso non possiamo e non dobbiamo dimenticare le tragedie che si consumano in altre parti del mondo. E proprio per questo il presente numero del nostro giornale si apre con la tremenda e dimenticata tragedia della Siria e dei suoi profughi. 
Con la scelta sofferta di vivere la Quaresima senza la possibilità di partecipare alla mensa eucaristica (che tutti – laici, preti e consacrati – dovremmo rispettare senza se e senza ma) i nostri Pastori ci richiamano all’essenzialità della fede, ci danno l’opportunità di riflettere su quello che pensavamo scontato e scontato non è. L’assenza della messa, inoltre, ci apre a riflessioni che mai avremo ipotizzato, ci permette di avere una inattesa “palestra” di preghiera, di silenzio, di umanità. Questo tempo ci sta dicendo molte cose, sta a noi ascoltarlo.