16 febbraio 2018. I morti sul lavoro non hanno nome. E contano poco o nulla. Compaiono in brevi note, nelle notiziole di cronaca, in scarne informazioni che vengono cancellate quasi subito. Così viene riportata da una testata digitale locale irpina (ilciriaco.it) nella “cronaca” del 15 febbraio 2018: «”Tragica morte di un lavoratore dipendente di una cooperativa che opera presso il Pastificio Baronia di Flumeri (Av). Ennesima ”morte bianca” avvenuta nella nostra provincia che si aggiunge alle tante, troppe, che insanguinano quotidianamente il nostro Paese”.
A comunicarlo con una nota il segretario della Cgil Avellino Franco Fiordellisi e della categoria Flai Luciano Valle.»
Il “lavoratore dipendente di una cooperativa” (di cui non è riportato neppure il nome) è il “caduto sul lavoro” numero 79 da inizio anno. È un numero, appunto, del quale è normale, quasi “logico”, dimenticarsi. Troppe sono le “cose importanti” da seguire. Una campagna elettorale che si basa su promesse delle grandi forze politiche in campo (quelle che governeranno il paese) che prevedono centinaia di migliaia di posti di lavoro in più (viene taciuto che saranno precari, insicuri e mal retribuiti), su scandali più o meno importanti, sul problema immigrazione e l’odio che si “deve provare” verso il diverso. Sulla paura. Sulla necessità di farsi giustizia da soli perché manca la “sicurezza”.
Ma a quale sicurezza ci si riferisce? Non certo quella sul lavoro. No, quella è un costo insopportabile che si deve tagliare. Ne va della competitività del sistema. Così chi muore per infortunio nei luoghi di lavoro o sulle strade mentre sta lavorando, non è significativo. Non è neppure un nome da riportare nelle notizie. Non è “qualcuno”, è “qualcosa”. Un “qualcosa” che si può sostituire con un altro “qualcosa” quasi fosse un pezzo di ricambio. Forse ci sarà qualche parola di circostanza da parte delle autorità. Ma, poi, tutto tornerà come prima. E nessuno sarà responsabile di nessuna morte sul lavoro per infortunio e, tanto meno, per malattia professionale.
Viviamo in un sistema spaventoso e malato, dove la persona, se non è ricca e potente o famosa, conta poco o nulla.
Oggi siamo qua, a contare i morti sul lavoro e per il lavoro. Lo facciamo per l’ennesima volta. Lo vogliamo fare comunque anche se l’indifferenza la fa da padrona. Del resto, come scriveva Antonio Gramsci, noi odiamo gli indifferenti.
Giorgio Langella, segretario regionale del PCI