Coronavirus, lettere dal “fronte”: l’irritazione dell’infermiera Gina De Angeli sulle trasformazioni in “angeli”

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Ospedale di Comunità di Noventa Vicentina spostato temporaneamente a Lonico
Lavori all'Ospedale di Comunità di Noventa Vicentina

Sono già diversi giorni che ho in testa l’idea di scrivere questa lettera, un’idea maturata perché l’emergenza coronavirus ha scoperto ogni nervo di un sistema che, se ancora oggi è in grado di dare una risposta lo deve solo all?abnegazione del personale sanitario.

Il sistema sanitario è un sistema complesso, se prendiamo a esempio l’ospedale, perché funzioni ha bisogno oltre che di medici, infermieri e oss, anche delle lavoratrici e dei lavoratori delle pulizie, delle mense, delle lavanderie, dei centralini, degli amministrativi, dei tecnici, dei laboratori, dei lavoratori della logistica, del trasporto, etc., insomma di tutto un complesso di figure che fanno sì che quando un paziente arrivi possa ricevere la giusta risposta sanitaria.

Invece cosa è successo in questi anni?

I piccoli ospedali sono stati chiusi, i letti ridotti, le mense, le cucine, le sterilizzazioni esternalizzate, i laboratori analisi accorpati, i medici costretti alle dimissioni precoci. Il personale sanitario si è trovato stretto fra le decisioni dei vertici aziendali e i bisogni dell’utenza.

Decisioni che tagliando i servizi e distruggendo quasi il territorio hanno reso difficili e in molti casi inaccessibili le cure a chi ne ha bisogno. Decisioni che ci hanno privato della nostra professionalità, decisioni che ci hanno imposto che contano di più gli aspetti amministrativi che la cura e l’assistenza del paziente, il tempo che passiamo con lui, la capacità non solo di curarlo ma di sostenerlo, di aiutarlo di fronte alla malattia, alla sofferenza e anche alla morte.

Decisioni che hanno tentato di toglierci la nostra dignità personale e lavorativa importantissima, perché come disse giustamente 40 anni fa un medico, Mario Lizza “non c’è umanizzazione dell’ospedale senza umanizzazione delle condizioni di lavoro e di vita del personale che vi lavora”.

I cittadini dall’altra parte hanno avvertito, perché lo vivono tutti i giorni, i cambiamenti negativi di questo sistema, giustamente si lamentano, s’indispettiscono, esigendo risposte da chi non può più soddisfarle e i modi di difendersi si manifestano nelle forme più diverse, incalzati dai media e da campagne denigratorie.

Ma c’è anche un’altra ragione che mi ha spinto, sollecitata tra l’altro dalle lettere di altri operatori sanitari, ed è “l’irritazione” che mi deriva dalle parole dei vari ministri, presidenti delle regioni, direttori ospedalieri, politici di destra e di sinistra, su questa trasformazioni in angeli, oserei aggiungere dell’inferno nel quale continuamente ci costringono a lavorare.

Io non ci sto!

Io non ci sto ad essere trasformata in un angelo, quando fino a ieri e proprio grazie a quelle scelte, oggi ci troviamo nella cosi detta “merda” di fronte all’emergenza coronavirus.

Per anni si è lavorato sistematicamente per distruggere la sanità pubblica, privatizzando, chiudendo ospedali, diminuendo posti letto, dirottando il pubblico verso il privato, per anni si è portato avanti campagne denigratorie contro noi, il signor Brunetta insegna, attaccando i lavoratori e le lavoratrici del Pubblico Impiego, come fannulloni, lavativi e furbetti. Per anni abbiamo accumulato uno stress lavorativo dovuto al disagio per le richieste eccessive e continue, interne ed esterne, spesso al di sopra delle proprie risorse fisiche e mentali, quando addirittura divergenti con le motivazioni personali.

Per anni ci hanno fatto il lavaggio del cervello affinché noi concedessimo loro, volontariamente il nostro consenso a questa operazione.

Laddove, con queste manovre, non hanno raggiunto dei risultati, hanno adottato vari strumenti, sviluppando e aggiornando forme di repressione tese non solo a colpire quelli che non volevano sottostare, ma per infondere la paura come deterrente e monito nei luoghi di lavoro per indurci al silenzio come unica soluzione possibile.

L’infame obbligo all’azienda è uno tra quelli, inserito nei nostri contratti di lavoro con l’avvallo dei sindacati confederali, che ci impedisce di denunciare quanto accade, pena il licenziamento.

Allora io mi domando se è un delitto pretendere di lavorare meglio, con più personale, in condizioni più umane, il non voler essere di fronte al malato il capro espiatorio verso il quale egli può riversare la sua rabbia e la sua sofferenza per un’assistenza che sempre peggio si fa carico delle sue esigenze?

Se è un delitto voler smascherare ogni tentativo di mettere un lavoratore contro l’altro, nascondendo le reali cause del processo di riorganizzazione in corso?

Se é un delitto voler costruire un fronte comune con gli utenti contro la distruzione della sanità pubblica e contro chi vuole la condanna a morte di chi non si può permettere cure?

Per questo quello che voi chiamate la fedeltà all’azienda (che tanto ricorda la filosofia fascista), io la chiamo “obbligo di omertà”, perché vorrebbe impedirci di denunciare le cause reali di quanto sta succedendo in sanità a seguito di scelte politiche ed economiche ben precise.

La frase di un cittadino calabrese sintetizza bene queste scelte; “avete fatto della salute un mercimonio. Avete fatto dell’ospedale uno scempio. Avete fatto di un diritto un favore”.

Oggi ci chiedete di stringerci in un abbraccio che io definisco mortale, promettendo tra l’altro centinaia di assunzioni, così come fu fatto dopo la Sars e il batterio New Delhi, promesse che si tradurranno in alcune decine di assunzioni, con contratti interinali, che non risolveranno il problema della mancanza di personale, ma che apriranno sempre di più le porte all’ingresso di lavoratori e lavoratrici, più sfruttati, con meno diritti e più ricattabili.

Per questo io non ci sto.

Io sono dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, come sono dalla parte dei cittadini e del loro diritto ad avere una sanità pubblica, efficiente e qualificata su tutto il territorio nazionale. Mi auguro che alla fine di questa emergenza, noi tutti lavoratori e lavoratrici, avremo raggiunto la consapevolezza che, di fronte allo scenario che si prospetta, divisi non andiamo da nessuna parte e che per iniziare ad arginare la valanga che si sta abbattendo su di noi dobbiamo rimettere al centro la solidarietà, l’unità e l’autorganizzazione, riprendendo la capacità non solo di informarci e informare ma di impedire che attraverso questo processo la sanità diventi sempre più preda di avvoltoi e criminali.

Un processo questo che se non è ostacolato, cancellerà ogni diritto e ogni legittima aspettativa dei lavoratori e lavoratrici e il diritto a una Sanità Pubblica universalistica.

La difesa delle nostre condizioni di lavoro assume, quindi, un’importanza fondamentale che va ben oltre il mero ambito contrattuale o l’interesse particolare di una categoria professionale, perché coinvolge il tema della tutela della salute dei cittadini (coronavirus insegna).

Per fare questo è fondamentale costruire momenti di aggregazione, solo da un’azione collettiva può nascere la forza in grado di contrastare questo processo di privatizzazione e sottrarci dall’essere complici involontari della distruzione della Sanità Pubblica perché la salute non è una merce che si vende e si monetizza.

Gina De Angeli, Infermiera professionale