Coronavirus, andrà tutto bene? Forse, ma solo se poi cambieremo sistema

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“…alla fine verrà il tempo per tutti noi di diventare saggi … … solo se apriremo gli occhi.” (Peter Hammill – Open You Eyes – 1975).

In queste settimane stiamo toccando con mano quali effetti provoca un sistema basato solo sul profitto individuale. Uno dei problemi fondamentali è la carenza di strutture, apparecchiature, personale medico (in senso ampio) sufficiente a contenere e contrastare la pandemia di CoVid-19.

Non è vero che la colpa di questa insufficienza sia di chi va a passeggiare per strada. Certo, bisogna contenere il contagio e va fatto con tutti i mezzi, quarantena compresa, ma il fatto che ci siano pochi letti di terapia intensiva è frutto di una politica demenziale (e, si potrebbe dire, criminale guardando i risultati) che è stata attenta a comprimere i costi (si badi bene, non gli sprechi ma i costi) dei servizi fondamentali.

Sanità, istruzione, trasporti, ricerca … sono stati depotenziati e tagliati preferendo trasferire risorse di tutti noi dal pubblico al privato con la folle convinzione che quest’ultimo potesse fare meglio gli interessi della collettività. Più efficienza, si diceva, migliore organizzazione e così via in un delirio di ideologia liberista.

Il risultato, nel campo della sanità (che è solo l’esempio che oggi, nell’emergenza che viviamo, fa capire meglio quanto sia successo) è quello che constatiamo. Assolutamente e colpevolmente insufficiente. Abbiamo sperato che non succedesse nulla di tragico e sono stati cancellati letti e personale, sono stati esternalizzati servizi primari, sono stati regalati al privato immense quantità di denaro pubblico per fornire prestazioni di minor livello rispetto a quelle garantite dal Servizio Sanitario Nazionale.

In generale si è avuto dal privato poca specializzazione (tranne qualche raro caso) dandogli, in cambio, enormi profitti. La regionalizzazione della sanità ha creato disuguaglianze mostruose e ha favorito pratiche truffaldine e clientelari (per fare un esempio basta non dimenticare, come si tende a fare anche in queste settimane, quanto è successo in Lombardia quando era presidente Roberto Formigoni). La riduzione della sanità pubblica ad “azienda” attenta ai bilanci, frutto di una politica disastrosa, sta dimostrando un fallimento che non è contingente ma di sistema.

È anche opportuno rimarcare come sia stata finanziata e gestita la ricerca (in ogni campo): pochi investimenti destinati soprattutto (o solamente) a ricavare profitto immediato. In definitiva, l’ideologia capitalista dello svuotamento dello Stato e del guadagno personale, tanto, maledetto e subito è “il problema” alla base delle difficoltà che stiamo vivendo.

La frase che continuiamo a ripeterci è che andrà tutto bene. Certo, lo speriamo tutti, lo vogliamo.

Ma sarà possibile solo se manterremo memoria di quanto successo e delle vere cause che hanno esasperato l’emergenza.

Se, finito “l’attacco del coronavirus” (perché riusciremo a debellarlo o scopriremo come renderlo innocuo) non si tornerà alle solite idee (e alle pratiche conseguenti) secondo le quali tutto (servizi fondamentali e lavoro) deve produrre soprattutto profitto per pochi.

Andrà tutto bene se ci saranno prospettive diverse, obiettivi migliori e si smetterà di considerare benessere la ricchezza di una miserabile minoranza di avidi super-ricchi, speculatori, truffatori, venditori di fumo e quant’altro.

Se, infine, la mancanza di solidarietà e lo sfruttamento diventeranno (non solo per i credenti) peccati e (non solo per i comunisti) crimini veri e propri.

Altrimenti quell’ “andrà tutto bene” sarà solo uno slogan come tanti.

Ci diranno che ci vogliono tanti soldi e che non si possono trovare. Calcoleranno le enormi risorse che servono per dimostrare l’impossibilità di un sistema diverso. Sosterranno che siamo un paese indebitato e che non ce la possiamo fare. Ci spiegheranno che l’economia deve riprendersi e che le grandi opere (quelle che hanno favorito il malaffare, le tangenti, le ruberie, la diffusione dell’immoralità) sono indispensabili per il suo rilancio.

Infine concluderanno che bisogna, tutto sommato, continuare come prima, che non possiamo permetterci il cambiamento.

Così continueranno con la propaganda e confonderanno, volutamente, la solidarietà con la sostituzione del pubblico col privato, facendoci credere che l’impresa privata sia il motore di tutto e che solo favorendola si potranno creare ricchezza e benessere. Niente di più falso. Quello che sta succedendo in queste settimane lo dimostra chiaramente.

La ricchezza per cambiare l’attuale sistema, invece, esiste. È concentrata in una esigua minoranza di personaggi ricchissimi che, in qualche caso, fanno beneficenza e per tutti sono atti di generosità da ammirare. Non deve né può continuare così. Quelle regalie sono elemosine, percentuali insignificanti di quanto “lorsignori” hanno guadagnato anche grazie al nostro torpore.

Deve essere la collettività, lo Stato a imporre la solidarietà e la giustizia sociale ed economica. Tagliare le tasse indiscriminatamente (la tassa piatta o flat-tax berlusconiana e salviniana) significa solo perpetuare le disuguaglianze a favore dei ricchi.

Bisogna, invece, rimodulare le aliquote in maniera progressiva. Diminuirle per i redditi bassi e aumentarle, creandone di nuove, per quelli più alti. Non è la scelta di uno “stato vampiro”, no, sarebbe solo una manovra di equità fiscale, quella prevista dalla nostra Costituzione.

Ed è ormai un dovere prevedere una tassa patrimoniale strutturale e progressiva per le grandi (e spesso incomprensibili e inimmaginabili) ricchezze. Non è ammissibile che, nel nostro paese che fa fatica ad approvvigionarsi di materiali e strumenti di prima necessità per contrastare il CoVid-19, una decina di super-ricchi posseggano ricchezze personali per un totale che supera i 100 miliardi di dollari.

Solidarietà, si diceva … e, allora, perché non esigere una ridefinizione dei debiti nazionali? Perché non azzerarli? Perché anche gli aiuti delle istituzioni internazionali delle quali la nostra Italia fa parte (UE in primis) devono essere solo ulteriori debiti che dovremo rifondere pagando interessi insostenibili?

In queste settimane assistiamo, si spera con la giusta indignazione, al balletto della propaganda politica(nte) fatto da personaggi che cambiano idea ogni giorno, che dicono tutto e il suo contrario (così, quando “andrà tutto bene”, potranno affermare con supponenza e adeguata “faccia di bronzo” che loro lo avevano detto …).

Sembrano proporre cose diverse e, invece, declamano solo piccoli, insignificanti, distinguo che non spostano di una virgola un sistema che non riesce né vuole contrastare efficacemente la pandemia (se non colpevolizzando i singoli cittadini che lorsignori hanno abituato, in tutti questi decenni, a pensare poco e solo a se stessi e al loro vantaggio individuale).

In questa danza macabra, tutti i saccenti politicanti che “farebbero di più e meglio” sono coinvolti perché tutti seguono un solo “pensiero dominante”. Tutti fanno parte di quel partito unico che risponde all’ideologia del realismo capitalista.

Perché dopo “tutto vada bene” bisogna non archiviare quello che sta succedendo ma averne memoria. Bisogna ricostruire una coscienza sociale e collettiva. Ed è necessario individuare bene i responsabili del fallimento che stiamo constatando e che non sono certo i reietti, i profughi, i poveri del pianeta, ma quelli che comandano, quelli che detengono il potere reale.

I colpevoli sono quelli che manovrano la finanza, che controllano l’economia, che privilegiano unicamente il profitto, che indirizzano ricerca e innovazione verso i loro conti bancari … loro e non altri sono i nemici di ognuno di noi e del nostro futuro. Non lasciamoci ipnotizzare ancora dalla loro propaganda. Dobbiamo ricordare tutto e lottare per costruire un modello di sviluppo nuovo e radicalmente diverso da quello attuale che dimostra la sua fallimentare inadeguatezza.

Giorgio Langella e Dennis Vincent Klapwijk

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.