«Ho visto la tumulazione di mia figlia dal balcone»

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vescovo al cimitero

L’unica consolazione per Rosa, quando hanno sepolto sua figlia, è stata quella di abitare ad una cinquantina di metri dal cimitero. Una distanza che le ha permesso di assistere dal balcone di casa alla tumulazione delle ceneri di Marilisa, questo il nome della figlia, avvenuta alla sola presenza del marito e dei due figli.

«Mia madre ha 94 anni, mia sorella è mancata il 3 marzo, a 59 – racconta il figlio di Rosa, Lauro Fiorentin, di Dueville -. Eravamo appena all’inizio dell’emergenza Coronavirus, non era ancora chiuso tutto come oggi. Mia sorella era ammalta da dieci anni. L’abbiamo salutata con una mesta cerimonia ristretta ai soli famigliari, il 6 marzo. Ci sarebbe piaciuto che ci fossero stati anche gli amici che l’hanno accompagnata in questi anni». Poi l’ultimo atto, la tumulazione. «In pochi giorni sono stati chiusi i cimiteri – prosegue Fiorentin -. Il corpo di mia sorella è stato cremato, ma alla tumulazione potevano essere presenti solo il marito e i figli. Già la situazione era surreale, quest’ultimo atto è stato una mazzata. Abbiamo potuto vedere qualcosa del rito dal balcone di casa. Una disperazione. Speriamo che al termine dell’emergenza sia possibile vivere una cerimonia vera e propria».

In tempi di Coronavirus e a un mese dalla stretta che ha vietato i funerali pubblici, la storia che avete appena letto si sta ripetendo in centinaia di famiglie della Diocesi. È un tempo in cui si viene sepolti senza funerale, e per chi si ammala di Covid-19 è un tempo in cui si muore soli. E non tutti i parenti possono consolarsi seguendo la sepoltura da un balcone con vista sul cimitero. «Ma recuperare un respiro di umanità in più si può – racconta don Giovanni Sandonà, parroco dell’Up di Sandrigo -. Nel rispetto di tutte le precauzioni che ci sono state prescritte, in questi giorni siamo riusciti a concordare con le agenzie funebri una sosta del feretro di fronte alle case dei parenti, durante il tragitto dall’ospedale al cimitero». Il dramma del morire soli, sarà uno dei motivi per cui «ricorderemo a lungo questa epidemia – riflette don Giovanni -. Come comunità cristiane, dobbiamo riuscire a recuperare pastoralmente questo dramma. Non so ancora come. Ma quando l’emergenza terminerà, dovremo pensare a delle celebrazioni che da un lato siano per tutti e dall’altro permettano una elaborazione personale del lutto. Dobbiamo riuscire a incontrare queste famiglie che stanno soffrendo». Incontro oggi reso difficile dalle nome per il contenimento del contagio. «Questa settimana ho trascorso mezz’ora al telefono con il figlio di una donna morta di Covid-19 – racconta ancora don Sandonà -. Mi ha confidato di non riuscire a non pensare che sua mamma temesse di essere stata abbandonata dai figli».  

In questa situazione, anche il lavoro delle agenzie di pompe funebri si svolge con modalità che lo rendono ancora più distaccato e asettico. «Quando andiamo a vestire i defunti, che siano morti da Covis-19 o meno, indossiamo tuta, mascherina, guanti, copriscarpe – racconta Giancarlo Greggio, titolare di un’agenzia funebre -. Al momento della sepoltura sono presenti solo i parenti più stretti, distanziati l’uno dall’altro. Il nostro lavoro non è molto diverso, ma il clima è strano, surreale».

Chi saluta questo mondo a causa del Coronavirus, poi, muore «senza un affetto – dice don Fabio Ogliani, parroco dell’Unità pastorale di Dueville -. Ci sono solo gli infermieri e il personale medico accanto agli ammalati, nell’ultimo tratto della loro vita». In molti casi, racconta il prete, «non è possibile nemmeno andare a portare un saluto, una preghiera al defunto nella cella mortuaria o perché morto di Covid-19 o perché nella cella accanto c’è una vittima del Coronavirus». Don Fabio riconosce che in chi crede «c’è la consapevolezza che la solitudine umana è sostenuta da Dio, che ha accolto la persona nella nuova vita. Questo dà conforto». In queste settimane questi “passaggi” sono vissuti «con sentimenti molto contrastanti», si percepisce «una “assenza” che è molto più “presente” e che pesa molto di più di quando si muore in condizioni “normali”».

Come preti, conclude don Fabio, «stiamo misurando la fatica di stare vicini alle persone in queste condizioni. Il contatto con i parenti può essere solo telefonico. Ti rendi conto di come la presenza fisica sia proprio un’altra cosa, di come ci sia una concretezza della vita insostituibile. E ti accorgi che se ti tolgono la relazione salta tutto».

Lo scorso venerdì 27 marzo, tutta la Chiesa italiana ha vissuto un momento di preghiera per i defunti di queste settimane. Il vescovo Beniamino si è recato al Cimitero Maggiore, in forma strettamente privata, per una preghiera di suffragio e una benedizione che vuole idealmente raggiungere tutti i defunti della Diocesi, in particolare i morti in seguito all’infezione da Covid 19 e tutti coloro che sono stati portati a sepoltura senza la Messa esequiale e con dolorose limitazioni per gli stessi familiari. Lo stesso gesto l’hanno ripetuto tutti i Vescovi d’Italia, ciascuno nella propria città e con i dovuti permessi delle autorità competenti. “L’intenzione – spiega una nota della Conferenza Episcopale Italiana –  è stata quella di affidare alla misericordia del Padre tutti i defunti di questa pandemia. Si è scelto un Venerdì di Quaresima, nel quale lo sguardo al Crocifisso invoca la speranza consolante della Risurrezione. Anche attraverso il ricordo orante dei Vescovi la Chiesa vuole esprimere tutta la vicinanza a chi in queste settimane non ha potuto accompagnare alla morte un proprio familiare o amico”. Sul sito della Diocesi (www.vicenza.chiesacattolica.it) è stata pubblicata una preghiera da recitare in famiglia in ricordo dei cari defunti.

Martedì di questa settimana, infine, è stata la giornata della memoria civile delle vittime da Coronavirus. In tutti i Comuni italiani le bandiere sono state issate a mezz’asta e alle 12 tutti i sindaci d’Italia hanno reso omaggio alle vittime della pandemia.