La rivoluzione del lavoro durante e dopo il Coronavirus: aspettate a cantare vittoria perché ogni volta il capitalismo si reinventa

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Coronavirus, smart working e Tempi moderni
Coronavirus, smart working e Tempi moderni

Il perdurare già da un mese, o poco più per le regioni del nord Italia, di una situazione inedita e inimmaginabile di sospensione delle routines della vita quotidiana, dopo un primo momento di smarrimento per la pesante limitazione della libertà, compensata da qualche giorno dagli effetti positivi di un trend che comincia ad essere incoraggiante, impone oggi, anche come buon auspicio, di pensare al dopo-Coronavirus, a riflettere, cioè, come se ci fossimo già lasciati tutto alle spalle, su cosa potrebbe restare domani di questa brutta esperienza, quando torneremo tutti a lavorare, a salutare i nostri cari, a prendere aperitivi ai bar e a mangiare ai nostri soliti ristoranti.

Forse è ciò che il nostro profondo inconscio vorrebbe davvero e noi non possiamo negare, in queste circostanze, al nostro pensiero di elaborare riflessioni positive, ma poi ci tocca fare i conti con la realtà, guardare i dati e attrezzarci per rimettere insieme i pezzi del nostro paese a partire da azioni politiche concrete e iniziative economiche di ampio respiro.

In questi giorni abbiamo assistito inermi, senza poter interagire e manifestare adeguatamente e politicamente le nostre opinioni, a causa della limitazione anche del diritto di protestare pubblicamente, ad una serie di criticità in diversi settori nel sistema Italia e non solo.

È chiaro per tutti, ormai, che in assenza di un vaccino che giunga a debellare completamente la malattia, non ci resterà che ripartire gradualmente, perché prima o poi bisogna ripartire, con numerose precauzioni per la nostra incolumità ed è altrettanto chiaro a tutti che alcune attività non possono, per la loro natura eminentemente sociale e a stretto contatto fisico, più riprendere, giacché sarebbero davvero in pochi a voler rischiare la propria salute e, in ogni caso, non dimentichiamoci che questo stato di emergenza legislativa, in cui il regime liberale e deliberativo individuale è sospeso a fronte di decreti che ci dicono cosa possiamo e cosa non possiamo fare, durerà molto a lungo.

Ad ogni modo, c’è un aspetto che risulta interessante in questi giorni e che merita di essere analizzato attentamente sin d’ora, prima che sia troppo tardi, ed è legato al lavoro da casa, ribattezzato sintomaticamente smart-working, che tecnicamente dovrebbe significare “lavoro agile” e anche “lavoro intelligente”, anche se poi pare che nella lingua inglese nemmeno esista tale espressione, e che fu già regolato dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” senza grandi conseguenze.

E già perché la svolta radicale ed epocale che il Covid19 ci lascerà in eredità a livello mondiale ha a che fare, nell’ambito delle trasformazioni economiche dei modi di produzione, con una incredibile accelerazione mondiale sulla flessibilità e sulla volatilizzazione fisica di tutti i lavori che finora erano svolti in presenza e ora, a causa della decretazione d’emergenza, giacché anche quella d’urgenza è cosa superata, sarà svolta tranquillamente da casa.

Questa rivoluzione economica che intacca i modi di produzione, soprattutto nell’ambito dei servizi, diventa oggi possibile grazie ad una informatizzazione a tappeto dei nostri paesi: il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha affermato chiaramente che la procedura di informatizzazione del paese doveva essere un’opera già conclusa (era uno degli obiettivi principali, non senza conflitti d’interesse, dei Casaleggio), ma adesso diventerà un imperativo per la gestione della pandemia, per la tracciabilità dei movimenti di ciascun soggetto, anche per quei pochi anziani rimasti nel piccolo paesino di montagna che non ha all’attivo nessun caso di positività al virus, possedere smartphone, connessione e applicazione in grado di monitorare costantemente i movimenti di ogni singola persona.

Ecco, questa informatizzazione forzata globale, e necessaria per certi versi, del nostro come di ogni singolo paese di ogni singolo Stato, che, tra le altre cose, imporrà l’implementazione della rete mediante 5G senza adire ad ulteriori discussioni e polemiche, perché anche quelle sono sospese fino a data da destinarsi, non tarderà ad essere sfruttata dal capitalismo, che ha l’incredibile forza di trasformarsi costantemente e di insinuarsi senza difficoltà in tutte le situazioni in cui, nonostante l’emergenza, si possa massimizzare il profitto.

Insomma, l’immagine di questo capitalismo che non tarda ad approfittare della situazione undici anni fa a L’Aquila era rappresentata da chi, davanti all’ecatombe per un disastro naturale, vedeva, sghignazzando, nella ricostruzione una possibilità di estremo guadagno e oggi da chi, nell’ambito dell’editoria, si fa ritrarre in video e fregandosi le mani rassicura i suoi collaboratoti, dicendo che andrà tutto bene perché con qualche chiamata ha sistemato tutto e ha implementato i guadagni delle sue aziende: voilà, è il capitalismo che si aggiorna, signore e signori!

E allora la vera rivoluzione che nell’ambito dell’economia e nei modi di produzione ci lascerà in eredità questa pandemia avrà a che fare con la presa d’atto, perché di fatto lo si sta facendo, che metà del lavoro che prima si svolgeva in presenza all’interno di dispendiosi uffici localizzati, con l’informatizzazione forzata di tutto il paese, che ha costretto tutto il personale dipendente, giocoforza, ad adattarsi alle mutate condizioni lavorative e ad aggiornarsi, obtorto collo, sulle piattaforme disponibili online, si potrà svolgere anche tranquillamente da casa e non c’è dubbio che il capitalismo ci possa mostrare gli aspetti positivi di una siffatta svolta che pone l’enfasi sul fatto che si possa tranquillamente lavorare da casa.

Ecco, forse, però, un po’ di prudenza sarebbe necessaria. Aspettate a cantare vittoria, perché ogni volta che il capitalismo si reinventa, esso pensa soprattutto a sé stesso, alla massimizzazione del proprio profitto, non ai diritti e alle condizioni dei lavoratori, a cui poi dovranno pensarci altri soggetti istituzionali in tempi in cui, chissà quando accadrà, la normale dialettica politica sarà ripristinata.

Nel frattempo il capitalismo continua ad agire indisturbato anche in condizioni d’emergenza, perché questa è la sua natura!


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Michele Lucivero
Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Bari e poi in Forme e Storia dei Saperi Filosofici presso l’Università degli Studi del Salento, dove ha conseguito anche il Dottorato di Ricerca in Etica e Antropologia. Storia e Fondazione. Ha conseguito anche il Diploma di Scienze Religiose presso l’Istituto “Italo Mancini” dell’Università degli Studi di Urbino. Abilitato all’insegnamento di Filosofia e Storia e specializzato nella Didattica per le Attività di Sostegno presso l’Università di Padova, attualmente è docente di ruolo nella scuola pubblica. Dirige con Michele Di Cintio la collana Pratiche Didattiche e Percorsi Interculturali presso la casa editrice Aracne di Roma, all’interno della quale ha pubblicato e curato diversi volumi di taglio didattico su argomenti storici, filosofici, antropologici e sociologici. Dopo aver trascorso gli ultimi dieci anni a respirare il profumo del muschio montano vicentino dal 2018 è tornato a bearsi dell’aroma della salsedine pugliese. Giornalista pubblicista da giugno 2021