Anche nella pandemia «sono tanti i segni della Risurrezione». L’omelia pasquale del Vescovo

95

La dedizione di tanti medici, la santa pazienza delle mamme e dei papà, la creatività dei ragazzi, l’attenzione verso chi è solo. Sono alcuni dei «segni di Risurrezione» indicati dal Vescovo Beniamino nell’omelia pronunciata durante la messa di Pasqua (qui il testo integrale). Un messa celebrata nella Basilica di Monte Berico e trasmessa in diretta da Radio Oreb e TVA.

«Tutti sentiamo l’umana nostalgia delle celebrazioni nelle nostre comunità – ha detto il Vescovo -, la nostalgia dei volti dei nostri fratelli e sorelle, della mancanza dell’abbraccio di pace e, soprattutto, dell’impossibilità di ricevere la comunione sacramentale, possiamo, comunque, ringraziare il Signore che continua a essere realmente presente in mezzo a noi: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Anche chi è solo può vivere la comunione con il Signore Risorto, nella preghiera e nell’ascolto della sua parola».

«“È risorto! È vivo!”, ecco l’annuncio che da duemila anni risuona nel mondo portando gioia e speranza. La Pasqua è la festa più importante della nostra fede cristiana. Tutto il cristianesimo si riassume in queste parole: “Cristo è risorto”. È la notizia più importante della Storia, quella che ha mutato il corso dell’universo».

«Ma la fede pasquale nella Risurrezione di Gesù non è immediatamente offerta ai discepoli e a ciascuno di noi. Non è scontata. Essa chiede la disponibilità a compiere un cammino, essa mette in moto un processo di comprensione e di conversione. Il processo di Risurrezione e di Trasfigurazione del mondo e delle persone è già iniziato, è già in atto. Noi siamo chiamati a vivere una vita da risorti, e siamo impegnati a porre segni di risurrezione, anche in questa dolorosa e preoccupante situazione sanitaria».

«Quanti segni di Risurrezione abbiamo vissuto in questo tormentato periodo», ha detto il Vescovo: «la dedizione totale di tanti medici, infermieri e infermiere, personale sanitario, molti dei quali hanno perfino donato la propria vita per cercare di guarire le persone contagiate, a loro possiamo applicare le parole di Gesù: “Non c’è amore più grande di chi dona la vita per i fratelli” (cfr. Gv 15,13). Come non ricordare l’amore e la santa pazienza di tante mamme e tanti papà che si prendono cura dei propri figli con affetto e creatività? Come non lodare i bambini, i ragazzi e i giovani, che sanno trasformare questo tempo di limitazioni e restrizioni, in un tempo di studio, di gioco, di solidarietà con le persone sole, come i nonni, i parenti e gli amici? Come non ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile offrire generi di prima necessità alle famiglie, alle persone sole, alle persone povere?».

«Come non ricordarci nella preghiera- ha quindi aggiunto il Vescovo – di coloro che sono morti in questo periodo, in modo particolare coloro che sono morti a causa di questo virus così contagioso? Come non pensare alla responsabilità e all’impegno di quanti sono chiamati a fare le scelte più giuste per il bene delle persone e dell’intero nostro paese? Come non lodare l’impegno degli operatori della comunicazione sociale che ci rendono possibile conoscere l’andamento reale di questa pandemia e ci consentono di partecipare spiritualmente alle celebrazioni più importanti della nostra tradizione cristiana?».

«Questa pandemia sanitaria rischia di lasciare nel buio la nostra vita personale e comunitaria, oltre che sociale. Come cristiani dobbiamo trovare la nostra forza e la nostra speranza nella preghiera intensa e fiduciosa. Dobbiamo tornare a Gesù, nostra luce, meditare il suo Vangelo, la sua vita, il mistero della sua Pasqua. In noi agisce la potenza del Risorto e allora non c’è sofferenza che non possa essere riscaldata dall’amore, non c’è valle oscura da cui non si possa risalire, non c’è morte che non possa essere riconsegnata alla vita».

La veglia del Sabato Santo

L’omelia pasquale di mons. Pizziol riecheggia quella pronunciata in occasione della veglia del Sabato Santo (qui il testo integrale), celebrata sempre a Monte Berico, come avvenuto anche per il Giovedì Santo e il Venerdì Santo.

«Quest’anno l’annuncio della Pasqua di Risurrezione ci raggiunge mentre come singoli, come comunità e come famiglia umana siamo ancora immersi  nella via della Croce – ha detto il Vescovo -. Questa “via crucis” è popolata dall’immensa schiera di persone risultate positive al Coronavirus e dai numerosi fratelli e sorelle, soprattutto anziani, che hanno concluso il cammino della loro vita terrena. Questa via è attraversata dal personale sanitario che teme di non farcela più a resistere di fronte a così tante gravi situazioni, ma anche dagli scienziati alla ricerca di un vaccino capace di difenderci da questo male. Lungo questo doloroso cammino si incontrano tanti “cirenei”, uomini e donne generosi, che si offrono di portare pesanti croci«.

«Nelle cadute a terra di Gesù, sfinito dal peso della croce, vediamo riflessa la stanchezza e lo sfinimento di tanti fratelli e sorelle – le parole di mons. Pizziol -. Nel volto doloroso di Maria, la mamma di Gesù, si rispecchia il volto straziato di tante donne che soffrono e piangono la morte di una persona cara. Il dramma della passione del Signore Gesù non è mai stato così reale e tangibile come in questo triduo pasquale e la nostra vita non è mai stata così piena della speranza di Risurrezione. Gli eventi pasquali che abbiamo ricordato hanno generato fiducia in Dio e hanno dato forza al popolo per continuare il cammino di speranza e libertà, ma tutti si sono fermati sulla soglia della morte: eredità comune di ogni uomo e di ogni donna».

«Noi sappiamo però – ha concluso il Vescovo -, che l’uomo Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, ha assunto tutto della nostra natura umana ed ha assunto su di sé anche il dramma del dolore e della morte: l’ha sperimentata, ha varcato quella soglia, l’ha attraversata, oltrepassata e vinta, come canta la sequenza pasquale: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello, il Signore della vita era morto, ma ora vivo trionfa”».

«L’annuncio pasquale della Risurrezione di Cristo, accompagnato dal canto festoso dell’Alleluia, porta a compimento, in modo pieno e definitivo, tutti gli eventi pasquali che abbiamo ricordato. La morte non è più il termine ultimo e conclusivo della nostra vicenda umana, della nostra esistenza terrena. In Cristo risorto la morte diventa un passaggio, un varco, un andare oltre, diventa l’inizio di una vita nuova, definitiva, una vita per sempre, una vita in Dio e con Dio. Papa emerito Benedetto XVI ha definito la Risurrezione di Cristo “la più grande mutazione della storia dell’umanità”. Noi siamo stati immersi, con il nostro battesimo, dentro a questo processo, a questo dinamismo di morte e risurrezione, come ci ha detto l’Apostolo Paolo nella lettura ai Romani: “Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti non muore più, la morte non ha più potere su di lui”. (Rm 6, 3.8)».

«E allora – la conclusione del Vescovo -, anche di fronte e dentro a questa situazione di dolore e di preoccupazione, che tutti ci riguarda e ci tocca, mi sento di annunciarvi, in forza della Pasqua di Cristo, parole di speranza, di una speranza affidabile, la speranza che anche noi, con l’aiuto di Dio, sapremo andare oltre, oltrepassare questa pandemia. Voglio concludere con le parole dell’angelo alle donne che si recano al sepolcro, all’alba del primo giorno della settimana: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto” (Mt 28, 5-6a)».