Veneto Banca, dopo tre anni di “arresti professionali” archiviate accuse a un dipendente. Che non ci sta all’oblio e sceglie di scrivere a VicenzaPiù

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Procure e Veneto Banca, un whistle blower
Procure e Veneto Banca, un whistle blower

Egregio Direttore, le scrivo questa mail riservata…“: così si presentava a marzo 2020, un ex dipendente di Veneto Banca, che si firmava ma chiedeva l’anonimato per comprensibili motivi aggiungendo: «Come Lei ben comprende vorrei poter urlare anch’io, ma non posso ancora farlo e questo mi impone di continuare a tutelare la riservatezza del mio nome per evitare le rappresaglie del sistema giudiziario e non solo. Il contenuto invece non è “privato” se può essere di utilità alla comprensione da parte di tutti e in merito a ciò molte sono le riflessioni che si possono fare».

Per oltre tre anni – continua la premessa di cui ora, avendo terminato di raccoglierne i dettagli proprio a cavallo del dissequestro dei beni di Consoli, un primo barlume di luce sulla vicenda dell’Istituto montebellunese incrociata con quella di BPVi, ci accingiamo a pubblicare il seguito oltre a nuove considerazioni del lettore su fatti nuovi – sono rimasto appeso al giogo di una inchiesta giudiziaria, quella della procura di Roma su Veneto Banca, che mi ha visto indagato per concorso nel reato di cui all’art… (non lo precisiamo per lasciare il più riservata possibile la fonte, ndr) per un presunto ostacolo alle funzioni di una autorità di vigilanza di Bankitalia che tuttavia non si era mai sentita in alcun modo ostacolata da me o per i fatti a me contestati e non solo quelli.

A questa prima curiosa singolarità se ne sono poi aggiunte molte altre, via via che leggevo quello che nell’ordinanza notificatami era stato ritenuto dagli inquirenti un solido compendio probatorio, poi scioltosi come neve al sole.

Secondo gli inquirenti romani avevo infatti concorso alla mancata deduzione dal patrimonio di vigilanza di due operazioni di presunto finanziamento per l’acquisto di strumenti finanziari della Banca (in un caso obbligazioni e nell’altro azioni) per le quali, oltre alla evidente mancanza di alcun indizio a comprova dell’elemento soggettivo e di quello oggettivo – che tuttavia non aveva impedito agli inquirenti di accusarmi di concorso nel reato – era addirittura totalmente assente l’ostacolo all’Autorità e quindi il reato stesso, essendo state valutate tali operazioni – secondo le parole usate dal consulente della procura di Treviso all’uopo incaricato – di “scarsissima e/o nulla significatività, a concretizzare una prospettazione della realtà così difforme da aver alterato anche potenzialmente, l’operato dell’Autorità di Vigilanza”. Trascuro poi di soffermarmi sul fatto che in ogni caso le mie attribuzioni non prevedevano alcun coinvolgimento nella gestione, contabilizzazione e/o controllo delle operazioni della banca.

In ragione di ciò, il GIP di Treviso, dopo ben 1.172 giorni dalla notifica dell’avviso di garanzia, ha definitivamente archiviato tutte le accuse nei miei confronti.

L’archiviazione non è stata certo per me una vittoria, ma solo un armistizio, con il quale è stata dichiarata la fine di una guerra che dei rappresentanti dello Stato mi avevano ingiustamente dichiarato e che lo stesso Stato vorrebbe ora venisse subito dimenticata, come se non fosse mai accaduta, da un lato potendo contare su un giornalismo troppo spesso incline a girarsi dall’altra parte, pur di evitare di ritornare sui suoi passi e dall’altro pretendendo di appellarsi ad un presunto interesse superiore di giustizia che consente di bloccare qualsiasi possibile critica su una inchiesta giudiziaria sia quando questa è in corso, in quanto sarebbe un tentativo di intimidazione, sia quando la stessa è terminata con la caduta di tutti i presupposti di accusa in quanto si tratterebbe di un tentativo di delegittimazione del lavoro degli inquirenti.

Ma senza voler qui tediarla oltre in merito alla mia personale vicenda di sofferenza, che ho descritto in un lungo racconto per lasciarne memoria ai miei figli, le ragioni di questa mia sono quelle di un sincero apprezzamento del suo lavoro di “cronista giudiziario”, con il quale sta rendendo un autentico servizio pubblico per la comprensione della verità, non solo processuale, del fallimento della Banca Popolare di Vicenza, la cui storia andrebbe letta insieme, ma anche in confronto diretto con quella di Veneto Banca.

E a tale proposito spero di avere l’occasione in un prossimo futuro di scambiare con Lei – esponente dell’unico attuale concreto esempio di giornalismo giudiziario – alcune considerazioni sulle singolarità dell’inchiesta che mi ha visto coinvolto e alla quale ho dedicato tutti i 1172 giorni e oltre, essendo stato di fatto subito condannato alla pena degli arresti professionali e della gestione del nulla, in esecuzione di una sentenza mai formalmente emessa, ma prontamente applicata e non ancora riformata, nonostante l’intervenuta archiviazione.

Nel frattempo mi limito a segnalarle di seguito un mio spunto di riflessione che muove proprio dalle origini della pista investigativa perseguita dagli inquirenti romani, così come è stata dagli stessi descritta alla Commissione parlamentare di inchiesta ancora a fine 2017 e che ho incluso nel mio racconto provando con un pò di ironia a tenere distanti gli sfoghi per la tanta rabbia accumulata”.

Cordialmente

Lettera firmata

SEGUE