Primo Maggio. Ripensare insieme il lavoro

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La festa del Primo Maggio era diventata per la nostra diocesi vicentina una buona occasione per organizzare e vivere un momento di condivisione allargata di preghiera e di riflessione sul tema del lavoro, un appuntamento ormai diventato tradizione. L’emergenza causata dal Covid-19, che invece ci costringe a fermare gli eventi pubblici e le occasioni di assembramento sociale, ci obbliga ancora di più a riflettere e pregare per trovare un senso a questa situazione.

La prima considerazione è che |le nostre vite possono cambiare in modo radicale in pochi giorni a causa di un virus, talmente piccolo da non essere visibile a occhio nudo, ma allo stesso tempo capace di fermare il mondo intero|. Questo ricorda a tutti noi che siamo legati l’uno all’altro, è un richiamo forte a prendere sul serio l’invito a riconciliarci con la Terra.

Celebriamo il Primo Maggio nel ricordo di san Giuseppe lavoratore, esempio e testimone di fedeltà al progetto di Dio anche attraverso il lavoro quotidiano e l’impegno a crescere una famiglia grazie all’opera delle proprie mani. È un giorno che unisce tutti attorno al “grande tema del lavoro”, tema che in questo contesto assume una dimensione ancora più universale e carica di interrogativi.

Sappiamo che attraverseremo una fase di crisi economica e sociale e una recessione profonda, dentro un processo più generale di crisi e tensioni dovuta a guerre vere e proprie così come commerciali, a speculazioni finanziarie, ridislocazione dei sistemi produttivi ecc.  Sappiamo che gli effetti sugli assetti economici e produttivi saranno pesanti: è forte nelle persone |l’incertezza verso il futuro, la paura di perdere il lavoro che, a sua volta, chiederà molti cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, nei tempi, nei luoghi e nei modi in cui si potrà stare assieme|, nell’uso delle nuove tecnologie…  E questo cambiamento coinvolge tutti: sindacati, imprenditori, famiglie, la scuola così come la vita ecclesiale. Può anche questa essere una occasione per ripensare il lavoro e avviare un percorso per una sua maggiore redistribuzione e umanizzazione.

Se il coronavirus colpisce tutti e non fa distinzioni, i suoi effetti però andranno inevitabilmente ad approfondire le disuguaglianze preesistenti nella nostra società, a livello nazionale e locale.  Come può “restare a casa” chi una casa non ce l’ha? Chi ha un lavoro precario o in attesa di rinnovo del contratto di quali tutele può godere? Chi non ha un computer o una connessione internet come può attuare lo smart working oppure seguire le lezioni scolastiche?

Impareremo perciò qualcosa di utile da questa emergenza? |C’è il rischio che tanti di noi, impauriti, reagiscano con una maggiore chiusura|. Anche la Comunità cristiana è chiamata perciò a fare la sua parte per un “dopo Coronavirus” da costruire tutti assieme: laici, religiosi e preti, lavoratori e lavoratrici, giovani e studenti, insegnanti e operai e poi con le tante persone competenti di buona volontà, che sono già in prima linea in questa battaglia.

Si sente dire spesso che “siamo in guerra”, “siamo in un ospedale da campo”…, finita l’emergenza ci vorrà molto tempo per sanare, curare. 

I Vescovi nel loro messaggio per la Festa del Primo Maggio molto concretamente dicono: “Nulla sarà come prima per le famiglie, per gli operatori sanitari, per il lavoro in tutti i settori dalla produzione ai servizi, dal turismo al terzo settore, dalla scuola alla pastorale”.

Nulla sarà come prima e allora? “La sfida che abbiamo di fronte è formidabile e richiede l’impegno di tutti. C’è una missione comune da svolgere nelle diverse dimensioni del nostro vivere come cittadini che partecipano alla vita sociale e politica, come risparmiatori e consumatori consapevoli, come utilizzatori dei nuovi mezzi di comunicazione digitali. Questo chiede a tutti di dare un contributo alla costruzione di un modello sociale ed economico dove la persona sia al centro e il lavoro più degno. Così, senza rimuovere impegno e fatica, si può rendere la persona con-creatrice dell’opera del Signore e generativa”.

Costruire un’economia diversa non solo è possibile, ma è l’unica via che abbiamo per salvarci e per essere all’altezza del nostro compito nel mondo. È in gioco la fedeltà al progetto di Dio sull’umanità.