La Voce del Sileno anno 3: “Alle radici della persona. La persona e la sua centralità nel mondo odierno

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Alle radici della persona. La persona e la sua centralità nel mondo odierno, di Francesca Gottin [1]

Alle radici della persona. La persona e la sua centralità nel mondo odiernoHomo sum: humani nihil a me alienum puto[2] Sono un uomo e nulla di umano ritengo a me estraneo. E’ la battuta di una commedia di un africano di cultura greca che nella Roma repubblicana rilancia il valore che la romanità per prima dà alla persona umana. Un secolo dopo Terenzio, nel I a.C., nascerà il termine humanitas [3], una parola che la Grecia, pur così apparentemente attenta all’uomo e alla sua civiltà non aveva saputo e potuto coniare.


 Infatti, un possibile corrispettivo, il sostantivo philantropìa è composto da due parole: philos, amico, e anthropos, uomo, è insomma una sorta di buona disposizione nei confronti di chi è una creatura mortale. Humanitas è a Roma conoscere e rispettare l’uomo in ogni uomo. In pieno I d.C. Plinio poteva concludere che “l’Italia era stata scelta dagli dei per dare umanità (humanitatem) all’uomo ed in breve diventare a tutto il mondo, l’unica patria di tutte le genti.?[4]

Il senso dell’umano è a Roma positivo, ottimistico e concreto, giuridico, perché l’uomo agisce in un mondo armonicamente ordinato. 

Non sembri fuori luogo essere partiti con questo termine così pieno, humanitas, che avrà tanto valore tradotto nella cultura della storia occidentale e successiva. E’ la base per poter allora arrivare a parlare di persona. Una volta di più dovremo nuovamente rivolgerci al teatro arcaico latino, dove il termine designava la maschera che i personaggi portavano in scena. Sulla sua radice ci sono ipotesi diverse[5], ma in ogni caso l’etimologia è riportabile al concetto di ‘parte’ o di ‘compito’. Ecco perché il derivato ‘maschera’, attraverso il quale veniva subito riconosciuto dal pubblico il tipo umano rappresentato. Ma già Cicerone usa la parola nel senso avvicinabile al nostro, quando nel De officiis ci ricorda che la natura ci ha rivestito di due personae, di due parti, appunto, una che ci fa essere uomini tutti, distinti dalle bestie, l’altra che è attribuita come carattere particolare a ciascuno di noi. 

Poi, aggiunge, ce ne sono altre due, l’una impostaci dalle necessità e dai casi della vita, l’altra che ci accomodiamo noi secondo il nostro proprio giudizio su noi stessi. La filosofia che qui Cicerone traduce è quella di Panezio, che usava in Greco in luogo di persona prosopon, già con lui passato dal primo significato di ‘faccia’ a quello di ‘uomo rappresentato’[6]: è lo stesso sostantivo che, per la prima volta, nel mondo cristiano Paolo di Tarso usa all’inizio di una sua lettera, la II ai Corinzi: ricorda di aver passato un brutto momento in Asia e creduto di morire. “Da quella morte – aggiunge – Dio ci ha liberato e ci libererà e per la speranza che abbiamo in Lui ancora ci libererà grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi. Così per il favore divino ottenutoci da molte persone (ek ton pollon prosopon), saranno molti a rendere grazie per noi[7]. Prosopon, e persona nella traduzione latina, designa quindi ormai il singolo, l’individuo, ma in relazione con gli altri. 

L’incontro tra il profondo rispetto per l’uomo che il termine humanitas sottintendeva a Roma e il nuovo annuncio di liberazione dell’uomo del cristianesimo dà al nome latino persona tutta la valenza di cui da quel momento in poi sarà investito. E’, infatti, proprio il Cristianesimo che lo fa suo, rendendolo argomento di profonda meditazione. Se già per Tertulliano Dio è una substantia, tres personae, nel De trinitate Agostino sceglie persona per indicare il mistero della Trinità; è questa parola che potrà mantenere la distinzione tra Padre, Figlio e Spirito, senza incorrere nel rischio di farne tre divinità o, dall’altra parte, di dissolverne l’individualità[8]. Padre, Figlio e Spirito sono tre ‘parti’ ma ognuna con la propria singolarità, tre ‘persone’, appunto, in profonda relazione tra loro. Allo stesso modo la parola persona viene da Agostino applicata per analogia anche all’uomo: singulus quisque homo… una persona est[9]. Ogni singolo uomo è una persona unica: la persona umana è individuo in relazione nella sua unicità. Questa è la grande scoperta del Cristianesimo. 

E non ci si stupisce allora se, passando dall’ambito teologico a quello della lingua comune, un autore del IV sec. poteva parlare proprio, guarda un po’ per tornare al teatro, dei personaggi della commedia come di ‘persone umili’, humiles personae [10]. Il Cristianesimo già quindi ha fatto entrare nella lingua d’uso la parola persona. E ha aperto il dibattito teologico e filosofico intorno a questo termine a partire dalla definizione di ‘persona’ ritenuta classica di Boezio: ‘sostanza individua di natura razionale’[11]

Quanto questa nozione sia stata accettata e anche contestata dalla filosofia, soprattutto dal ‘600 al ‘900, non interessa nel nostro contesto. Piuttosto per noi è qui interessante rilanciare il significato e le implicazioni che tale e concezione di persona umana comporta oggi. 

Frutto delle filosofie della persona d’ispirazione cristiana (specie cattolica) è la convinzione che l’essere umano si caratterizzi come persona, cioè soggetto assolutamente unico, che percepisce sé stesso nella comunicazione e con gli altri. E’ proprio nella relazione che la persona si mostra come soggetto libero e consapevole. La persona in sé stessa, come essere assolutamente singolare, è irripetibile e questa verità porta a combattere qualsiasi forma di massificazione, di oggettivazione, di manipolazione. Emmanuel Mounier, il rappresentante più importante del personalismo, sosteneva appunto che “La persona non è un oggetto: essa è anzi proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come un oggetto”.[12] La persona, riconoscendo la propria singolarità e dignità, è portata a riconoscerle in ogni altro. Ed è appunto nell’incontro che l’essere personale si può pienamente realizzare. Comunicare non significa uscire da sé perdendo la propria identità nell’altro, ma nell’accoglienza e nel rispetto dell’alterità ritrovare sé stessi. Il valore della comunicazione interpersonale apre a quelli della reciprocità, della solidarietà e alla forza, quindi, di creare e sostenere una società in cui sentimenti, costumi, le stesse strutture e istituzioni siano fondati sul riconoscimento della natura di persona. 

Certamente oggi può risultare difficile non solo interpretare l’essere umano come persona, ma anche credere nella sua libertà. Crisi politiche, sociali, soprattutto di questi tempi economiche, rischiano di creare nuove e vecchie servitù tanto da far apparire sempre attuale e inattuato il famoso imperativo di Kant di agire in modo da trattare “l’umanità nella tua come nella persona di ogni altro sempre come fine e mai come mezzo”[13]. Pure tante ri_essioni, specie per esempio in campo bioetico, che paiono chiedersi a fondo cosa sia persona, ne tentano in realtà letture riduttive, ponendo limiti e paletti alla sua stessa definizione. Non a caso, anche posizioni che attuerebbero un allargamento del concetto di persona agli animali, quindi in senso interspecifico, per assurdo tendono a restringere i diritti di quella umana[14]. In campo sociale assistiamo ad un arretramento di diritti che deve renderci più che mai vigili. 

Un punto di riferimento? Ancora per noi la nostra Costituzione, che proprio grazie all’apporto del personalismo di ispirazione cristiana, ha accolto non solo l’idea della persona come fondamento e centro, ma anche “la proposta di un sistema di partecipazione statale, che traduceva nella realtà produttiva del Paese l’idea della corresponsabilità e della solidarietà nazionale: un sistema che, nelle successive attuazioni, si rivelerà come il più esteso in tutto il mondo occidentale” [15]

Qualche esempio: il riconoscimento dei “diritti inviolabili dell’uomo” (art. 2) e del principio di uguaglianza (art.3), del principio di responsabilità nell’affermazione di quello del pluralismo (art. 2; 5; 6; 8; 18; 21; 33; 39; 49) e di laicità e tolleranza (art. 7; 8); i principi di solidarietà, quello lavorista (art. 1 c. 1, 4 c. 2) secondo il quale il lavoro “non è solo un rapporto economico, ma anche un valore sociale che nobilita l’uomo; non è solo un diritto, bensì anche un dovere che eleva il singolo, non serve ad identificare una classe, ma serve all’esigenza di realizzazione di ogni persona”[16], e quello di democrazia, secondo il quale ogni persona ha diritto e dovere di partecipare alla costruzione del bene comune. 

Di fronte ad esempi di disumanizzazione della vita civile, allo sradicamento della cultura del bene comune, alla prevalenza di logiche funzionalistiche e utilitaristiche, recuperare l’impostazione di fondo della nostra Costituzione, frutto di un raro e fecondo incontro tra le anime culturali, cattolica, liberale e socialista, che l’hanno costruita, è un’operazione necessaria. Come è un compito che non deve venire meno provare a realizzare continuamente nel concreto i suoi principi. Proprio perché essi, come abbiamo ricordato, si fondano su quell'”unità vivente” [17] che è la persona umana. Una poesia di Montale, scritta nel 1942, si intitola Personae separatae [18], dove la scelta del latino vuole ancor più sottolineare l’assurdo, l’ossimoro, di quelle due parole vicine: personae, che dovrebbe dare l’idea della realizzazione di sé nell’incontro con l’altro, e separatae, cioè divise, senza centro vitale. La realtà è quella della guerra, quando “è poca cosa la parola” e intorno “un perduto senso” e “troppo straziato è il cuore umano”. Ma guerra, avverte il poeta in una nota a questi versi, è vista anche come “alterità metafisica, stato quasi permanente delle forze oscure che congiurano contro di noi”.[19]

La lotta contro queste forze significa appunto ritrovare quell’unità perduta, per non continuare ad essere non più persone, ma come il termine antico, maschere, incapaci di guardare in sé e negli altri.

 

Si chiede a tutti coloro che leggono questo articolo di trasmetterlo ad amici e conoscenti.
Eventuali contributi vanno inviati al coordinatore Italo Francesco Baldo all’indirizzo di posta elettronica: stoa@libero.it

 

[1] Pubblicato in  Essere Volontari, Nuova edizione, a cura di Italo Francesco Baldo, Vicenza, Associazione Genitori de ?La Nostra Famiglia? Sezione di Vicenza, 2012

[2] Heautontimoroumenos, 77. 

[3] Il  termine viene usato per primo da Varrone e nella Rhetorica ad Herennium.

[4] Italia numine deum electa, quae […] humanitatem homini daret, breviterque una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret, inNaturalis historia, (3,39).Tr. ?L’Italia, prescelta dalla volontà degli dei per  dare umanità  all’uomo, e in breve diventare l’unica patria di tutte le genti in tutto il mondo.?

[5] La base è l’antico babilonese parsu (parte, compito). Altra ipotesi è la derivazione da personare, far risuonare, pensando al ruolo della maschera, come credeva ancora ad esempio S. Tommaso (I Sent., d. 23, q. 1 a. 1).

[6] CICERONE, De officiis, I, 107, 115 .

[7] II Corinzi, 1,11. 

[8] TERTULLIANO, Adversus Praxean 2 e AGOSTINO, De trinitate, VI q.6, a.11.

[9] AGOSTINO, Ib. XV q.7, a.11.

[10] DIOMEDE, I, 488K.

[11] BOEZIO, Contra Eutychen, 1-6.

[12] E. MOUNIER, Il personalismo, tr. it. Roma, AVE, 1964, 97 s. 

[13] I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, Firenze, La Nuova Italia 1968, 67 s.

[14] Cfr. le tesi per es. dell’australiano Peter Singer. di cui la principale è l?utilitarismo della preferenza, secondo il quale la valutazione sulla liceità etica di un?azione deve tener conto delle conseguenze che questa provoca sull?intero sistema coinvolto, non sommando le singole conseguenze, ma valutando le preferenze di tutti gli individui coinvolti. 

[15] B.FORTE Centralità della persona, etica della responsabilità e della solidarietà valori fondanti della Costituzione e della vita, Chieti, Consulta Provinciale dei Giovani, 19/03/2009, p.1. Bruno Forte legge nel Codice di Camaldoli, documento redatto da un gruppo di giovani di Azione Cattolica e della FUCI nel luglio 1943, i principi guida fatti propri dai componenti cattolici della Costituente. 

[16] ib. p. 7. 

[17] L’espressione è ancora di E. Mounier.

[18] E. MONTALE, Personae searatae, ne La bufera. L’opera in versi, a cura di G. Contini, Torino, Einaudi 1980, p. 199.

[19] ib. p. 944