Che il processo BPVi abbia mano a mano perso il suo smalto lo si capiva già dalle ultime deposizioni dei testimoni d’accusa ligi quasi tutti e come sempre alla solita litania «tutti sapevano, anche Zonin, ma non possiamo dimostrarlo con le carte che lui e i dirigenti strapagati della banca smazzavano dopo che Banca d’Italia e, per la sua minor parte, Consob avevano deciso con quale mazzo e soprattutto a quale gioco giocare».
Poi, quando hanno iniziato a deporre i primi dei pochi imputati chiamati in causa (Zigliotto, Piazzetta), l’interesse pubblico si è vieppiù sopito quando le relative udienze, poi sospese per mesi prima di ascoltare Marin e Pellegrini in attesa di Giustini, sono state celebrate inizialmente a porte chiuse alla stampa; colpevolmente chiuse, abbiamo scritto, perché spazi di distanziamento e di sicurezza per la pandemia Covid 19 ce n’erano a bizzeffe in assenza cronica, sostanziale e colpevole del 99.99% delle parti civili intese come soci azzerati.
Ma ha dato il colpo di grazia a un processo, partito in ritardo e senza i provvedimenti ben più duri presi a Roma e confermati anche recentemente a Treviso contro Vincenzo Consoli, il rifiuto di Gianni Zonin di sottoporsi all’interrogatorio del dibattimento pubblico.
Se farlo è legittimo, anche se noi non lo capiamo perché nei processi che subiamo, anche quelli intentatici dall’ex presidente, abbiamo sempre affrontato le domande a fronte alta, lascia dietro di sé un vuoto di credibilità incolmabile l’impossibilità di controbattere alle sue dichiarazioni spontanee rilasciate al tribunale in base a una memoria, che qui vi sottoponiamo in esclusiva, e alla sentita, compartecipe comprensione della stampa amica, quella che per anni, parodiando i vu cumprà, sia pure elevati a rango finanziario, ha spinto i suoi lettori a fare quello che l’allora presidente proclamava e consigliava: “comprate, comprate e comprate ancora le azioni BPVi, la vostra musìna…“.
Se l’ex ad e dg di Veneto Banca, l’alter ego di fatto a Montebelluna di Zonin che la nostra graduale ricostruzione storica e documentale, iniziata nel 2010, ci porta a vedere sempre di più come vittima, magari corresponsabile per non aver chinato il capo ai voleri di Visco e Barbagallo, alias “il sistema”, ancora promette battaglia, lui Zonin no, non si fa interrogare.
Lui, lo leggiamo dalla stampa, quella che, quando le porte erano chiuse, raccontavano quanto facevano filtrare gli avvocati di parte, non depone perché già ha detto tutto ai poveri pm Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, che, se non dimostreranno la sua eventuale colpevolezza e se non otterranno la sua condanna legale (quella morale l’hanno già pronunciata 118.000 soci azzerati a parte un tot di soci avvantaggiati che non possono che parteggiare per l’assoluzione), verrà di chiedersi perché hanno fatto perdere così tanto tempo alla corte.
Per non provare le tesi accusatorie contro il presidente per 19 anni della Banca Popolare di Vicenza dopo esserne stato per i precedenti 20 anni membro del cda, contro colui che non c’è nessuno che sotto Monte Berico non pensi che tutto sapesse e che ogni strategia decidesse, e per far ricadere la colpa solo sui comprimari tra cui, soprattutto, Giustini, il capro ora presumibilmente espiatorio in assenza di Sorato?
Se, poi, nessuno fosse dichiarato o nessuno fosse colpevole di un crac che ha sotterrato 118.000 risparmiatori della BPVi e, in una trama diabolica che li ha coinvolti, anche i circa 90.000 di Veneto Banca, beh, non vorremmo essere nei panni
- di chi giudica, da cui è stato sfilato per una presunta incompatibilità sollevata dalla procura il primo presidente del collegio Lorenzo Miazzi
- e di chi accusa, panni di cui, dopo l’uscita di Miazzi, si è liberato l’ex procuratore capo Antonino Cappelleri, che ora se ne sta in quel di Padova, insensibile a sue altrettanto presunte incompatibilità, dopo che in passato non fu certo paladino di provvedimenti duri contro i principali attuali imputati, e che da una sentenza assolutoria troverebbe conforto per la sua scelta prudente anche se oggi, a livello di azioni di responsabilità, ben altre e sono le decisioni dei giudici civili.
Insomma sentiti i testimoni di accusa, quelli del “tutti sapevano ma anche no”, censurate le prime udienze degli imputati con la complicità del Covid 19, svuotate le successive, ci sono venute le lacrime leggendo, grazie ala cronaca del collega del GdV, le ultime frasi di Zonin di ieri (noi non abbiamo pianto in diretta perché non ci piace andare a teatro a sentir recitare copioni): «La fine della Banca popolare di Vicenza, come ho già avuto modo di dire, e i fatti che ne hanno segnato il tracollo, hanno costituito, e costituiscono, per me, un trauma e un dolore con cui non ho ancora imparato a convivere. Niente di illecito ho commesso, e di niente di illecito mi sono reso responsabile. Di questo mi sento sicuro e per questo mi sento sereno. È questa serenità che mi ha consentito di assistere in prima fila quasi a ogni udienza di questo procedimento. Ed è questa serenità, unita alla sofferenza mia e al dolore di tanti, che continuerà ad accompagnarmi nel futuro per gli anni che, pochi o tanti che siano, Dio vorrà ancora accordarmi»
Se a questo aggiungiamo la sua chiamata in causa di Banca d’Italia, che tutto sapeva ma tutto gli avrebbe nascosto e che oggi addirittura è parte civile nel processo BPVi come la signora Maria e il signor Bepi che ci hanno rimesso i risparmi di una vita, prima dei nostri commenti ne riportiamo due di nostri lettori:
- “Zonin in 66 fogli ha spiegato che per 19 anni non ha sentito perché era dall’otorino e non ha visto perché era dall’oculista“
- “le sue dichiarazioni spontanee sono state l’istanza di auto beatificazione suggeritagli da Barbagallo che lo aspetta tra le sue sempre protettive braccia in Vaticano“.
Eppure Zonin ci ha perso, ha detto, “tutto il suo patrimonio mobiliare nelle azioni BpVi“.
Pur dimenticando che erano pur sempre “patrimonio mobiliare” le azioni in suo possesso del suo gruppo, poi assegnate ai familiari con donazioni di cui ora Pavesi e Verzoni, gli avvocati della BPVi in Lca, hanno chiesto la revocatoria ai giudici civili che già l’hanno sentenziata per altri beni alienati sospettando che cessioni e donazioni facessero parte del tentativo di blindare quei valori, Zonin tralascia un altro particolare: i 28 milioni di euro di azioni all’ultimo valore di carico (ma a quanto meno le ha comprate?) in capo a lui e familiari stretti non fanno il paio almeno con le retribuzioni milionarie da lui percepite in 20 anni da consigliere del cda e in 19 da presidente, 39 anni tutti passati trascinandosi da sordo e cieco in quell’inferno di via Btg Framarin?
A un uomo così sofferente, martire di chi gli stava intorno, da Bankitalia, suo storico estimatore/utilizzatore, a dirigenti infidi e/o incapaci, che ai massimi livelli lui sceglieva, cacciava e riprendeva, vogliamo negare, dopo “gli anni che, pochi o tanti che siano” Dio vorrà ancora accordargli, la santificazione?
Vero è che qualche anno di segregazione, di certo domiciliare vista l’età, lo innalzerebbe ancora più in alto sugli altari eterni, ma volete che Vicenza, non solo quella della procura e del tribunale, sia così disponibile a concederglielo?
Vicenza, lo sa bene il cavaliere che l’ha sempre guardata, pilotata?, dall’alto, è cattiva e questo regalo, la condanna, no, proprio non glielo farà…