L’amore è paziente, benigno, non ha invidia, non si gonfia di se stesso; non è mai disonesto; non cerca il proprio tornaconto, non va in collera, non tiene conto dell’offesa, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.”
È questo uno dei pensieri che Neri Pozza, autore di “Frammenti di un discorso interrotto”, ci confida senza chiederci un’opinione; ci rivela solo ciò che cuore e ragione gli dettano ripercorrendo la sua storia d’amore con Lea Quaretti; una storia durata trentacinque anni, fino al 1981, anno in cui Lea morirà.
Angelo Colla si è occupato di mettere insieme con affetto ciò che il Maestro aveva consentito fosse pubblicato dopo la sua morte nel 1988.
Il filo conduttore di quello che andiamo a leggere sono i luoghi, in particolare le case, che Lea acquistò per viverci insieme a Neri [ nidi da fare e disfare ] e che lui rivisita, condividendoli con noi, nel ricordo della donna amata.
Ci sono luoghi dove ci sentiamo bene, dove ritroviamo ciò che il nostro spirito cerca fin da quando abitiamo questo mondo. Sono luoghi fatti di silenzi, che placano le nostre ansie; di colori che cantano, che fra loro si chiamano e che poi in coro creano un eco che solo noi riusciamo a sentire; di odori antichi che sono impressi nella nostra memoria più remota. Questo erano per Lea le case dove ha vissuto, a partire da quella di Rigoso, ove era nata; quelle tanto amate di Venezia o del Lido; quelle di Asolo, di Cortina, di San Fise di Arcugnano e infine la casa di Neri a Vicenza, sopra ponte San Michele.
Quest’ultima sarà la meno amata di tutte, perché posta nel cuore di una città che Lea sopportava a fatica, solo per amore di Neri.
Vicenza era la città che l’aveva giudicata senza conoscerla, gelosa di uno dei suoi figli di cui andava giustamente orgogliosa; l’aveva condannata in nome di un cattolicesimo ottuso: Lea Quaretti aveva un matrimonio infelice alle spalle e, per la morale comune, conviveva nel peccato con Neri Pozza alla luce del sole (si sposeranno con una cerimonia privatissima molti anni dopo). Una città nei confronti della quale Guido Piovene sosteneva [ che anche della propria madre , qua, è un dovere diffidare].
Lea trovava offensiva nei vicentini [ l’ipocrisia cattolica, la doppiezza del costume, la mancanza di fede nella bellezza e l’indifferenza per la cultura ]; non poteva ammettere tutto questo.
Neri Pozza condivideva molto dei pensieri della sua compagna, pur essendo fondamentalmente diverso da lei e pur amando la sua città, come del resto l’ama chi scrive, ma anche ammettendo, che Vicenza ha conservato nel tempo i suoi difetti, pregni soprattutto di stupido perbenismo; di provincialismo bigotto e clientelare e di una diffusa superficialità verso la cultura, ma ancor di più verso l’arte.
Questa città che si riempie la bocca di orgoglio per Andrea Palladio, ignora quasi del tutto Valerio Belli, In compenso sa tutto su Vincent Van Gogh, grazie alle mostre di Marco Goldin.
Una città infine, pronta a lasciar cadere nell’oblio il suo orgoglio antifascista… Ma qui devo interrompere le mie riflessioni, certo non per pavidità nei confronti di chi non la pensa come me e che tuttavia rispetto, bensì perché il mio ragionamento navigherebbe verso approdi del tutto personali, che escono troppo dal contesto del libro, di cui sto consigliando la lettura.
Lea Quaretti e Neri Pozza si amarono non solo come semplici amanti ma, soprattutto, come persone, come due intellettuali, con un sentimento in cui ognuno nutre il massimo rispetto per l’altro; in cui l’uno riesce a stupirsi, pur col passare degli anni e ad emozionarsi per come l’altro, attraverso il filtro del suo sguardo, gli descrive il mondo che li circonda; gli svela le sue debolezze, ma mai chiedendo aiuto o conforto, in quanto consapevole che esse appartengono solo al proprio universo privato.
Lea e Neri si sono circondati della migliore intellighenzia del loro tempo: scrittori, poeti, pittori, scultori, architetti, musicisti. Ove la cultura affondava le proprie radici, da queste menti brillanti, con cui erano costantemente in contatto, (grazie anche al lavoro della casa editrice che avevano fondato insieme), questi due intellettuali erano attratti e a loro volta attraevano chi aveva modo di frequentarli.
Lea era un’ottima e apprezzata scrittrice, ma a un certo punto della sua vita aveva deciso, non tanto di non scrivere più, quanto di non dare più alle stampe i suoi lavori. Aveva scelto di confidare solo ai suoi diari la sua scrittura e chiesto che alla sua morte essi fossero distrutti. Ma così non fece, per nostra fortuna, il suo amato Neri.
Quando qualcuno ci lascia, nella nostra elaborazione del lutto, rimane il rimpianto per tutto ciò che non è stato fatto o detto e niente può sanare questo discorso che è stato interrotto, solo il tempo mitiga un po’ alla volta il dolore e ci consente di sopravvivere. Così è stato anche per Neri Pozza.
Ho illustrato la mia tavola diversamente dal solito, con un paio di vedute immaginarie di Venezia e al centro Lea e Neri nell’età matura. Lei mi ricorda la bellezza di Giulietta Masina; lui il fascino senza tempo di un eroe irredentista. Alle loro spalle, solo accennata, la loro tomba, che l’architetto Mario Botta ha progettato, affinché il loro sguardo, nel condiviso riposo eterno, potesse rivolgersi alla loro casa di San Fise, ove erano stati felici.
Andate a vederlo questo sepolcro nel piccolo cimitero di Longara, dove si può apprezzare un valido esempio di architettura contemporanea, senza aver bisogno di guardare a inutili ponti come quello di Venezia, fra Piazzale Roma e la stazione.
Buona lettura.