Banca Marche fa giurisprudenza: non rileva per insolvenza l’ammissibilità del FITD. Avv. prof. Rodolfo Bettiol e la sentenza Cassazione n. 11267/20

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Banca Marche insolvente
Banca Marche insolvente

Premessa Il 12 giugno il Quotidiano del diritto (Il Sole 24 Ore) pubblicava la seguente nota di Giampaolo Piagnerelli sul caso dell’insolvenza di Banca Marche.

Irrilevante ai fini dell’apprezzamento dello stato di insolvenza èrl’acce1tamento dell’ammissibilità dell’intervento del fondo interbancario, visto che, nei fatti, il finanziamento non c’è stato. Questo il principio espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 11267/20 (qui il dispositivo, ndr).

I fatti. Alla base della vicenda il fallimento della Banca delle Marche che aveva come azionista per il 22,51% del capitale la Fondazione Cassa di risparmio di Pesaro. La Cassazione ha espresso l’incapacità della Banca delle Marche di fare fronte con regolarità alle proprie obbligazioni. In particolare i Supremi giudici si sono adeguati a quanto disposto dalla Corte territoriale che aveva escluso dal novero degli elementi da vagliare al fine di valutare l’esistenza di un’effettiva insolvenza, gli infruttuosi tentativi di intervento del Fondo interbancario per la tutela dei depositi. E ciò non solo perché quegli interventi non vi erano stati, ma anche perché le infruttuose interlocuzioni con diverse controparti bancarie e finanziarie attestavano “una condizione di degrado non risolvibile con tali interventi e il difetto di fiducia creditizia”.

Conclusioni. In definitiva quand’anche si acce1tasse nelle competenti sedi che l’intervento del Fondo interbancario per la tutela dei depositi era ammissibile, si dovrebbe comunque constatare che tale finanziamento non sarebbe stato risolutivo.

 

Sull’argomento interviene l’avv. prof. Rodolfo Bettiol.

La sentenza 11267/2020 delle I^ sezione civile della Corte di Cassazione merita di essere segnalata per i principi di diritto che esprime in merito alle condizioni di dichiarazione di insolvenza delle Banche. Nel caso sottoposto dalla Corte si trattava della contestata dichiarazione di insolvenza della Banca delle Marche, dichiarata dal Tribunale di Ancona e confermata dalla Corte d’Appello.

La Cassazione, innanzitutto, afferma il principio che ai fini del ricorrere dello stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale resta irrilevante ogni indagine sulle cause che hanno determinato il fallimento, sull’imputabilità o meno all’imprenditore delle ragioni del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all’impresa.

Lo stato di insolvenza nel caso della banca è quello rilevato al momento della risoluzione da parte della Banca d’Italia non assumendo rilevanza ipotetici interventi successivi quali quelli del FITD.

Di rilievo è l’affermazione che le informative dell’ente di vigilanza o dei commissari liquidatori assumono valenza probatoria ai fini delle decisioni del giudice spettando a chi contesta l’insolvenza addurre prove a proprio favore. Non compete al giudice valutare d’ufficio la sussistenza degli elementi su cui si basano le informative.

Afferma la Cassazione che, in assenza di una autonoma definizione all’interno dell’art. 82 dlgs. 385/1993 dello stato di insolvenza rilevante ai fini della relativa declaratoria, come da opinione consolidata della Cassazione l’insolvenza bancaria va definita negli stessi termini previsti dall’art. 5 legge fallimentare per le altre imprese.

La legge non prevede un requisito di manifestazione all’esterno dello stato di insolvenza, ma degli indici che ne costituiscono elementi sintomatici e siano apprezzabili dal giudice. Più precisamente afferma la Cassazione che lo stato di insolvenza si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, dell’incapacità di produrre beni con margini di reddittività da destinare alle esigenze di impresa (estinzione dei debiti) e nell’impossibilità di ricorrere al credito in condizioni normali.

Con riferimento all’impresa bancaria la presenza di un massiccio deficit patrimoniale evincibile da un CET negativo, svalutazione crediti e perdita di esercizio ed il manifestarsi di una crisi di liquidità grave e non transitoria costituiscono indici di insolvenza.

Specifica la Cassazione che l’insolvenza non presuppone necessariamente la presenza di inadempimenti, ma consiste, invece, in una situazione di prognosi irreversibile sul regolare adempimento delle obbligazioni dovuta all’incapacità dell’imprenditore di fronteggiare con mezzi normali le proprie esposizioni debitorie, malgrado la possibilità di ottenere momentanea disponibilità di liquidità, il che per la banca è possibile per mascherare il proprio dissesto.

In sostanza la condizione di liquidità momentanea di un istituto di credito non esclude l’insolvenza. Da quanto esposto si evince che per la Cassazione ai fini della declaratoria dello stato di insolvenza di una banca assume particolare rilievo lo stato patrimoniale che in via prospettica fa ritenere che in futuro non sarà possibile per la banca adempiere alle proprie obbligazioni. Ciò comporta che è dovere delle autorità di vigilanza provvedere ai sensi di legge ove lo stato patrimoniale si manifesti dissestato indipendentemente dal verificarsi di clamorosi fatti esterni. Ciò corrisponde ad una maggiore tutela di azionisti risparmiatori e creditori e ad una maggiore responsabilità della Banca d’Italia e della B.C.E..