Da DeepNews.it In queste settimane sono stati pubblicati molti report di dati utili ad esaminare lo stato di salute dell’economia italiana con particolare riguardo alle imprese. Il quadro che ne risulta è decisamente negativo, ma i veri timori non riguardano tanto il presente quanto il prossimo futuro. Sono numerosi gli esponenti politici che hanno espresso preoccupazione in vista dell’autunno: dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli, al commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni, fino al ministro dell’economia e delle finanze Roberto Gualtieri. Proviamo allora a dare una spiegazione.
L’analisi parte dall’impatto sociale della crisi. Dai dati pubblicati dall’Istat si evince che tra marzo e aprile sono andati persi 400 mila posti di lavoro, nonostante le misure che impedivano i licenziamenti. Tra i vari motivi si può pensare che questa riduzione sia dovuta anche al mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato in scadenza nel periodo considerato. Per dare un’idea dell’entità di questo fenomeno, nell’intero 2009, nel pieno della crisi dei subprime, gli occupati erano diminuiti di 389 mila unità. Nel mese di maggio tuttavia abbiamo assistito ad un lieve miglioramento della situazione rispetto ai due mesi precedenti, in quanto gli occupati sono sì diminuiti ma in maniera più contenuta.
Guardando il problema dal punto di vista delle ore lavorate, l’Inps ha calcolato che, nel primo trimestre 2020, il lavoro misurato in termini di ULA (unità lavorative annue) ha subito un crollo del 6,4% su base annua. Confindustria stima che l’occupazione in termini di ULA, che segue l’andamento del PIL, si ridurrà del 7,6% nel 2020. Le previsioni Istat, invece, stimano un calo del 9,3%, con un recupero del 4,1% nel 2021. Confcommercio, ipotizzando una riduzione del Pil dell’8%, prevede la perdita di un milione di posti di lavoro.
Per i prossimi mesi le previsioni suggeriscono che l’estensione della Cig aiuterà la salvaguardia dei posti di lavoro a scapito delle ore lavorate. Il tasso di disoccupazione dovrebbe registrare un’ulteriore crescita, anche se moderata a causa dell’aumento degli inattivi. Tuttavia proprio per questo motivo ci si aspetta un faticoso recupero nel 2021, oltre al fatto che la creazione di posti di lavoro verrà complicata anche dal ritorno ad orari di lavoro più lunghi.
Il vero quesito da porsi sulla base di questi dati è su cosa accadrà quando verrà rimosso il blocco dei licenziamenti, che il ministro Gualtieri ha già annunciato di voler prorogare fino a dicembre. La speranza evidentemente è che entro fine anno le imprese tornino nelle condizioni di mantenere quantomeno i livelli di occupazione attuali per evitare una crisi sociale.
Tuttavia, da un’indagine condotta dall’Istat a maggio, risulta che un preoccupante 12% delle imprese stava già considerando di ridurre l’input di lavoro. Lo stesso istituto suggerisce che da qui a fine anno ben un’impresa su tre dovrà far fronte a problemi di liquidità.
È, inoltre, opinione diffusa che le misure di sostegno messe in campo dal Governo abbiano riguardato anche imprese che si trovavano in procinto di ricorrere a procedure concorsuali già prima dello stato di emergenza. Sarebbero queste le realtà che stanno già annaspando. Mentre le aziende che inizialmente versavano in buono stato di salute potrebbero accusare gravemente la carenza di liquidità nel periodo tra settembre ed ottobre.
In questo senso si può anche dare un significato agli aggiornamenti di Banca d’Italia riguardo la concessione di credito e liquidità a famiglie e imprese: si può notare un costante aumento di settimana in settimana delle richieste di finanziamento attraverso il Fondo di Garanzia per le PMI.
Se finora è stato possibile limitare i danni, la vera sfida dal punto di vista economico deve ancora palesarsi. La nota positiva è che, stando agli aggiornamenti di Banca d’Italia, anche la percentuale di prestiti erogati garantiti dallo Stato aumenta di settimana in settimana: dall’ultima comunicazione risulta erogato l’82% delle domande per prestiti interamente garantiti dal Fondo di Garanzia per le PMI.
Bisogna però tenere presente che la sfida che attende le imprese italiane, che dovranno approcciarsi anche meglio allo smart working, non può essere affrontata solamente attraverso il ricorso al debito. Com’è noto, le PMI italiane risultano spesso già sovraindebitate; un ulteriore aumento potrebbe gravare sulla loro struttura finanziaria generando altri problemi. Sarà quindi necessario che anche le piccole imprese imparino a soppesare tutto ciò che non genera fatturato entro il trimestre, trovando il modo di accorciare il ciclo monetario agendo sui pagamenti a lunga scadenza e riducendo ove possibile le scorte di magazzino.