ThyssenKrupp, ovvero la certezza dell’impunità

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I morti alla ThyssenKrupp di Torino
I morti alla ThyssenKrupp di Torino

La notizia è di quelle alle quali, ormai, si fa l’abitudine: i padroni anche se condannati non vanno mai in prigione. Dev’essere una questione di classe. La cella non è cosa per lorsignori.

Non c’è niente da fare (almeno sembra). Nella nostra Europa così civile e democratica, chi può, anche se è stato dichiarato colpevole con sentenza definitiva, trova sempre un modo per non scontare la pena.

I morti alla ThyssenKrupp di Torino
I morti alla ThyssenKrupp di Torino

Cavilli, rinvii, ricorsi e quant’altro, opportunità che, agli operai della ThyssenKrupp morti nel rogo della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, non hanno avuto. Per loro, sia ben chiaro, non si cerca vendetta, si vuole solo giustizia. Quella che il tribunale italiano ha sancito e che in Germania, nei fatti, viene oggi negata.

Cosa faranno il governo e le istituzioni italiane di fronte a quella che è un’umiliazione e uno sfregio ai diritti di chi lavora?

Riusciranno almeno a indignarsi e protestare con veemenza. Avranno la capacità di mantenere la schiena diritta e la dignità di condannare questa decisione moralmente ignobile anche a livello europeo? E la UE farà finta di niente com’è abituata a fare o dirà qualcosa?

È facile prevedere che, dopo qualche timida indignazione ed espressioni di solidarietà ai familiari delle vittime, si dichiarerà che non si può fare niente, che le leggi della Germania lo permettono, che è tutto legale … certo, forse è vero, è tutto legale … ma il risultato è uno solo: per Antonio Schiamone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Roberto Rodinò, Giuseppe Demasi la giustizia è “sospesa”, resta una parola vuota, un’utopia che non si può realizzare.

In definitiva le sentenze definitive della giustizia italiana per la Germania (e l’Europa?) valgono zero.

Ne dobbiamo avere coscienza.

Questo è l’articolo del corriere.it: che riporta la notizia

Thyssen, Espenhahn presenta un nuovo ricorso: la pena è sospesa

Il manager, condannato per il rogo del 2007, si è presentato in carcere: ma poco dopo è stato rilasciato

Nuova battuta d’arresto per l’esecuzione della pena dei due manager della ThyssenKrupp condannati per il rogo nelle acciaierie di corso Regina Margherita, nel dicembre del 2007, costato la vita a sette operai. Secondo quanto riferisce l’emittente Cosmo, l’ad Harald Espenhahn avrebbe depositato un nuovo ricorso e la pena sarebbe stata sospesa. Il manager si sarebbe presentato ieri, 15 luglio, alle porte del carcere. Ma poco dopo sarebbe stato rilasciato. Nel frattempo sarebbe infatti giunta un’ordinanza del Bundesverfassungsgericht, che ha sospeso l’esecuzione della pena.

La Corte federale, infatti, intenderebbe valutare il ricorso presentato dal manager , bloccando così il suo ingresso in carcere almeno per i prossimi sei mesi. Il ministro Alfonso Bonafede avrebbe chiesto informazioni attraverso fonti diplomatiche e attende al momento riscontri. Nel ricorso, Espenhahn lamenterebbe la violazione del «principio del giusto processo» e del «diritto al contraddittorio»: in sostanza, sostiene che durante il processo in Italia sia mancata la traduzione in tedesco di una parte della documentazione.

La notizia rappresenta l’ennesima offesa per i familiari delle vittime della Thyssen. «È inspiegabile — commenta Rosina De Masi, mamma di Rosario — e temo che alla fine riuscirà a ottenere quello che vuole. Sono 13 anni che attendo una giustizia che ancora non arriva».

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.